Pecunia non olet. A cura della Dr.ssa Chiara Tranquilli, discente del Master Anticorruzione, Terza Edizione.
La tradizione attribuisce a Vespasiano questa espressione: il denaro non puzza. E invece, ci ha ricordato il Capitano Francesco Venditti – Comandante del Gruppo della Guardia di Finanza di Vibo Valentia – il denaro sporco puzza. E puzza tanto; “spuzza” come disse Papa Francesco I, porgendo un titolo meraviglioso al libro scritto dalle quattro mani del Presidente Raffaele Cantone e dal Consigliere di Stato Francesco Caringella.
E quell’odore la Guardia di Finanza (GdF) lo sente più di ogni altra Forza dell’Ordine, un finanziere lo avverte più di ogni altro cittadino. Un corpo dello Stato, che per lavoro controlla fiumi di denaro e che – come tanti controllori – avrebbe potuto ergersi con superbia e mettersi in dosso la maschera di chi sa cosa è giusto e quindi non sbaglia mai. Niente di più dannoso, ma succede. E invece, no. Il Capitano Venditti ci ha parlato del Codice Deontologico della GdF che è evidentemente figlio di una coscienza: più si è vicini al rischio corruzione, più è facile rimanerne vittima. Un codice non basta da solo a prevenire la corruzione, non è sufficiente ma è – senza dubbio – necessario.
Partendo dalla solida base del Codice di Comportamento dei Dipendenti Pubblici (a norma dell’articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165), la GdF stringe la cinghia attorno alla vita, quella privata dei propri componenti e crea un articolo nuovo, una norma di comportamento non prevista dal D.Lgs 165. L’art. 6 del Codice Deontologico della GdF, è denominato infatti Comportamento nella Vita Privata e chiede – con il comma 1 – di “astenersi dal creare condizioni o assumere atteggiamenti che possano recare nocumento o portare discredito all’Istituzione”. Le “condizioni” e gli “atteggiamenti” non sono forse il motore del conflitto di interessi? Non sono quelli che – se non riconosciuti e non gestiti – portano a quel ramo del lago del conflitto che volge alla corruzione?
Chi come me lavora nella Pubblica Amministrazione e continua a resistere all’idea che – in fondo – un algoritmo esistenziale che selezioni i rapporti umani con i fornitori o con chicchessia, non resti l’unica via per sconfiggere la corruzione, sa che basta poco per trasformare quel rapporto in qualcosa che acceca e che lo fa prevalere sul bene dell’Amministrazione: il “nocumento” di cui parla l’articolo 6. E sa anche che il limen di 150 euro posto dal D.Lgs 165 alle regalie non incontra la sostanza di certi rapporti, perché un bel regalo da 100 euro piazzato al momento giusto, può creare quel senso di piacere, quel feeling che dolcifica e smussa, quel non-so-che, che alla fine ti fa preferire Sempronio al posto di Caio.
“Preferire” viene dal latino e a volte le cose, per capirle bene, basta guardarle all’origine: prae-ferre, porto davanti. Non perché uno è il più bravo o il più adatto, ma perché è scattata una preferenza. Che poi, a ben pensarci, è la cosa più umana che c’è e non c’è proprio niente di male: Giovanni era il discepolo che Gesù di Nazareth preferiva. E allora, come se ne esce? Con l’algoritmo? No grazie. Con le regole? Impossibile. Con l’Idea (la maiuscola non è un refuso) di morale e col bene comune? Una stella polare, lassù. E qui giù? C’era una volta una cosa che si chiamava buon esempio e che ora – perdute certe tradizioni e certi modi di stare al mondo – passa necessariamente dalla formazione. Dalla formazione di quelli che si chiamano “vertici”, di quelli che decidono, indirizzano. Che poi, a cascata e anche col solo agire, educano e formano tutti. Perché la formazione rende avvezzo anche il dipendente pubblico più onesto del mondo, avvezzo al fatto che il rischio di allontanarsi dal bene comune è dietro l’angolo, è nei rapporti umani, nelle simpatie e – soprattutto – nelle antipatie.
Una formazione che parta dalle norme e arrivi alla sostanza del male arrecato dalla corruzione, che faccia capire in che bellezza potrebbero andare a finire i soldi prima che finiscano per puzzare. Solo così regali da 150 euro, favori, occhiolini strizzati, o – peggio – minacce velate, saranno sempre meno attraenti e sempre più nauseanti. Un passo alla volta e con tanta umiltà, ché fare la fine di Icaro non serve a nessuno.