L’impatto della legge c.d. “spazzacorrotti” sui motivi di esclusione dalle gare (art. 80 d.lgs. 50/2016). Articolo a cura del Dr. Edoardo Scialis, discente del Master Anticorruzione, IV Edizione, Università degli Studi di Roma Tor Vergata

Nella categoria Analisi e Ricerche, Articoli Master Anticorruzione da su 25 ottobre 2019 0 Commenti

L’art. 80 comma 10 d. lgs. 50/2016 dispone che, se la sentenza penale di condanna definitiva non abbia fissato la durata della pena accessoria della incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, ovvero non sia intervenuta la riabilitazione, la durata della esclusione dalla procedura d’appalto o concessione debba essere:

  1. a) perpetua, nei casi in cui alla condanna consegue di diritto la pena accessoria perpetua, ai sensi dell’articolo 317-bis, primo periodo, cp, salvo che la pena sia dichiarata estinta ai sensi dell’articolo 179, settimo comma, cp;
  2. b) pari a sette anni nei casi previsti dall’articolo 317-bis, secondo periodo, cp, salvo che sia intervenuta riabilitazione;
  3. c) pari a cinque anni nei casi diversi da quelli di cui alle lettere a) e b), salvo che sia intervenuta riabilitazione.

La disposizione pocanzi citata è stata oggetto di modifica da parte della legge 3/2019, c.d. “spazzacorrotti”.

In particolare, il legislatore ha voluto coordinare il codice dei contratti pubblici con il testo novellato dell’art. 317-bis c.p., che ha ad oggetto le pene accessorie rispetto ai delitti di peculato (314 cp), concussione (317 cp), corruzione per l’esercizio della funzione (318 cp); corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (319 e 319-bis cp), corruzione in atti giudiziari (319-ter cp), induzione indebita a dare o promettere utilità (319 quater cp), corruzione di persona incaricata di pubblico servizio (320 cp), istigazione alla corruzione (322 cp), corruzione internazionale (322-bis cp) e traffico di influenze illecite (346-bis cp).

Il comma 1 della disposizione, nel testo in vigore, prevede che la condanna per uno dei reati sopra enumerati importi l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e l’incapacità in perpetuo a contrattare con la pubblica amministrazione – ben oltre i cinque anni di durata dell’interdizione di contrattare con la pubblica amministrazione, previsti – in via generale – dagli artt. 32-ter e 32-quater cp.

Si tratta di una misura nota, nella propaganda politica e nella semplificazione giornalistica, come “daspo a vita per i corrotti”, instaurando un paragone con la nota misura preventiva di sicurezza per i tifosi violenti. Rimanendo nel linguaggio sportivo, la dottrina penalistica ha parlato di “squalifica” per chi viola le regole del gioco, arrivando ad esprimere perplessità in ordine alla costituzionalità di sanzioni perpetue, in possibile contrasto sia con il finalismo rieducativo della pena, ex art. 27 Cost., che con il principio di proporzionalità (“un solo errore e sei fuori”). D’altro canto, è stata evidenziata la maggiore efficacia dissuasiva delle pene interdittive (certe ed immediate) rispetto all’aleatorietà delle pene detentive “tradizionali”: prospettare ad un operatore economico il rischio dell’esclusione perenne dai rapporti con il settore pubblico vuol dire prospettare la morte dell’impresa.

Le uniche circostanze attenuanti rispetto a queste pene accessorie sono individuate dalla legge nella condanna alla reclusione per un tempo non superiore a due anni,oppure nel riconoscimento di una delle circostanze attenuanti previste dall’art. 323-bis comma 1 cp, ovvero la particolare tenuità del fatto, la norma prevede che la pena accessoria dell’interdizione non possa essere superiore a sette anni.

Qualora, invece, sia applicabile la circostanza attenuante prevista dall’art. 323-bis comma 2 cp, ovvero l’essersi adoperati per evitare conseguenze ulteriori del reato, per aver assicurato le prove del reato o per aver permesso l’individuazione degli altri responsabili o il sequestro delle somme e o delle utilità trasferite, l’art. 317-bis comma 2 cp limita la durata della pena accessoria dell’interdizione a cinque anni.

La legge “spazzacorrotti”è intervenuta anche sul d.lgs. 231/2001, rafforzando le misure interdittive previste per le persone giuridiche dall’art. 13 comma 2.

Il c.d. decreto “sblocca cantieri” (DL 32/2019 convertito in legge 55/2019) ha introdotto l’art. 80 comma 10-bis del d.lgs. 50/2017, prevedendo che, nei casi di interdizione temporanea ai sensi del comma 10, se la pena principale ha una durata inferiore, rispettivamente, a sette e cinque anni di reclusione, la durata della esclusione sia pari alla durata della pena principale.

Nei casi di cui al comma 5 (esclusione senza provvedimento giurisdizionale), inoltre, la durata della esclusione è di tre anni, decorrenti dalla data di adozione del provvedimento amministrativo di esclusione ovvero, in caso di contestazione in giudizio, dalla data di passaggio in giudicato della sentenza.

Infine, nelle more della definizione del giudizio penale, la stazione appaltante deve tenere conto dell’ammontare della pena edittale ai fini della propria valutazione circa la sussistenza del presupposto per escludere dalla partecipazione alla procedura l’operatore economico che rischia di non avere i requisiti di ordine generale per partecipare alla gara.

Questa disposizione introdotta dal decreto “sblocca cantieri” è stata oggetto di osservazioni critiche da parte dell’ANAC, sotto molteplici aspetti. In primo luogo, l’Autorità Anticorruzione ha rilevato che l’esclusione di tre anni prevista per le ipotesi di cui al comma 5 rischia di apparire incongrua sotto il profilo della proporzionalità rispetto alla durata dell’interdizione prevista per le altre ipotesi, nonché rispetto alle fattispecie previste dall’art. 317-bis nel testo allora vigente. Quest’ultima questione è stata affrontata dall’intervento della legge 3/2019 sull’art. 317-bis, che ha fissato le forbici di durata della pena accessoria.

Un’altra questione sollevata dall’ANAC riguarda l’eccessiva discrezionalità concessa alle stazioni appaltanti nell’ultimo periodo del comma 10-bis in commento, con il connesso rischio di ingenerare numerosi contenziosi e rallentare l’affidamento delle commesse pubbliche.

Inoltre, è stato criticato il riferimento alla “data del provvedimento di esclusione”, sotto il duplice profilo che non in tutte le variegate situazioni contemplate nel comma 5 dell’art. 80 vengono cristallizzate in un provvedimento amministrativo, e che in ogni caso tale previsione si pone in contrasto con il paragrafo 7 dell’art. 57 della direttiva 2014/24/UE, che parla di “data del fatto” che determina l’esclusione.

 

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