La legge c.d. “spazzacorrotti” ed ilself-cleaning. Articolo a cura del Dr. Edoardo Scialis, discente del Master Anticorruzione, IV Edizione, Università degli Studi di Roma Tor Vergata

Nella categoria Analisi e Ricerche, Articoli Master Anticorruzione da su 21 ottobre 2019 0 Commenti

I commi 7, 8 9 del d.lgs. 50/2016 hanno introdotto l’istituto del c.d. self-cleaning, prevedendo la possibilità di una deroga all’obbligo di esclusione automatica degli operatori economici rispetto ai quali siano mancanti una o più requisiti di partecipazione.

In particolare, un operatore economico che sia destinatario di una sentenza di condanna, di un decreto penale di condanna, di una sentenza di patteggiamento per i reati individuati all’art. 80 comma 1, o che sia destinatario di una misura interdittiva ai sensi dell’art. 80 comma 2, nelle ipotesi in cui la sentenza definitiva abbia imposto una pena detentiva non superiore a 18 mesi ovvero abbia riconosciuto l’attenuante della collaborazione (come definita per le singole fattispecie di reato, o all’art. 80 comma 5), “è ammesso a provare”, recita l’art. 80 comma 7, “di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti”.

In questo caso, se la stazione appaltante ritiene che le misure di cui al comma 7 siano sufficienti, l’operatore economico è ammesso alla procedura competitiva (art. 80 comma 8).

Infine, l’art. 80 comma 9 prevede cheun operatore economico escluso con sentenza definitiva dalla partecipazione alle procedure di appalto non possa usufruire della possibilità di self-cleaning nel corso del periodo di esclusione derivante da tale sentenza.

Ciò premesso, è stato rilevato dagli interpreti e dagli operatori della materia che manca un coordinamento tra l’introduzione della misura dell’incapacità perpetua di contrattare con lepubblicheamministrazioni ed i principi generali che regolano la materia dei contratti pubblici, di derivazione comunitaria, che prevedono il diritto di partecipare alle procedure di evidenza pubblica delle aziende che abbiano posto in essere misure di self cleaning, in nome delle ben note esigenze di tutela della libera concorrenza.

In particolare, non è chiaro in che modo operino le pene accessorie irrogate nei confronti delle persone fisiche, rispetto alle persone giuridiche, che normalmente partecipano alle gare d’appalto.

Laddove si ritenga che la sanzione dell’incapacità perpetua disposta nei confronti di una persona fisica non impedisca alla stessa di rivestire un ruolo apicale in un’azienda che abbia rapporti contrattuali con le pubbliche amministrazioni,emergerebbe la natura del tutto marginale delle implicazioni pratiche connesse all’adozione della sanzione accessoria.

D’altro canto, ove si ritenga che la persona colpita dalla pena accessoria non possa essere utilmente integrata all’interno di un’azienda che ha rapporti contrattuali con una pubblica amministrazione, emergerebbero seri dubbi di compatibilità delle norme introdotte dalla legge 3/2019 rispetto all’art. 80 commi 7 e ss. d.lgs. 50/2016, che riconosce in modo diretto e incondizionato il diritto degli operatori economici di essere ammessi alle procedure di evidenza pubblica, ove abbiano adottato misure di self-cleaning ritenute idonee dalle stazioni appaltanti chiamate a valutarle. Di riflesso, si verrebbe a creare un’antinomia tra la legislazione italiana e le fonti comunitarie.

In conclusione, l’introduzione del divieto perpetuo di contrattare con le pubbliche amministrazioni pone dei problemi interpretativi, la cui risoluzione comporta la scelta da un l’altro tra l’ineffettività della norma, e dall’altro la sua disapplicazione per contrasto con i principi comunitari in materia di contratti pubblici.

 

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