Mafia: i beni confiscati sono un’opportunità da 600 milioni.
Dei 23 mila beni confiscati solo una minoranza è riutilizzata correttamente, la stima della “Fondazione con il Sud” approssima il numero ad un migliaio.
Il problema fondamentale è che la gestione di questi beni richiede investimenti e soprattutto richiede che essi siano affidati a chi sia in grado di usarli al meglio. Importante è anche il controllo ex-post dei beni, che però appare alquanto inesistente. Il riutilizzo dei beni sequestrati è di vitale importanza per lo Stato, può alimentare l’opinione pubblica in positivo e accresce la sua percezione sul territorio.
Un esempio virtuoso- di finanziamenti che sono stati sfruttati in maniera perfetta è l’osteria sociale “La Tela” poco sopra Milano, a Rescaldina precisamente. Nel 2010, in un maxiprocesso alla ‘ndrangheta, è stata sequestrata una pizzeria, ritenuta sotto il controllo di Giuseppe Antonio Medici. Dopo cinque anni di inerzia, grazie ad un bando aperto dal comune questo posto è ritornato a vivere nella più assoluta legalità. Infatti, attraverso ai rigorosi standard imposti dal comune, l’assegnazione è avvenuta in maniera trasparente e seria. Tramite l’inserimento di clausole sociali nel bando si è voluto dare una risposta morale alla ‘ndrangheta, infatti Arzuffi, membro della cooperativa vincitrice dell’appalto, ha dichiarato:” «L’obiettivo era tornare a essere ristorante ma anche un centro di promozione culturale”. “La Tela” ora è un ristorante funzionante che nell’ultimo anno ha chiuso il bilancio in pareggio; ma ancora di più è segno di presenza sul territorio dello stato in contrapposizione alle organizzazioni mafiose. Grazie al finanziamento di 175 mila euro da parte della regione e un investimento di 40 mila euro da parte della cooperativa sociale Arcadia si è dato uno schiaffo morale alla ndrangheta: “La Tela” passa da essere un luogo di riunioni criminali e malavitose a un luogo di cultura e di promozione di prodotti ecosostenibili ed equosolidali. Il locale, infatti, utilizza solo prodotti che non hanno legami con le associazioni mafiose nel rispetto dei diritti umani.
Il problema della raccolta dati
Informazioni certe sui beni sequestrati ce ne sono poche e spesso sono incomplete e non uniformi. Gli unici dati raccolti in maniera attendibile sono di E&Y che però riguardano solo le aziende confiscate. Delle 17 mila aziende sequestrate dal 1995 al 2016, 10 mila risultano attive, ma a dare veri segni di attività sono solo 2758. Nonostante i notevoli finanziamenti erogati alla realizzazione di sistemi telematici per il censimento dei beni sequestrati solo 5-10% risultava trasmesso. Quasi 21 milioni di euro di fondi strutturali sono andati alla costruzione di un sistema informatico che risulta al giorno d’oggi utilizzato in maniera approssimativa. Per i beni mobili i dati non esistono neppure, ma sarebbe fondamentale raccoglierli per capire come la mafia ricicla denaro. Specialmente negli ultimi anni la tendenza delle associazioni mafiose è di investire soldi in imprese redditizie mimetizzandosi perfettamente nel territorio, mappare i possessori dei beni sequestrati aiuterebbe molto le indagini.
Una gestione professionale dell’intero patrimonio immobiliare attraverso una specifica entità pubblica capace di garantire rendimenti e utilizzi migliori- Queste sono le parole di Livia de Gennaro per ovviare al problema del deperimento dei beni confiscati. Una rivoluzione che porterebbe ad aumentare la redditività dei beni e il loro utilizzo. Richiedere per l’assegnazione di questi beni competenze manageriali ed industriali sembra essere la soluzione all’inefficienza di questo sistema. Il dibattito per fortuna sta eliminando un tabù: bisogna dare la possibilità di acquisto di questi beni anche ai privati. «Il timore che ritornino in mano ai mafiosi è stato spesso un alibi, mentre sarebbe meglio fare come in altri Paesi: si vende e la somma va al Fondo unico di giustizia per fare altro», commenta Savona; questa soluzione risolverebbe il problema dei beni in stato di degrado che danneggiano l’immagine dello Stato a vantaggio delle organizzazioni criminali. Infatti, da questa condizione di inefficienza la criminalità ne guadagna anche dal punto di vista dell’approvazione sociale. Un bene abbandonato è simbolo di uno stato debole agli occhi della popolazione, viceversa una confisca che diventa un’attività economica prosperosa è simbolo di un rilancio sociale che rincuora i cittadini e indebolisce le mafie. Il volume dei sequestri in Italia è enorme, si parla di un valore di circa 600 milioni di euro di beni confiscati, essi però non vanno abbandonati ma il loro valore deve crescere grazie ad investimenti privati e pubblici che promuovano la cultura della legalità.
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