Adeguamento dell’ordinamento italiano al diritto europeo e internazionale in materia di anticorruzione: un’occasione da non perdere. A cura di Maria Simona Mariani, discente III edizione Master in Anticorruzione, Università degli studi di Tor Vergata.
Il primo capoverso del preambolo della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata a Merida dall’Assemblea Generale dell’Onu il 31 ottobre 2003, afferma: “Gli Stati Parte alla presente Convenzione, preoccupati dalla gravità dei problemi posti dalla corruzione e dalla minaccia che essa costituisce per la stabilità e la sicurezza delle società, minando le istituzioni ed i valori democratici, i valori etici e la giustizia e compromettendo lo sviluppo sostenibile e lo stato di diritto……….hanno convenuto quanto segue…..”.
Già solo questo capoverso contiene in nuce tutto quello che vuol dire la lotta alla corruzione e le implicazioni sociali, economiche e culturali che ne conseguono. Nello scenario internazionale e, di conseguenza, nazionale si è posto con prepotenza sotto i riflettori il fenomeno della corruzione quale fonte di grave minaccia per la società e la democrazia stessa. Ciò posto e dando ormai per universalmente conosciuto quello che è l’indice di percezione della corruzione di Trasparency International che – seppur con alterne vicende – non vede mai il nostro Paese in ottime posizioni, si vuole ragionare circa la nozione di corruzione che si è delineata in ambito italiano e le eventuali conseguenze da essa derivanti.
I principi già da tempo accolti in ambito internazionale sono stati recepiti in Italia con legge 190/2012 nonché con tutta una serie di interventi legislativi successivi (a titolo esemplificativo il d.lgs. n. 33 del 2013 in materia di trasparenza amministrativa, il d.lgs. n. 39 del 2013 in materia di incompatibilità ed inconferibilità, il regolamento che disciplina il codice di comportamento dei dipendenti pubblici; il primo PNA etc). Tutto il pacchetto di provvedimenti adottato al fine di adeguare l’ordinamento interno a quello internazionale, ha permesso alle pubbliche amministrazioni (e non solo) di avere una serie di strumenti in mano per poter concretamente prevenire il fenomeno corruttivo. Allo stesso tempo, tuttavia, questi provvedimenti hanno in parte proposto una nozione di corruzione diversa da quella penalmente riconosciuta, delineando secondo alcuni la nozione di “corruzione amministrativa”, più estesa di quella “penale” e coincidente con la c.d. maladministration.
Probabilmente si può affermare che non si crea una nuova nozione di corruzione, che resta quella di rilevanza penale, ma si modifica l’approccio, perché si amplifica il campo di intervento prima circoscritto ad funzione repressiva di violazioni specifiche ed oggi rivolto invece in un’ottica preventiva, su aspetti organizzativi e procedurali. Questo “ampliamento” è quindi soltanto il frutto della diversa logica della prevenzione rispetto alla repressione: un mutamento di prospettiva per cui diventano rilevanti situazioni nelle quali il rischio è meramente potenziale, il conflitto di interessi “apparente”, ma in presenza delle quali è necessario entrino in gioco misure di “allontanamento” dal rischio, con scelte che talvolta prescindono completamente dalle condotte individuali.
L’approccio preventivo al contrasto alla corruzione ha comportato, inoltre, lo sviluppo di un metodo di rilevazione e misurazione della corruzione e la costituzione di un assetto gestionale ispirati a modelli di risk management, finora quasi assenti nella pubblica amministrazione italiana. Questo sistema di gestione del rischio è uno strumento di prevenzione che consente di definire quali sono i pericoli che un’organizzazione corre e, dunque, quali sono i presidi organizzativi che occorre porre in essere.
Pertanto l’Italia, partendo dall’esigenza di adeguarsi al contesto normativo internazionale ed europeo in materia di corruzione, ha fatto importanti passi in avanti, anche se tanta strada c’è ancora da fare. L’Italia, infatti, deve combattere non solo contro la corruzione ma contro un altro fenomeno che alla corruzione è strettamente legato ossia l’inefficienza. Qualcuno ha ipotizzato che la corruzione nasce come risposta all’inefficienza, in realtà è l’inefficienza che crea tutti i “fattori abilitanti” idonei a consentire di realizzare fenomeni corruttivi. Nella Cerimonia inaugurale dell’anno giudiziario 2017, il procuratore generale Claudio Galtieri ha affermato che “E’ l’inefficienza a creare ampie ‘zone oscure’, nelle quali più facilmente si possono inserire e nascondere i conflitti di interesse e la corruzione”, afferma il procuratore generale della Corte dei Conti. “L’utilizzazione delle risorse pubbliche – spiega Galtieri – avviene attraverso procedure e meccanismi che, per la loro complessità e la loro diffusione nel territorio, favoriscono spesso fenomeni distorsivi che determinano sia inefficienze sia, in modo non infrequente, fenomeni di rilievo penale”. Combattere la “corruzione ‘diffusa’ costituita da singoli comportamenti legati a singole persone” consente anche “di combattere la cattiva amministrazione” perché per contrastare questo tipo di fenomeni serve “trasparenza, semplificazione, tempestività dei procedimenti…….”.
Ecco allora, indipendentemente dal concetto ampio o meno che si vuole adottare di corruzione, che il processo di risk management al quale si stanno approcciando tutte le pubbliche amministrazioni in questi ultimi anni può costituire anche (o forse soprattutto) la metodologia per affrontare anche le inefficienze della propria struttura di appartenenza, che spesso costituisce l’anticamera della corruzione in senso proprio.
Ecco quindi che l’adeguamento del sistema italiano a quello transfrontaliero può essere l’occasione, forse l’ultima, per cambiare in meglio il paese e non solo come lotta alla corruzione in senso stretto ma come lotta a tutte le inefficienze che nel breve, medio e lungo periodo porteranno inevitabilmente ad effetti devastanti sulla collettività.
Risulta importante quindi cogliere al meglio questa possibilità, questa chance di cambiamento, che tanto è richiesta da parte della comunità nazionale ed internazionale. Probabilmente per vedere i risultati non basteranno 20 anni, ma non cogliere l’importanza dell’introduzione di questi strumenti di risk management nelle pubbliche amministrazioni quale occasione non solo per combattere la corruzione ma per rendere finalmente efficiente (o almeno più efficiente) l’apparato amministrativo sarebbe davvero un errore.
Il sentimento largamente diffuso di stanchezza e voglia di cambiamento che proviene da più parti della società unitamente ad alcuni strumenti che prima erano scarsamente conosciuti può, col tempo, consentire il tanto auspicato cambio di rotta e si spera di essere una piccola parte di questo cambiamento che anche la Convenzione di Merida tanto auspicava.