BUROCRAZIA E MALADMINISTRATION. IL MIX DELETERIO CON FISCO E CAVILLI.

 

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Prelievo sugli utili al 48% e 238 ore annue per compliance fiscale e previdenziale: in Italia fare impresa non conviene, mentre a poca distanza il total tax rate, ossia il prelievo fiscale e contributivo sui profitti delle aziende, supera di poco 1’11%.

Come a Doha.

O a Dubai e Abu Dhabi, dove l’aliquota sale quasi al 16%, ma la gestione di pratiche e adempimenti burocratici è talmente snella da richiedere appena 12 ore all’anno.

In Italia, che pure da qualche anno mostra leggeri miglioramenti, il prelievo sugli utili – come racconta Valerio Stroppa, su Italia Oggi del 2 gennaio 2018,alle pagine 1 e 13 – è del 48% e le ore necessarie per la compliance fiscale e previdenziale sono 238. Numeri che relegano il Belpaese al 112° posto su 190 nel ranking totale del rapporto «Paying Taxes 2018», elaborato dalla Banca mondiale in collaborazione con PwC. Lo studio analizza i costi per imposte e tasse in capo alle aziende, sia diretti, ossia legati al quantum da versare alle casse statali, sia indiretti, cioè connessi al carico amministrativo per i versamenti e gli adempimenti dichiarativi registrati nel corso del 2016.

Il quadro che emerge premia gli stati appartenenti al Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc), eccezion fatta per l’Arabia Saudita. Gli altri cinque paesi si piazzano tutti nella top ten mondiale: primi a pari merito Qatar ed Emirati Arabi Uniti, 5° il Bahrein, 6° il Kuwait e 11° l’Oman. Alla leadership fiscale di tali nazioni non contribuiscono sono soltanto le aliquote, comunque più basse rispetto al mondo occidentale, ma anche l’assoluta «leggerezza» degli oneri amministrativi: le 12 ore annue degli Emirati, le 29 del Bahrain e le 41 del Qatar rappresentano valori irraggiungibili nelle economie più tradizionali, se si pensa che la media mondiale rilevata dal rapporto è di 240 ore, che scendono a 204 nell’estremo Oriente, a 182 nel Nord America e a 161 in Europa. Nel 2016 l’Italia ha fatto registrare la media di 238 ore per ciascuna impresa, in leggero calo rispetto alle 240 ore del 2015, grazie soprattutto all’abrogazione dell’adempimento relativo alle comunicazioni Iva annuali. Ma anche su questo fronte l’Italia non brilla nello scenario internazionale: per predisporre l’istanza di rimborso dell’i.v.a. le aziende impiegano in media 42 ore, contro le 7 ore registrate a livello europeo e le 18 mondiali. Una volta inoltrata la domanda, prima di vedersi accreditate le somme richieste le imprese italiane devono attendere 63 settimane (un anno e tre mesi), a fronte delle 28 settimane globali e delle 16 europee.

Così, i gruppi multinazionali che intendono operare con l’Asia continuano a trovare fiscalmente più attraenti realtà consolidate quali Hong Kong (3° assoluta nel ranking 2018) e Singapore (7°), dove tax rate complessivi nell’ordine del 20-23% si accompagnano a oneri amministrativi e appuntamenti alla cassa piuttosto contenuti (rispettivamente 72 e 64 ore annue per la compliance, 3 e 5 versamenti fiscali e contributivi richiesti). Restano indietro i paesi dell’Unione europea, che faticano a competere con gli stati asiatici soprattutto sotto il profilo delle aliquote. Con due eccezioni, Irlanda e Lussemburgo, notoriamente realtà che hanno fatto dell’appeal fiscale verso le multinazionali uno dei tratti distintivi della propria politica economica. Salvo essere talvolta bacchettati dalla Commissione europea per la concessione di condizioni eccessivamente generose ad alcuni gruppi, tramite la stipula di ruling preventivi o comunque con l’approvazione di norme agevolative in violazione delle regole sulla concorrenza vigenti all’interno dell’Ue.

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