Acqua: resistono le gestioni in economia
Proseguiamo l’excursus sulla gestione dell’acqua da parte della Pubblica Amministrazione iniziato negli ultimi articoli: Acqua il ciclo idro-illogico e La sete di denaro prosciuga gli acquedotti.
«Sono 2mila le cosiddette “gestioni in economia”, e cioè altrettanti Comuni che continuano a governare sulle loro piccole reti, con «forti carenze nelle condizioni fisiche delle condotte» e di «una rete acquedottistica complessivamente vetusta, con il 22% delle condotte di età superiore ai 50 anni, a fronte di una vita utile considerata ai fini regolatori pari a 40 anni». E tra le sue «prime criticità» si cita «l’elevato livello di perdite idriche», scrive Claudio Gatti, su Il Sole 24 ore del 7 settembre 2017, alle pagine 1 e 5.
Oltre all’esempio più vistoso d’inadempienza offerto dalla Calabria (dove la riforma è praticamente rimasta sulla carta).
Oltre all’età delle tubature a questo concorre anche il fatto che solo sul 14% della rete di distribuzione i gestori utilizzano sistemi tecnologicamente avanzati per verificare le perdite. Ecco dunque che a Cagliari arrivano al 59,3%, a Campobasso al 67,9 e a Potenza addirittura al 68,8%, quando nel resto d’Europa il tasso medio è di circa il 25% e in Israele a meno del 20.
Insomma è evidente che le perdite sono inversamente proporzionali agli investimenti.
E questi in Italia sono da decenni troppo pochi, e ultimamente focalizzati soprattutto sui problemi di trattamento delle acque reflue (pervia delle normative e delle sanzioni europee), «Nel quadriennio 2016-2019 gli investimenti stanno arrivando a livelli tripli di quelli di una volta, ma ancora non è sufficiente. Ci sono decenni d’investimenti non fatti da recuperare e, in base alla nostra stima, ammontano ad almeno il doppio di quelli previsti dagli attuali piani d’ambito», sostiene il professor Massarutto, secondo il quale, dai 45/50 euro per abitante previsti in seguito al piano tariffario redatto dall’Autorità per questo quadriennio, occorrerebbe arrivare il più in fretta possibile agli investimenti dei Paesi più virtuosi, quali Germania, Francia e Olanda.»