BUROCRAZIA E MALADMINISTRATION. UFFICIO COMPLICAZIONI AFFARI SEMPLICI.

 

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Nel sesto canto del Paradiso, l’imperatore Giustiniano si presenta a Dante come colui che dalle leggi tolse «il troppo e il vano». Non è certo per questo che il sommo poeta lo colloca nel cielo di Mercurio, tuttavia il fatto che l’imperatore si annunci prima di tutto come il padre della razionalizzazione del diritto romano è indice dell’importanza che già Dante percepiva dello sforzo compiuto in tal senso dall’imperatore. L’essenzialità e la chiarezza delle regole costituiscono – come evidenzia Serena Sileoni, su Panorama del 10 gennaio 2018, alle pagine 48 e 49 – il primo passo per assicurare i cittadini dall’iniquità, dall’incertezza, dall’arbitrio e quindi dall’ingiustizia. Da ormai trenta anni la Corte costituzionale ha riconosciuto in diritto penale – il diritto che più limita la libertà individuale – l’esistenza dell’ignoranza inevitabile come scusante di una condotta penalmente rilevante (sent. 364/1988). L’eccesso caotico di regolazione, insomma, è una sindrome ben nota, fin dai tempi remoti.

«Ammassi di leggi» e «labirinti di giurisprudenza» erano gli epiteti delle regole di diritto già dal XVIII secolo (Muratori). Eppure, non è stata ancora trovata una cura risolutiva, forse perché non se ne vuole riconoscere l’eziologia.

Ci hanno provato, con sempre maggior insistenza, accademici – giuristi ma anche linguisti – istituzioni nazionali, europee e internazionali, come l’Ocse.

Paradossalmente, sembra che più gente si occupi di come ridurre e migliorare la legislazione, più questa aumenti come pasta lievita nelle mani di chi la manipola.

Un ultimo esempio viene dal nuovo decreto sull’Analisi e la Valutazione di impatto della regolazione (Air e Vir), entrato in vigore alla fine del 2017. L’analisi di impatto della regolazione è stata introdotta in Italia nel 1999 in via sperimentale, e poi nel 2005 in via definitiva, quando sotto il governo Berlusconi la cosiddetta taglia-leggi stabilì l’obbligo per il governo di accompagnare i suoi atti con l’analisi dei loro effetti presunti, come strumento di contenimento della legislazione. Una norma inutile può infatti essere ben più dannosa di una mancante, ma provare a capire, prima di agire, se un intervento implichi più costi che benefici è una prudenza comune alle nostre azioni. Quando, però, diventa un iter procedurale stabilito dalla burocrazia, assume effetti paradossali. Un paradosso peraltro evidenziato (verrebbe da dire, confessato) nella stessa prima relazione sullo stato di attuazione dell’Air del 2006 laddove si riconobbe la difficoltà di natura metodologica nello svolgimento dell’analisi, dovuta al fatto che l’Air «richiede tempi e competenze professionali non sempre disponibili all’interno delle amministrazioni e comporta, inevitabilmente, anche un aumento delle complessità, dei tempi d’attuazione (e dei costi) dell’intera procedura, con inevitabili ripercussioni anche sulla tempistica del processo decisionale».

Può apparire bizzarro che questa complessa gincana sia stata costruita per mettere a regime una tecnica pensata per semplificare e ridurre la regolazione. In realtà, c’è molta razionalità anche in questo paradosso, solo che è una razionalità diversa da quella con cui ragionano le persone, e tipica invece delle istituzioni.

Poche ed essenziali leggi sono quelle che vorremmo ciascuno di noi, per la nostra vita. Ma le istituzioni politiche, per legittimarsi, devono accontentare un po’ tutti, fino a (dover) perdersi nelle inezie. Le tecniche di semplificazione senza una volontà politica di semplificazione sono formalismi. O peggio ancora sono una foglia di fico con cui, adempiuto l’onere burocratico di redigerle, si trova il modo di giustificare, per un verso o per un altro, ogni iniziativa di regolazione.

La confusione delle regole può convenire, e l’eccesso ne è un valido alleato: alcuni ci creano sopra delle professioni, altri si garantiscono il consenso politico, tutti proviamo a sopravviverci dentro barcamenandoci tra la loro applicazione e la loro interpretazione, secondo l’insegnamento giolittiano.

È per questo che la semplificazione, intesa come tecnica e non come scelta politica, rischia di diventare, per un paradosso solo apparente, la madre della complicazione.

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