“La politica è etica della comunità, dovrebbe prendersi cura dei fragili, di chi fa fatica, dei giovani che non trovano lavoro. Non deve essere condizionata dalle cricche, dagli interessi delle multinazionali, perchè è servizio alla comunità, altrimenti tradisce la sua essenza, non è politica”. Lo ha detto pochi giorni fa don Luigi Ciotti, fondatore e presidente di Libera, nella relazione alla cerimonia di chiusura della seconda edizione del Master anticorruzione promosso dalla Facoltà di Economia dell’Università Tor Vergata. Ne abbiamo parlato con l’avvocato Daniela Condò, responsabile della segreteria del Master a cui partecipano molti giovani.

Come è nata l’idea?
A Tor Vergata c’è già un master consolidato sugli appalti da circa 13 anni. Da questa esperienza, si è pensato di lanciare una formazione specifica anche sul tema dell’anticorruzione. Le imprese e le amministrazioni pubbliche hanno una serie di adempimenti che mirano a ridurre l’incidenza di fenomeni devianti. Non basta una competenza specifica sugli appalti, occorre anche una formazione approfondita sui presidi anticorruzione. Abbiamo una convenzione con l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), e partecipano diversi loro uditori.

Ormai la corruzione è diventata materia universitaria…
Anche dopo gli ultimi scandali, come quello attinente allo stadio della Roma, si è palesato un sistema di corruzione trasversale. È una corruzione che va dalla pubblica amministrazione alle imprese passando per la politica. È fondamentale, allora, regolamentare il mondo politico e le lobby. Ma se la corruzione è trasversale, anche la formazione deve essere interdisciplinare: economia, giurisprudenza, filosofia. C’è bisogno di una comprensione a tutto tondo.

Il presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, sostiene che “non si può pensare di intervenire senza una rivoluzione culturale che passi dalla politica”.
L’Università è la parte più attiva della società nella produzione di cultura: chi altro potrebbe offrire un contributo simile? Le aziende e la politica continuano a vivere spesso in un sistema di promesse e prebende. L’approccio non può che essere culturale. E la politica è chiamata a dare un segnale.

Come giudica la normativa attuale?
Dovrebbe essere semplificata. Si è creata una stratificazione di norme. Non è semplice, ma semplificare sarebbe utile anche per chi deve prendere decisioni e assumere responsabilità in questo campo. Le persone spesso hanno paura di sbagliare. Poi ci sono strumenti come il whistleblowing. Prima non esisteva in Italia, dunque è stato un contributo importante. Però solo l’applicazione concreta dimostrerà l’effettiva utilità di questo istituto: sono aumentate le segnalazioni, segnalava Raffaele Cantone, ma a volte sono questioni problematiche a carattere personale. Mentre in casi gravi ci sono ancora reticenze. Deve esserci uno scatto di coraggio.

La corruzione è anche un freno per la crescita economica del Paese.
Negli ultimi dieci anni, la corruzione ha mangiato 100 miliardi sul Pil. Con una diminuzione di investimenti esteri, perché c’è meno fiducia nell’Italia. Ha reso meno competitivo il sistema. Le aziende che crescono in contesti corrotti lo fanno in media del 25% in meno delle concorrenti che operano in aree di legalità.