La regolazione flessibile dell’ANAC: limite o nuove forme di democrazia partecipativa? A cura della Dr.ssa Emanuela di Rosa , discente del Master Anticorruzione, Terza Edizione.

Nella categoria Eventi da su 11 settembre 2018 0 Commenti

Tutti ricorderanno la grande attenzione prestata all’indomani dell’approvazione del nuovo Codice dei Contratti pubblici, d.lgs. n. 50 del 2016, ai poteri dell’Autorità Nazionale Anticorruzione ed in particolare alla funzione di regolazione e all’emanazione delle linee guida rientranti nel cosiddetto soft law.

Oggetto principale del presente approfondimento è l’inquadramento delle linee guida ANAC nelle fonti di settore e quindi, più in generale, nel sistema delle fonti del diritto per analizzare il carattere vincolante attribuito alle stesse, nonché la potestà normativa delle Autorità amministrative indipendenti, tra le quali rientra l’Autorità anticorruzione.  Nello specifico, il dibattito prende le mosse dalla natura giuridica delle linee guida dell’ANAC e dall’inserimento delle stesse in tre diverse categorie quali: gli atti amministrativi in senso proprio, gli atti a carattere vincolante erga omnes o gli atti riconducibili alla regolazione flessibile.

Proprio la legge delega n. 11/2016 (art. 1, comma 1, lett. t) con le espressioni “atti di indirizzo” e “altri strumenti di regolazione flessibile, anche dotati di efficacia vincolante” ha evocato, con particolare riguardo alle linee guida, il concetto di soft law.

Il codice dei contratti pubblici, infatti, in attuazione della suddetta legge delega, prevede tre tipi di linee guida:

  • approvate con decreto ministeriale
  • vincolanti, adottate dall’ANAC
  • non vincolanti, adottate dall’ANAC

Mentre le prime rientrano nei regolamenti ministeriali per esplicita previsione di legge e le terze negli atti amministrativi generali, il problema si pone per le seconde, ovvero per quelle vincolanti. Non si tratterebbe più, infatti, di semplici indicazioni di massima o di semplici direttive, ma di veri e propri atti cogenti.

Proprio su tale assunto il Consiglio di Stato, nel parere sullo schema del Codice dei Contratti pubblici, con riferimento alle linee guida, ha definito “improprio” il riferimento al concetto di soft regulation. Si tratta, infatti, di regole di condotta di soft law che, attraverso atti, inviti e raccomandazioni, non possono avere carattere vincolante né essere provvisti di sanzione giuridicamente predeterminata. A questo proposito, si ricorda che il soft law ha uno spazio molto ristretto nel diritto amministrativo, nel quale gli atti devono necessariamente essere affrancati dal controllo di legalità. Per tale motivo il Consiglio di Stato, ritenendo preferibile l’opzione interpretativa che combina la valenza generale di questi provvedimenti con la natura del soggetto emanante che si configura come Autorità amministrativa indipendente, con funzioni anche di regolazione, riconduce le linee guida a carattere non vincolante e gli altri atti ad asse assimilati dell’ANAC agli atti amministrativi generali di regolazione.

Alla luce di tale ricostruzione seguita dal Consiglio di Stato, gli atti hanno effetto vincolante ed erga omnes, in linea con l’intenzione del legislatore delegante, come disposto dalla suddetta legge delega.

La questione relativa alla potestà normativa delle Autorità indipendenti, tra le quali rientra l’ANAC, è da tempo argomento di cui si occupa la giurisprudenza amministrativa che ha riconosciuto una legittimazione sostanziale derivante dalle estese garanzie offerte dal contraddittorio. In altre parole, secondo i giudici amministrativi, l’esercizio di poteri regolatori da parte dell’Autorità, al di fuori della tradizionale tripartizione di poteri, è giustificato da un ampio procedimento partecipativo, sostitutivo della dialettica propria delle strutture rappresentative.

Sebbene inizialmente le delibere di regolazione dell’ANAC siano state definite espressione di un gap democratico, esse rappresentano invero un utile momento di confronto per i soggetti interessati poiché, attraverso la fase di consultazione, questi ultimi possono fornire elementi rilevanti, determinando così un arricchimento sotto i profili contenutistici, istruttori e motivazionali all’intervento regolatorio finale.

Le linee guida vincolanti, previste negli articoli 83 e 84 del Codice dei contratti pubblici, disciplinano fasi importanti per l’accesso al mercato degli appalti pubblici in quanto possono limitare e condizionare di fatto l’esercizio del diritto di impresa definendo il sistema di qualificazione delle imprese, i requisiti di partecipazione alle procedure, il regime delle SOA.

È necessario, quindi, che siano rafforzati gli strumenti di partecipazione democratica, fase inaugurata a partire dagli anni Novanta che ha modificato la comune percezione dei fondamenti della legalità del potere pubblico, aprendo così la strada al coinvolgimento dei soggetti interessati. Sul punto, sebbene, taluni abbiano considerato i suddetti nuovi strumenti come un indebolimento del potere pubblico o della tradizionale tecnica normativa, occorre prendere consapevolezza del nuovo momento storico in cui viviamo che ci invita a gettare il cuore oltre l’ostacolo, cogliendo positivamente tali nuove forme di confronto su ciò che è oggetto delle pubbliche decisioni, attraverso una “democrazia di interazione” basata su un dialogo continuo tra potere e società.

Richiamando il modello delle competenze assegnate all’ANAC, è evidente che le forme d’interazione con i portatori d’interessi, nell’ambito delle funzioni di vigilanza e sanzione in materia di trasparenza, anticorruzione e contratti pubblici attraverso rilevanti competenze normative e di soft regulation, corrispondono a nuovi vincoli procedimentali che rendono trasparenti le frazioni di potere pubblico esercitate dagli organi o dalle Istituzioni la cui legittimazione non si radica nel circuito democratico rappresentativo.

L’assegnazione all’Autorità indipendente della competenza ad adottare “linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolazione flessibile, comunque denominati” in materia di contratti, di anticorruzione e di trasparenza, come modificato ed integrato dal d.lgs. n. 97/2016 – atti a cui, in taluni casi, può essere riconosciuta anche valenza regolamentare -, avviene secondo modalità volte a compensare quella legittimazione dal basso, che contrassegna invece la funzione normativa di secondo grado dell’Esecutivo e che si esprime nel principio di legalità in senso sostanziale.

Alla crescita dell’esercizio dell’attività para-normativa delle Autorità indipendenti corrisponde, quindi, un sensibile rafforzamento degli oneri espressivi di “legalità procedimentale”. Il Consiglio di Stato, sul punto, consapevole della rilevante portata costituzionale del fenomeno ha così dettato alcune regole imprescindibili per far sì, come detto, che la limitazione della legalità materiale sia compensata da oneri procedimentali.

Con una rinnovata lettura dell’articolo 1 della Costituzione, la sovranità popolare si estrinseca nella partecipazione all’attività di consultazione pubblica che, surrogando “la dialettica propria delle strutture rappresentative”, appare vera e propria condizione di legittimità di tale metodo di composizione degli interessi affidati alle istituzioni di regolazione. Le richiamate garanzie procedimentali, inoltre, rendono più agevole l’adeguamento o la correzione degli atti regolatori, anche su sollecitazione dei richiamati portatori d’interessi qualificati, ovvero gli Stakeholder.

 

 

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