Da Roma Antica alla Francia rivoluzionaria: il fine giustifica i mezzi

Nella categoria Storia e Letteratura da su 25 febbraio 2015 0 Commenti

Se la corruzione nacque con l’uomo, nell’antica Roma la corruzione nacque con il latte della lupa. Non a caso Marco Porcio Catone, detto “il Censore”, un forte sostenitore delle virtù di Roma, venne accusato 44 volte  di corruzione. Difficilmente saranno state tutte fondate, in quanto l’accusa di corruzione era un’arma frequentemente usata dai politici, ma pare difficile scommettere che Catone fosse estraneo a tutte e 44 le accuse.

I confini tra la correttezza e la corruzione sono sempre stati assai sottili. Lo dimostra un libro di Carlo Alberto Brioschi, “Breve storia della corruzione”, che ricostruisce con mille aneddoti, fatti, citazioni e dotti rimandi filosofici e letterari, le vicende della tangente, della raccomandazione, della finegiustmezconcussione e insomma della politica mercenaria, come dice il sottotitolo, «dall’ età antica ai giorni nostri».  «A chi importa se Giulio Cesare era un ladro?», scrive Brioschi nella domanda provocatoria che apre il libro. E ha ben motivo di chiederselo: il tempo non solo placa i dolori, ma cancella le ombre. Basti rileggere le Storie di Sallustio:

«Ognuno afferrava quello che poteva, strappava, rubava. Tutto si divise in parti e quelli dilaniavano lo Stato che stava tra loro. Lo Stato veniva governato dall’ arbitrio di pochi»

Il fine giustificava spesso i mezzi. E se fu così a Roma, così sarà anche in Francia. In 1700 anni non è cambiato molto se diamo retta al pensiero del cardinal Richelieu, che scrive così:

«l’onestà non serve a niente. Sapete come ci si fa strada a Parigi? Con lo sfavillio del genio o con l’abilità della corruzione. Bisogna entrare nella massa degli uomini come un colpo di cannone o scivolarvi come la peste. Tutti si piegano sotto la potenza del genio, ma esso è odiato, è calunniato perché pretende senza dare. La corruzione è forte. Il talento è raro. Quindi la corruzione è l’arma della mediocrità.»

E a sentir le sue confessioni non sembra pensarla tanto diversamente Luigi XIV, il Re Sole:

«Non c’è governatore di provincia che non commetta qualche ingiustizia, soldato che non viva dissolutamente, signorotto che non si atteggi a tiranno. Anche il più onesto degli ufficiali si lascia corrompere, incapace di andare controcorrente. Così il popolo, invece di un solo sovrano, ne ha mille».

In una Francia dove regnano l’ambizione, gli abusi di potere e la cospirazione, c’è ancora qualcuno disposto a combattere per innalzare il potere della giustizia e della libertà, anche se talvolta con metodi – quelli del Terrore – che una democrazia moderna rifiuta. E Maximilien Robespierre fa sentire la sua voce nel «discorso contro le nuove fazioni e i deputati corrotti»:

«Nel sistema instaurato con la rivoluzione francese tutto ciò che è immorale è impolitico, tutto ciò che è atto a corrompere è controrivoluzionario. Le debolezze, i vizi, i pregiudizi sono la strada della monarchia. Io sono fatto per combattere il crimine, non per governarlo.»

Non è ancor giunto il tempo in cui gli uomini onesti possono servire impunemente la patria. I difensori della libertà saranno sempre dei proscritti, finché alla masnada dei furfanti sarà consentito di operare con facilità.

 

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Studio Economia dei mercati e degli intermediari finanziari all’Università di Tor Vergata. Mi piace leggere e viaggiare, ma la mia vera passione è la scoperta del “diverso”. Nonostante 2 lavori part-time e un’avviata carriera agonistica nelle danze latino-americane riempiano le mie giornate, sono sempre alla ricerca di nuove avventure. E chi cerca, trova.

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