12 ANNI DI SPENDING REVIEW: ALTRE CROCI LUNGO LA STRADA DI CHI CI HA PROVATO?

 sofferenze bancarie

 

 

 

 

Da decenni il nostro paese si misura con il tentativo di avviare una vera, incisiva e strutturale spending review, con risultati non certo all’altezza delle aspettative.

Se si esamina il periodo 2007-2019 il bilancio dei risparmi attribuibili in varia misura alla spending review – come si può leggere nell’articolo di Dino Pesole, su Il Sole 24 Ore del 25 aprile 2019, alle pagine 1 e 3 – non supera il 30 per cento. Per il resto ci si è affidati a tagli lineari o semi-lineari, che intervenendo sui “tendenziali” non sono altro che riduzioni degli incrementi già previsti, assai distanti dal principio del “bilancio a base zero” proposto negli anni Ottanta da Beniamino Andreatta.

 

Che la strada sia lastricata delle croci di chi ci ha provato, lo attesta la Corte dei conti, nel giudizio di parificazione sul Rendiconto generale dello Stato del 27 giugno 2017, dove traccia questo bilancio della spending review: «A consuntivo, le misure di riduzione non hanno prodotto risultati di contenimento del livello complessivo della spesa».

 

Ora il Governo rilancia con la nomina di due commissari, i Vice Ministro all’Economia Laura Castelli e Massimo Garavaglia, in vista di una manovra di bilancio che si annuncia a dir poco impegnativa, con l’ingombrante fardello di ben 23,1 miliardi di clausole Iva da disinnescare e 2 miliardi di tagli della “clausola sulla spesa” che diverranno permanenti per tutto il 2019.

In disparte la questione della procedura di nomina (come evidenzia G. Trovati, su Il Sole 24 Ore del 27 aprile 2019, alle pagine 1 e 3), se quella fin qui seguita – quella recata dalla legge nr. 69 del 2013, che prevede un decreto di Palazzo Chigi – o quella indicata nel Comunicato del CdM nr. 55, dove si legge che “… il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente Giuseppe Conte, ha deliberato il … Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle attività di razionalizzazione, riqualificazione e revisione della spesa pubblica, a norma dell’articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400…”,che prevede la nomina con Decreto del Presidente della Repubblica, i margini per risparmiare, spendendo meglio, negli oltre 850 miliardi che compongono la nostra spesa pubblica non mancano.

 

Finora è venuta meno la fondamentale volontà politica, perché tagliare la spesa costa in termini di consenso, e dunque si è preferito affidarsi ai “commissari” chiamati a far fronte alla “veduta corta” della politica di cui parlava Tommaso Padoa-Schioppa.

Nel cassetto, ad esempio, è rimasto finora anche il capitolo delle agevolazioni fiscali: 444 voci, stando al censimento condotto nel 2017 dalla Commissione presieduta da Mauro Mare.

 

Tagliare la spesa – come ricordano A. Alesina, F. Gavazzi, su il Corriere della Sera del 25 aprile 2019 alle pagine 1 e 24 –  è una questione politica, non tecnica, perché i mille interessi che difendono ciascuna voce di spesa non si vincono con i Commissari, ma, come ricordano i due Professori, ponendo concorrenza e riduzione della spesa in cima all’Agenda del Governo.

Invero, come sottolineano C. Goretti, L. Rizzuto, in “Spending review in Italia. Uso e abuso di un termine”, in A. Di Virgilio, C.M. Radaelli (a cura di), Politica in Italia. I fatti dell’anno e le interpretazioni, Il Mulino, Bologna, 2013 – l’ambiguità, anche semantica del termine non è stata sciolta, emergendo, invece, un potere evocativo del significante che sembra trascurare alcuni elementi di base su cui si dovrebbero fondare interventi di questo tipo.

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