LEGAMBIENTE, “SPORCO PETROLIO”: CORRUZIONE , INQUINAMENTO E MALAFFARE

Nella categoria Ambiente e Territorio da su 27 aprile 2016 0 Commenti

“(Petrolio), potere silenzioso ma non per questo meno prepotente, anzi!”. È una citazione di Pier Paolo Pasolini ad aprire l’ultimo dossier di  Legambiente, presentato l’8 aprile 2016 a Perugia, dal titolo Sporco Petrolio. Il rapporto, in 16 pagine, ha cercato di fare chiarezza sulle conseguenze dell’estrazione di petrolio e gas in Italia, prendendo in esame i principali scandali degli ultimi anni, tra illegalità, corruzione e inquinamento ambientale. Dal più recente caso del Centro Oli di Viggiano e dei casi collegati di Tempa Rossa (Pz) e Augusta (Sr), alla vicenda relativa alla piattaforma Vega al largo delle coste di Pozzallo (Rg), fino alla storia della Raffineria di Gela; dall’inchiesta sulla raffineria di Cremona a quella di Livorno, senza tralasciare indagini e sentenze su siti meno noti ma ugualmente coinvolti dall’illegalità che spesso caratterizza la filiera del petrolio.

Il settore delle estrazioni di petrolio e gas, si legge nel dossier, è in assoluto fra i più a rischio corruzione, con un tasso del 25% di corruzione percepita (dato Transparency, che definisce l’indice di corruzione percepita come i livelli di corruzione determinati da valutazioni di esperti e da sondaggi d’opinione”). Petrolio, gas e risorse minerarie costituiscono tuttora i settori a maggior rischio corruzione del mondo (dati Ong Global Witness). Su un campione di 427 casi di corruzione registrati fra il 1999 e il 2014, quelli riguardanti i settori citati rappresenterebbero da soli il 19% del totale. Da quanto emerge, l’alta propensione alla corruzione nel settore delle estrazioni di gas e idrocarburi è infatti dovuta principalmente alla sproporzione fra la forza contrattuale ed economica messa in campo dai singoli operatori economici titolari e gestori degli impianti e la debolezza politica ed economica dei territori dove insistono realmente le piattaforme estrattive.

La corruzione nel settore petrolifero è un micidiale strumento per aggirare leggi e processi democratici, per spostare ingenti risorse economiche in capo a pochi soggetti in grado di organizzare e gestire reti di corruttele e malaffare, per drenare a costi irrisori risorse pubbliche alle comunità locali, lasciando sul posto solo una lunga scia di problemi ambientali. Complice una normativa di tutela ambientale farraginosa, incoerente e spesso eccessivamente astratta, sostenuta da un sistema di controlli a dir poco inadeguato, la corruzione appare qui particolarmente a suo agio e in grado di piegare leggi e regolamenti dalla parte di interessi privati, leciti e illeciti, svilendo completamente il ruolo della pubblica amministrazione.

“ È un meccanismo che alimenta ancora di più le disuguaglianze e le ingiustizie sociali, suggellate da enormi danni ambientali” ha affermato Alessandro Ferri, presidente di Legambiente Basilicata“ in contesti sociali facilmente permeabili alle pratiche corruttive, sia per ragioni imputabili alla presenza di strutture criminali mafiose e di debolezza economica che per la scarsa ‘resistenza’ di inadeguati e vacillanti apparati politico istituzionali, i controlli risultano difficilissimi, tanto che gli stessi inquirenti raccontano la difficoltà di poter monitorare e controllare i sistemi di smaltimento.”

Un lungo approfondimento nel dossier è dedicato proprio alla Basilicata, partendo dalle ultimissime vicende giudiziarie fino all’inchiesta sul Centro Oli venuta alla luce a febbraio 2014 con un primo blitz dell’Antimafia per fermare un traffico organizzato di rifiuti e la sentenza del 4 aprile del tribunale di Potenza che condanna in primo grado gli ex vertici della Total Italia relativamente a un’indagine parallela sul sito Tempa Rossa, svolta nel 2008, per tangenti sugli appalti per l’estrazione del petrolio lucano. Un lungo lavoro investigativo sembrerebbe aver scoperchiato ciò che è stato definito dalla stampa Totalgate, per l’alto presunto coinvolgimento di dirigenti della Total insieme a imprenditori, politici (nazionali e locali) e manager petroliferi. In totale sono state 31 le persone a vario titolo coinvolte (di cui 9 condannate in primo grado), per reati di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e alla turbativa d’asta, corruzione e concussione, in attesa della decisione di secondo grado della Giustizia.

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