SANITÀ, IL MALE DELLE NOMINE STA NELLA POLITICA?

 

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La domanda viene posta al lettore.

L’affermazione, invero, è il titolo dell’articolo firmato dal dott. Raffaele Cantone, Presidente di ANAC,  su IL MATTINO, del 21 aprile 2019, a pagina 50, nel quale afferma che “… come un fiume carsico che periodicamente riappare…” ( grazie all’inchiesta della Procura di Perugia sui concorsi in ambito sanitario), ritorna di attualità l’annosa questione delle ingerenze politiche in un settore tanto delicato.

Nell’interessante articolo – ripercorse le più recenti indagini, tra quelle eclatanti, “… senza scomodare gli scandali dei tempi di Mani pulite, nata proprio da un’indagine in questo campo …”: una inchiesta simile ha azzerato l’estate scorsa la giunta lucana (era già accaduto in Abruzzo nel 2008); un ex consigliere lombardo ha patteggiato una condanna per tangenti connesse all’esternalizzazione dei servizi odontoiatrici; un ex governatore di quella stessa regione sta scontando in carcere una condanna per corruzione, anch’essa collegata al tema degli accreditamenti; … – si evidenzia come non ci sia “… da meravigliarsi, considerando l’entità degli interessi che ruotano attorno a un settore così “vitale” nel vero senso della parola. …”.

Il presidente Cantone evidenzia come il problema non sia mai stato affrontato radicalmente, con il tentativo più serio che viene individuato “… in uno degli ultimi atti varati dal governo Monti pochi giorni prima di lasciare il passo all’esecutivo Letta, nella “provvidenziale” disattenzione generale…”, perché tale disposizione non avrebbe dovuto nemmeno essere prevista, tanto sarebbe scontata. Si tratta del d.lgs. 39/2013, che regola inconferibilità ed incompatibilità delle cariche al fine di evitare pericolosi cortocircuiti con la politica: da qui il divieto di nominare Direttore Generale (o sanitario o amministrativo) di una ASL/AO chi negli anni precedenti sia stato ministro, parlamentare, consigliere regionale, sindaco o anche solo candidato nel collegio elettorale in cui l’ente ricade.

Anche qui, ritornando al lettore e alla domanda posta all’inizio, ci sarebbe da chiedere se questa norma sia risultata efficace, se sia effettivamente servita a recuperare – o, almeno, a rafforzare il recupero – di quelle “equità procedurale” ed “equità sostanziale” che devono essere al centro di qualsivoglia sistema sociale che voglia progredire sullo spartito del “che cosa si sarebbe potuto fare con queste risorse, che non siamo riusciti a fare”. Perché scrivere una “nuova regola” di fronte ad una norma che non funziona o a un problema – invece, di cercare di far funzionare l’esistente – è la cosa più semplice che ci sia (senza scomodare Zaleuco, il governatore romano della Locride, che tagliava le mani a chi aveva scritto una norma inadeguata). Ma, il più delle volte, non risolve il problema, come è emerso negli anni successivi il dlgs 39/2013: basta, infatti, nominare il politico fedele nella ASL confinante il collegio di riferimento.

Con gli intuibili riflessi, sia sui sostenitori di “questa politica”, che, invero, non fa altro che applicare norme “aggirabili”, sia su coloro che non vogliono arrendersi all’idea – con una spesa di oltre 114 miliardi di euro, più quella “out of pocket”, più i “disagi” vissuti dai cittadini nelle Regioni in Piano di rientro, più ….. – che sia possibile una sanità migliore, per tutti (pazienti, operatori, imprenditori, …).

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