Mafia, Governale: “Sapevamo già tutto. Perché la mafia resiste e dovevamo combatterla prima”. Articolo a cura di Filippo Cucuccio.
L’ex direttore della Dia spiega come e perché ha prevalso per troppo tempo nella classe dirigente il fenomeno mafioso. Una ricerca utile a coglierne e valutarne il reale significato
Quando ci si accosta a un libro che tratta il tema della mafia la prima domanda spontanea è: cosa aggiunge alla considerevole quantità delle relazioni delle Commissioni Parlamentari, dei libri e articoli già pubblicati, dei film e dei dibattiti che si sono andati moltiplicando e stratificando negli ultimi decenni del secolo scorso e nei primi tre di quello attuale?
In effetti, in questo caso, a mio avviso, come poi si vedrà, i fili conduttori sembrano essere due. Il primo, già individuato nel titolo del libro (“Sapevamo già tutto”) è indicativo di una convinzione dell’autore, secondo cui il tema della mafia non è certamente inedito, pur con tutti suoi aspetti evolutivi ed innovativi, e la sua valutazione è stata e (forse) continua ad oscillare tra quella di tipo estetico, che si può far risalire al letterato Giuseppe Pitrè, vissuto a cavallo tra il secolo XIX e il successivo, e l’altra di tipo funzionale, legata essenzialmente a un feroce esercizio del potere. Interpretazione, quest’ultima, puntualmente avvalorata da documenti di un passato relativamente lontano (XIX secolo) e successivamente più volte riconfermata in tempi recenti da altri scritti, di cui si dà conto nel libro.
Lo stile, agile e decisamente gradevole, facilita la lettura, resa ancor più godibile dall’inserimento di numerosi ricordi personali dell’autore, che non solo riportano episodi della propria vita professionale, ma toccano anche momenti della vita privata dell’adolescenza e della prima gioventù sotto il profilo dell’educazione ricevuta e, più in generale, della formazione.
I ruoli controversi della classe dirigente nella lotta contro la mafia
Il testo è anche arricchito da significativi riferimenti a documenti storici e/o a vicende in taluni casi tragicamente note, che bene fanno capire al lettore come l’opinione pubblica, la classe dirigente e quella politica siciliane nell’inquadramento del fenomeno mafioso abbiano oscillato tra i due aspetti valutativi prima ricordati. L’esito di questo atteggiamento alternativo si è concretizzato nel contrasto, ben documentato in questo libro, tra l’impegno, il rigore e il sacrificio di alcuni politici, sacerdoti, imprenditori e singoli cittadini nell’espletamento delle proprie attività, contrapposti al senso di rassegnazione, di acquiescenza, di connivenza e, in taluni casi, di ammirazione mostrati verso gli esponenti mafiosi.
L’impegno della Sicilia e dei suoi cittadini contro la criminalità
Vi è, poi, un secondo filo conduttore, che emerge in modo prepotente da questa narrazione interessante e per certi versi avvincente e di cui ci si rende conto solo dopo aver letto il libro: l’amore profondo dell’autore per la terra siciliana e per la popolazione che vi è insediata. Un sentimento, che fa da supporto all’obiettivo di riscatto da cogliere e realizzare nella nostra storia contemporanea per provare ad affrancare la realtà siciliana e del Paese dai gravami socioeconomici e culturali della mafia; segnando, così un decisivo salto di qualità nella valorizzazione del territorio e delle risorse fisiche e umane che in esso potenzialmente abbondano.
Due fili conduttori, in definitiva, che giustificano ampiamente la realizzazione di questa opera e ne stimolano la lettura, lasciando a coloro che vi si immergono un vigoroso e appassionato messaggio di virtù civili, di cui la Sicilia e l’intero Paese certamente necessitano in questo periodo contrassegnato, purtroppo, anche dal fiaccamento morale e dall’impoverimento spirituale, frutto della crisi pandemica da Covid-19.