I greci e i latini già combattevano la corruzione. A cura di Prof. Vittorio Capuzza

 

 

Si può dire che già nel VI secolo a.C. la corruzione era avvertita come un male.

Eschilo (526, + 456) rappresenta l’Orestea nella primavera del 458 ad Atene, all’epoca alleata ad Argo nella guerra contro Sparta. È l’ultima vittoria del poeta nei concorsi ad Atene.

Le Eumenidi è l’opera nella quale coloro che sono tenute a far rispettare l’ordine di dike (le Erinni rappresentate dalla figura Corifea) affrontano uno scontro dialettico, diventando parte (i.e. l’accusa) in un vero e proprio processo, in cui il collegio umano dei giudici presieduto da Atena è chiamato a valutare anche le tesi difensive dei testi (Apollo, in primis) a favore di Oreste imputato.

Il consesso dei giudici istituito da Atena è «venerando, severo», posto a tutela «di coloro che dormono» (bellissima immagine che si congiunge all’incipit dell’Agamennone, nel quale la sentinella veglia: forse Leopardi riecheggia questa attesa ne La sera del dì di festa: «Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno / appare in vista, a salutar m’affaccio»).

Inoltre, fra le caratteristiche che Eschilo riconosce come presupposti del retto giudicare, v’è la necessità che gli uomini chiamati a sentenziare in nome di una verità superiore siano «incorruttibili». Così Eschilo: «ἄθικτον» (Eu., 704), che significa «incorruttibili» appunto, «intangibili», fino a indicare ciò che è «sacro», come lo stesso Eschilo intenderà nell’Agamennone, verso 371.

Diviene significativo il termine scelto dal poeta se si considera che ἄθικτον deriva, senza la negazione operata dalla vocale iniziale, da qigganei che vale come “conseguire, raggiungere, impadronirsi”, fino a «toccare l’animo» (letteralmente: «il fegato») (così in Ag., 432 il Coro nel paragone con Ilio distrutta dalle fiamme).

E Atena estende questa esortazione rivolta al consesso giudicante appena costituito, «per i secoli futuri, che ancora devono venire».

Con uno sguardo generale, ancora oggi siamo in attesa del compimento: l’esortazione, in sostanza, ancora ci riguarda, consapevoli che non abbiamo raggiunto la meta indicata ben duemila e cinquecento anni fa dalla voce del poeta di Eleusi.

Passiamo al mondo latino. Altre fonti classiche ci dicono come la corruzione fosse non solo già esistente, ma soprattutto che fosse avvertita sin dai tempi antichi come un male corrosivo (cum+rumpere) della società.

Riferisce Livio (Ab Urbe condita, VII, 15, 11) che nel 358 a.C. fu emanata la Lex Poetelia de ambitu per sanzionare la corruzione elettorale (ambitŭs, i.e. sollecitazione del voto, broglio).  La Lex Cornelia Baebia de ambitu del 181 a.C. rappresenta un archetipo dell’attuale Decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39 (che detta le disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma della legge 6 novembre 2012, n. 190); infatti, la Lex Cornelia Baebia stabiliva per i Pretori l’ineleggibilità (nel decennio) di una persona condannata: lo riferisce sempre Livio. Nel 18 a.C. Augusto volle sancire con la Lex Iulia de ambitu sia l’inasprimento delle sanzioni per la corruzione (è soprattutto per la prevenzione generale che la pena viene elevata, così come in materia è stato fatto ai giorni nostri dalla L. n. 190/2012 e da altre normative successive, da ultimo dalla L. n. 3/2019), sia l’applicabilità della pena accessoria per le parti processuali che avessero fatto visita al giudice (o viceversa): i colpevoli sarebbero stati interdetti dalle cariche per i cinque anni successivi alla relativa condanna. È anche questo divieto di ‘commensalità’ un archetipo dell’art. 51 del vigente codice di procedura civile, circa gli obblighi di astensione del giudice (richiama facilmente anche la “frequentazione abituale” affermata dall’art. 7 del d.P.R. n. 62/2013).

È indubbio che il varo della L. n. 190 del 2012 ha inferto un colpo alla corruzione, anche se, rapportata all’angolo di caduta, la ripresa è lieve, a cominciare dal 2007 dopo cioè il secondo decreto correttivo (d.lgs. n. 113/2007) al previgente codice degli appalti (il che dimostra come la corruzione operi con carattere di ‘selezione delle specie’, quasi migliorando nella lotta con le normative che la intendono debellare). D’altra parte, va anche detto che la legge di per sé, pur necessaria, non è sufficiente a prevenire e a sconfiggere la corruzione: «L’abuso e la disubbidienza alla legge, non può essere impedita da nessuna legge», così Giacomo Leopardi nello Zibaldone, p. 229 del 31 agosto 1820. La storia ce lo insegna: innumerevoli leggi hanno tentato di vincere la corruzione, ma non ci sono mai riuscite totalmente. Occorre, perciò, accanto ad esse una formazione culturale, etica, sin dai primi anni di formazione nella scuola: ecco perché l’ultima riforma operata dalla L. n. 107/2015 rappresenta un’occasione in questo senso perduta, non avendo essa previsto come materia obbligatoria la formazione etica e civica per gli alunni.

 

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