BIM e appalti pubblici: un ulteriore efficace strumento per la prevenzione della corruzione?

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A cura della Dott.ssa Sara Naldini

Il Building Information Modeling (di seguito “BIM”), definito dal National Institutes of Building Science come la “rappresentazione digitale di caratteristiche fisiche e funzionali di un oggetto” nasce dall’esigenza di gestire il processo di realizzazione di una costruzione in tutte le sue fasi.  Il BIM, infatti, può essere considerato come un processo che si compone di quattro diverse fasi, tutte relative al ciclo di vita della costruzione stessa: la programmazione, la progettazione, la realizzazione e la manutenzione. Grazie a tale sistema si ottiene un modello virtuale e dinamico di un edificio che contiene una serie di informazioni relative allo stabile stesso riguardanti, a titolo esemplificativo, i materiali, la geometria, la struttura portante, gli impianti, i costi e così via. Caratteristica fondamentale di tale sistema è, evidentemente, la collaborazione fra le diverse figure professionali che prendono parte alla realizzazione di una costruzione (architetto, geometra, progettista ecc) che possono inserire, modificare o eliminare dal BIM le informazioni relative all’edificio. Tramite tale sistema, inoltre, tutti i dati rilevanti di una costruzione, presenti nel processo di vita della stessa, devono essere disponibili in formati digitali aperti e non proprietari, al fine di non ledere la concorrenza[1].

Vladimir Bazjanac, Professore emerito del Lawrence Berkeley National Laboratory, University of California ha affermato che il BIM ha cambiato radicalmente il processo di progettazione e realizzazione delle strutture per la sua “intrinseca capacità di garantire la validità dei dati inseriti nel manufatto in ogni momento del suo ciclo di vita, permettendo una realizzazione integrata della commessa, impossibile fino ad ora[2].

A sua volta il prof. Charles Eastman, tra i massimi esperti del BIM, nella Lectio Magistralis tenuta all’Università di Pisa il 27 aprile 2017, ha sottolineato come il metodo consenta di ridurre del 30% i costi di realizzazione di un intervento poiché riduce gli sprechi, elimina gli errori progettuali prima della fase di cantiere, limita le costose varianti e offre la certezza del controllo costante di tempi e costi[3]

L’utilizzo del BIM porta con sé una serie di vantaggi che si traducono in una riduzione dei tempi, degli errori e dei costi, in una maggior semplicità e, soprattutto, in una maggiore trasparenza. Su questo ultimo punto si tornerà nel prosieguo del presente articolo.

Ciò premesso occorre valutare quale sia il collegamento fra il BIM e la disciplina degli appalti, nonché come e perché il BIM possa costruire un utile strumento di contrasto del fenomeno corruttivo.

Un primo elemento utile lo si ritrova nel Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/ 2016, di seguito “Decreto” o “Codice”).

Nello specifico, l’art. 23 del Codice, rubricato “Livelli della progettazione per gli appalti, per le concessioni di lavori nonché per i servizi”, al comma 13 prevede che le stazioni appaltanti dotate di personale adeguatamente formato “possono richiedere per le nuove opere nonché per interventi di recupero, riqualificazione o varianti, prioritariamente per i lavori complessi, l’uso dei metodi e strumenti elettronici specifici di cui al comma 1, lettera h). Tali strumenti utilizzano piattaforme interoperabili a mezzo di formati aperti non proprietari, al fine di non limitare la concorrenza tra i fornitori di tecnologie e il coinvolgimento di specifiche progettualità tra i progettisti”.

In altre parole il Legislatore concede la possibilità alle stazioni appaltanti – in determinate ipotesi ben delineate – di richiedere l’utilizzo di metodi e strumenti elettronici specificati fra cui rientra senza ombra di dubbio anche il BIM. In tal modo si intende definire progetti privi di errori e il più possibile lontani dalle costose varianti d’opera con l’obiettivo di rendere certi i tempi di realizzazione e i budget necessari.[4]

Un altro passaggio interessante della norma ora richiamata è quello concernente la necessità che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (di seguito “MIT” o “Ministero”), anche avvalendosi di una commissione istituita ad hoc al suo interno, emani un decreto che definisca “le modalità e i tempi di progressiva introduzione dell’obbligatorietà dei suddetti metodi presso le stazioni appaltanti, le amministrazioni concedenti e gli operatori economici, valutata in relazione alla tipologia delle opere da affidare e della strategia di digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche e del settore delle costruzioni”.

Per dare attuazione a tale previsione il MIT, con il decreto 242 del 15 luglio 2016, ha istituito al suo interno la c.d. “Commissione Barotono” che prende il nome dal nome dal suo presidente, l’ing. Pietro Baratono, provveditore interregionale per le opere pubbliche.

La Commissione come primo step operativo ha avviato, attraverso la predisposizione di un questionario e l’audizione degli stakeholder, una fase di ascolto che ha portato alla redazione di una bozza del decreto.

Prima di giungere alla stesura del testo definitivo del decreto il Ministero per “allargare il ventaglio dei soggetti coinvolti nel processo partecipativo […] al fine di raccogliere tutti i contributi di chi quotidianamente è coinvolto nell’utilizzo dei metodi e degli strumenti elettronici specifici, quali quelli per l’edilizia e le infrastrutture[5] ha deciso di promuovere una consultazione pubblica on line avente come ad oggetto la bozza predisposta dalla Commissione.

Al temine di tale procedura consultiva (durata dal 19 giugno al 3 luglio 2017), il MIT, tenendo anche in considerazione quanto emerso dalla stessa, ha avviato la stesura del documento definitivo. Si è, dunque, in attesa dell’emanazione del provvedimento, che parrebbe ormai prossima.

Ad oggi, in attesa del testo definitivo del decreto, si può solamente procedere ad un’analisi della bozza predisposta dalla Commissione evidenziandone alcuni elementi fondamentali, in attesa di verificare se gli stessi saranno o meno confermati dal MIT nel testo definitivo:

  • Adempimenti preliminari delle stazioni appaltanti (art. 3)
  • Cronoprogramma dell’introduzione del BIM per l’edilizia e le infrastrutture (art. 6)

Con riferimento al primo punto, la bozza del decreto subordina l’utilizzo del BIM all’adozione, anche a titolo non oneroso, da parte delle stazioni appaltanti:

“a) di un piano di formazione del personale in relazione al ruolo ricoperto: con particolare riferimento ai metodi e strumenti elettronici specifici, quali quelli di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture;

  1. b) di un piano di acquisizione o manutenzione degli strumenti di gestione digitale dei processi decisionali ed informativi, adeguati alla natura dell’opera, alla fase del processo e al tipo di procedura in cui sono adottati;
  2. c) di un atto organizzativo che espliciti il processo di controllo e di gestione, il gestore del dato e la gestione dei conflitti[6].

Per quel che concerne, invece, il cronoprogramma, di cui all’art. 6 della bozza, la Commissione ha previsto l’introduzione del BIM con scadenze diverse – a partire da gennaio 2019 e sino a gennaio 2025 – in base all’importo della gara, partendo dagli appalti pari o superiori a 100 milioni di euro.

Il decreto del MIT non sarà, tuttavia l’unico documento contenente indirizzi relativi all’utilizzazione del BIM da parte delle stazioni appaltanti. Anche l’ANAC, infatti, ha annunciato un proprio intervento in materia che, va detto, non si tradurrà in nuove Linee Guida, bensì in un’integrazione delle Linee Guida ___ sull’affidamento dei servizi di ingegneria e architettura. Il Consigliere dell’ANAC Michele Corradino, durante il suo intervento alla Conferenza degli Ordini degli Architetti tenutasi a Roma nel marzo 2017, ha specificato che il provvedimento dell’Autorità concentrandosi “sulle indicazioni relative all’assegnazione degli appalti con previsione di progettazione in BIM” si differenzierà dal decreto ministeriale che regolamenterà, invece, le modalità e i tempi di introduzione del BIM nella progettazione delle opere pubbliche.

Vi sono ulteriori elementi da considerare per valutare il collegamento fra il BIM e la prevenzione del fenomeno corruttivo nel mondo degli appalti pubblici. In primo luogo si può affrontare la questione parlando della trasparenza che, rispetto al fenomeno corruttivo, “realizza […] una misura di prevenzione poiché consente il controllo da parte degli utenti dello svolgimento dell’attività ammnistrativa”[7].

Come sopra evidenziato, l’utilizzo del BIM porta alla creazione di un modello tridimensionale contenente tutti i dati relativi a una specifica opera, che devono essere disponibili in formati digitali aperti. A tal proposito, la legge n. 190/2012, all’art. 35, lett. f) prevede che “per formati di dati aperti si devono intendere almeno i dati resi disponibili e fruibili on line in formati non proprietari, a condizioni tali da permetterne il più̀ ampio riutilizzo anche a fini statistici e la ridistribuzione senza ulteriori restrizioni d’uso, di riuso o di diffusione diverse dall’obbligo di citare la fonte e di rispettarne l’integrità̀”.

Alla luce di quanto sin qui esposto, è evidente l’impatto che l’utilizzo del BIM ha sulla trasparenza degli appalti: l’avere un’unica fonte d’informazioni circa un determinato progetto e il fatto che i dati relativi allo stesso siano fruibili a tutti on line consente, infatti, un ampio controllo sull’opera e sulle sue caratteristiche.

Un secondo profilo da considerare riguarda, invece, gli errori di progetto e le varianti in corso d’opera[8].

Nella gestione per così dire tradizionale dei progetti di appalto, i controlli vengono effettuati nelle fasi conclusive della progettazione e a campione. Tramite l’utilizzo della metodologia BIM, invece, le verifiche vengono condotte durante l’intero sviluppo del progetto e in maniera molto più ampia.

In generale può dirsi che la validazione di un modello BIM si estrinseca in tre livelli: i) verifiche formali, ii) Code checking, iii) Clash detection.

Per quel che concerne le verifiche formali, le stesse hanno a oggetto le informazioni veicolate dagli oggetti parametrici 3D utilizzati nella progettazione[9].

Il Code checking, invece, consiste nella verifica dell’aderenza dell’opera in costruzione alle richieste progettuali e normative.

Infine, la Clash detection si sostanzia nella ricerca di possibili interferenze fra gli oggetti presenti nei progetti provenienti dai diversi “attori del progetto” (architetto, ingegnere, impiantista ecc..) per identificare dove i progetti vanno in collisione tra loro. Tale controllo ha un impatto notevolissimo sugli errori in quanto rende possibile anticipare i problemi che altrimenti si verificherebbero in cantiere, con un maggior costo ed una maggiore difficoltà di risoluzione[10].

Ciò che assume un’importanza rilevante ai fini della maggior efficacia ed efficienza dei progetti gestiti tramite il BIM è la capacità di “tradurre in parametri” (anche tramite la creazione di un database) le caratteristiche degli oggetti informatici rappresentati nel modello, le indicazioni normative e quanto richiesto nel progetto. Ciò consente di poter effettuare dei controlli automatici dei requisiti di progetto e, quindi, una verifica molto più ampia.

L’introduzione del BIM consente, quindi, di i) eliminare gli errori progettuali prima della fase di cantiere ii) pianificare e definire meglio le sequenze dei lavori nella fase di costruzione, verificando, quindi, la quantità e l’approvvigionamento dei materiali. In questa fase, pertanto, al fine di tenere sotto controllo gli sprechi, i costi, i tempi di realizzazione e le eventuali varianti in corso d’opera, il modello può essere continuamente aggiornato anche con le informazioni di costruzione.

Come afferma la Prof.ssa Anna Osello, docente del Politecnico di Torino, infatti, il BIM “permette di ottimizzare i processi rilevando le incongruenze tra i diversi contributi a livello di progettazione”, generando una certezza dei dati che “riduce al minimo la possibilità di aggiudicarsi una gara attraverso ribassi d’asta del 70% che poi si cerca di recuperare con le varianti progettuali[11]”.

Da quanto sin qui brevemente esposto emergono chiaramente gli impatti positivi che l’introduzione del BIM potrebbe avere e ci si augura avrà, anche sulla prevenzione della corruzione.

 

 

 

 

 

[1] Si ha cioè una visione olistica che dà ampio e paritario spazio a tutte le discipline e le professionalità coinvolte nel progetto.

[2] Sul punto si veda projects.buildingsmartalliance.org/files/?artifact_id=1533

[3] http://www.pisainformaflash.it

[4] Si tratta, secondo il delegato per l’area mediterranea della Saint Gobain – la multinazionale leader nei prodotti per costruzione – Gianni Scotti, di “uno strumento fondamentale per i professionisti del settore che si stima possa generare risparmi sino al 30%”. La Saint Gobain – forte anche dell’esperienza maturata in paesi ove il BIM è già obbligatori – ha reso disponibile sin dal 2016 la propria libreria di sistema BIM creata ad hoc per ogni singolo paese

[5] http://commenta.formez.it/ch/CodiceAppalti

[6] Per un approfondimento sull’impatto economico che l’adozione del BIM avrà sulla PA, si vedano “Codice appalti, conto salato per la PA per adottare il BIM: 450 milioni di euro”, di Giuseppe Latour, pubblicato su Il Sole 24 Ore – Edilizia e Territorio del 25 settembre 2017 e “Bim, Occhiuto (ANCI): bene il decreto ma ai Comuni serve un aiuto per la formazione e gli investimenti” , di Giuseppe Latour, pubblicato su Il Sole 24 Ore – Edilizia e Territorio del 22 giugno 2017 .

[7] Circolare n. 1/2013 del Dipartimento della Funzione Pubblica.

[8] Sull’argomento si può vedere Miconi, Le modifiche del contratto e le varianti in corso d’opera nel d.lgs. 50/2016 tra vecchie e nuove criticità, nonché Caruocciolo, L’istituto delle varianti in corso d’opera e la sorte del contenuto contrattuale: profili di responsabilità anche alla luce della normativa in tema di prevenzione della corruzione, in Appalti e Contratti, 18 gennaio 2016. L’ANAC ha pubblicato già nel novembre 2014 il risultato di una profonda analisi su un campione di 90 varianti in corso d’opera che ha evidenziato un enorme spreco di risorse pubbliche e una grande opacità che favorisce i comportamenti corruttivi

[9] Un esempio di verifica formale è il confronto fra i Level of Development richiesto dai documenti contrattuali nelle varie fasi del progetto e la tipologia di informazioni contenute negli oggetti 3D costituenti il modello virtuale.

[10] I due parametri principali da verificare in sede di Clash Detenction sono la gravità e la tolleranza dell’interferenza. Comprendere la gravità delle interferenze rilevate consente di poter predisporre una gerarchia delle stesse in modo da rendere più efficace ed efficiente la verifica stessa. Quanto alla tolleranza, bisogna tener presente che spesso nei cantieri per esigenze legate alla riuscita dell’opera stessa possono verificarsi delle collisioni fra elementi di progetto. Comprendere, quindi, quali interferenze possono essere tollerate e quali no consente di ridurre il numero delle istanze segnalate e di agire solamente su quelle effettivamente significative.  E‘evidente l’impatto che una corretta identificazione e gestione delle interferenze, anche alla luce dei criteri appena esposti, ha sui costi del progetto, sugli errori e sulle possibili varianti.

[11] “Appalti puliti, c’è un metodo: “La Regione lo sperimenti per il Parco della Salute”, di Maurizio Tropeano, pubblicato su La Stampa del 25 febbraio 2016.

 

 

 

 

 

 

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