Mafia: i beni confiscati sono un’opportunità da 600 milioni.

Nella categoria Maladministration e sprechi da su 13 settembre 2017 0 Commenti

Dei 23 mila beni confiscati solo una minoranza è riutilizzata correttamente, la stima della “Fondazione con il Sud” approssima il numero ad un migliaio.

Il problema fondamentale è che la gestione di questi beni richiede investimenti e soprattutto richiede che essi siano affidati a chi sia in grado di usarli al meglio. Importante è anche il controllo ex-post dei beni, che però appare alquanto inesistente. Il riutilizzo dei beni sequestrati è di vitale importanza per lo Stato, può alimentare l’opinione pubblica in positivo e accresce la sua percezione sul territorio.

 

Un esempio virtuoso- di finanziamenti che sono stati sfruttati in maniera perfetta è l’osteria sociale “La Tela” poco sopra Milano, a Rescaldina precisamente. Nel 2010, in un maxiprocesso alla ‘ndrangheta, è stata sequestrata una pizzeria, ritenuta sotto il controllo di Giuseppe Antonio Medici. Dopo cinque anni di inerzia, grazie ad un bando aperto dal comune questo posto è ritornato a vivere nella più assoluta legalità. Infatti, attraverso ai rigorosi standard imposti dal comune, l’assegnazione è avvenuta in maniera trasparente e seria. Tramite l’inserimento di clausole sociali nel bando si è voluto dare una risposta morale alla ‘ndrangheta, infatti Arzuffi, membro della cooperativa vincitrice dell’appalto, ha dichiarato:” «L’obiettivo era tornare a essere ristorante ma anche un centro di promozione culturale”. “La Tela” ora è un ristorante funzionante che nell’ultimo anno ha chiuso il bilancio in pareggio; ma ancora di più è segno di presenza sul territorio dello stato in contrapposizione alle organizzazioni mafiose. Grazie al finanziamento di 175 mila euro da parte della regione e un investimento di 40 mila euro da parte della cooperativa sociale Arcadia si è dato uno schiaffo morale alla ndrangheta: “La Tela” passa da essere un luogo di riunioni criminali e malavitose a un luogo di cultura e di promozione di prodotti ecosostenibili ed equosolidali. Il locale, infatti, utilizza solo prodotti che non hanno legami con le associazioni mafiose nel rispetto dei diritti umani.

bene-sequestrati-mafia

Il problema della raccolta dati

Informazioni certe sui beni sequestrati ce ne sono poche e spesso sono incomplete e non uniformi. Gli unici dati raccolti in maniera attendibile sono di E&Y che però riguardano solo le aziende confiscate. Delle 17 mila aziende sequestrate dal 1995 al 2016, 10 mila risultano attive, ma a dare veri segni di attività sono solo 2758. Nonostante i notevoli finanziamenti erogati alla realizzazione di sistemi telematici per il censimento dei beni sequestrati solo 5-10% risultava trasmesso. Quasi 21 milioni di euro di fondi strutturali sono andati alla costruzione di un sistema informatico che risulta al giorno d’oggi utilizzato in maniera approssimativa. Per i beni mobili i dati non esistono neppure, ma sarebbe fondamentale raccoglierli per capire come la mafia ricicla denaro. Specialmente negli ultimi anni la tendenza delle associazioni mafiose è di investire soldi in imprese redditizie mimetizzandosi perfettamente nel territorio, mappare i possessori dei beni sequestrati aiuterebbe molto le indagini.

Una gestione professionale dell’intero patrimonio immobiliare attraverso una specifica entità pubblica capace di garantire rendimenti e utilizzi migliori- Queste sono le parole di Livia de Gennaro per ovviare al problema del deperimento dei beni confiscati. Una rivoluzione che porterebbe ad aumentare la redditività dei beni e il loro utilizzo. Richiedere per l’assegnazione di questi beni competenze manageriali ed industriali sembra essere la soluzione all’inefficienza di questo sistema. Il dibattito per fortuna sta eliminando un tabù: bisogna dare la possibilità di acquisto di questi beni anche ai privati. «Il timore che ritornino in mano ai mafiosi è stato spesso un alibi, mentre sarebbe meglio fare come in altri Paesi: si vende e la somma va al Fondo unico di giustizia per fare altro», commenta Savona; questa soluzione risolverebbe il problema dei beni in stato di degrado che danneggiano l’immagine dello Stato a vantaggio delle organizzazioni criminali. Infatti, da questa condizione di inefficienza la criminalità ne guadagna anche dal punto di vista dell’approvazione sociale. Un bene abbandonato è simbolo di uno stato debole agli occhi della popolazione, viceversa una confisca che diventa un’attività economica prosperosa è simbolo di un rilancio sociale che rincuora i cittadini e indebolisce le mafie.  Il volume dei sequestri in Italia è enorme, si parla di un valore di circa 600 milioni di euro di beni confiscati, essi però non vanno abbandonati ma il loro valore deve crescere grazie ad investimenti privati e pubblici che promuovano la cultura della legalità.

 

 

 

 

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Vivo a Roma, studio Economia. Amo tutto ciò che riguarda il circostante. Credo in una rivoluzione culturale più che politica e attraverso questo progetto voglio contribuire ad essa.

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