COSÌ IL LAVORO AFFOGA NELLA BUROCRAZIA

Nella categoria Che si dice in giro da su 7 settembre 2017 0 Commenti

Racconta Francesca Sironi sull’ESPRESSO  del 30 agosto 2017, come  la moltiplicazione delle scartoffie ruba tempo e tutela poco, tra quintali di carta, moduli da riempire, certificazioni, autodichiarazioni.

 

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L’ipocrisia di una regola affermata, ma sistematicamente disattesa nella pratica, è un male peggiore dell’assenza di quella stessa norma.

Perché «le regole nascono per dare soluzioni ai problemi concreti. Questa è la funzione che dovrebbero tornare a svolgere. Altrimenti ecco le disfunzioni che stiamo osservando in Italia». Riccardo Salomone è ordinario di Diritto del lavoro a Trento. Ed è convinto che «il diritto sia stato caricato di funzioni e significati diversi dai propri». Che soffra, soprattutto, di «una sistematica, perniciosa, ipocrisia», nel nostro paese.

Ipocrisia che porta a scrivere un’abbondanza di protocolli, codici e cavilli in commi a contratti, per poi lasciare che la realtà continui a discostarsene con «deviazioni gigantesche». Generando così una doppia stortura: da una parte le norme si fanno più complesse; dall’altra i cittadini smettono di farvi affidamento.

«I sistemi normativi sembrano servire oggi soprattutto per evitare questioni », continua Salomone.

Risultato? «Diventano burocrazie».

Ovvero: l’esercizio del diritto si esaurisce in un modulo che ne prevede la tutela.

Per iscritto. E poi non resta altro che un foglio, un’indicazione astratta, incapace di fermarne le eventuali violazioni, di dare soluzioni e spazi, di entrare nel merito.

Francesca Sironi racconta, poi, di Roberto Orlandi, un ortopedico, non un giurista. Ma vede nella sua pratica gli stessi meccanismi indicati dal prof. Salomone. Due mesi fa ha scritto a un quotidiano locale, a Bergamo, lamentando come «la burocrazia valga ormai più del malato». «Da chirurgo penso che sia giusto, e fondamentale, che il medico, il primo responsabile di quanto accade in sala operatoria, scriva nel dettaglio e firmi il verbale dell’intervento eseguito», racconta: «Verbale che comprende la diagnosi, la descrizione, i codici operativi, le check list e tutto il resto. Ma non è normale che io debba ricopiare sulla scheda di dimissioni quanto è già contenuto in quel documento. E così per tutti i copia e ricopia che ci è chiesto di fare, anche dieci volte a operazione, carta che sottrae il nostro tempo a chi è in cura e all’aggiornamento professionale».

Sono mansioni amministrative e burocratiche, insiste «che servono solo ad agevolare i controller, non i pazienti». Da due anni si cerca di estendere in Italia la cartella clinica elettronica, che dovrebbe rendere automatico il processo, «ma rischia di rimanere indiscusso il principio: quello di aumentare i moduli per scaricare le responsabilità lungo la catena. È come mettere un divieto da 40 chilometri sulla rampa d’uscita dell’autostrada: sai che tutti andranno più forte, ma così scarichi la responsabilità».

 

Fonte: http://espresso.repubblica.it/attualita/2017/08/30/news/cosi-il-lavoro-affoga-nella-burocrazia-1.308723

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