ABUSO D`UFFICIO. PERCHÉ IL REATO VA RIFORMATO.
La proposta del presidente Cantone di riformare l’abuso di ufficio, è – osserva Carlo Nordio, su Il Mattino e Il Messaggero dell’8 settembre 2017 – saggia e opportuna.
Saggia, perché questo reato è così evanescente da confliggere con i principi di tassatività e tipicità. Principi che ne esigono una definizione chiara e distinta, comprensibile tanto da chi applica la legge quanto da chi intende violarla.
Opportuna, perché gli effetti pratici della sua introduzione hanno costituito, e costituiscono, una gravosa ipoteca e una ancora più gravosa zavorra per la pubblica amministrazione.
Oggi non c’è sindaco, assessore, funzionario o semplicemente impiegato che firmi serenamente un provvedimento di carattere discrezionale. Queste persone sono infatti terrorizzate dalla prospettiva che qualche anima bella, o per malinteso senso di legalità o per vituperevole interesse personale, insinui, in un esposto alla procura, che il pubblico ufficiale ha abusato della sua funzione per favorire se stesso o danneggiare qualcuno.
La situazione è aggravata dalla nota e perniciosa combinazione dell’azione penale obbligatoria, dell’informazione di garanzia e dell’uso strumentale che la politica ne ha fatto e continua a fare.
In pratica, e per essere più chiari, funziona così: chiunque nel nostro ordinamento può denunciare un amministratore o un funzionario per abuso di ufficio.
Può farlo senza costi perché non occorre l’avvocato, e senza rischi perché non esistono sanzioni per le denunce temerarie, salvo in caso, s’intende, che non siano calunniose. A seguito di questa iniziativa, la legge impone l’iscrizione nel registro degli indagati, che a sua volta determina la spedizione della famigerata informazione di garanzia. La quale, come tutti sanno, da strumento a tutela dell’indagato si è trasformata in condanna anticipata. E quel che è peggio, è motivo di dimissione di chi copre un incarico pubblico o di esclusione dalla candidatura di chi ambisce a ricoprirlo.
Con la conseguenza prevedibile, e anche prevista, che nessuno firma più niente. Se a fronte di questa inerzia ormai diffusa, vedessimo un’efficacia repressiva e dissuasiva di questo reato, potremmo anche accettarne questi inconveniente funesti. Ma le cose non stanno affatto così.
Su cento denunce poche arrivano a processo, una percentuale ancor minore si conclude con una condanna, e quasi nessuna con la reale esecuzione della pena dell’amministratore infedele. Va detto che il governo queste cose le sa, e tempo addietro, su proposta di uno dei più autorevoli sindaci d’Italia fattosi portavoce dei suoi colleghi, ha costituito una commissione per risolvere questo problema. I risultati non sono ancora noti, ma si sa che la commissione sarebbe addirittura orientata a proporre l’abolizione di questo reato inutile e dannoso. Ora l’intervento, ancor più autorevole del presidente Cantone, riapre il dibattito. Speriamo che porti ad un rapido e utile risultato, per rendere la pubblica amministrazione più efficiente e più serena.
Ai lettori del Sito, come nei precedenti articoli, lasciamo, come sempre, o, almeno, tentiamo di farlo, una fotografia completa, con i soli virgolettati.
Su argomenti come questo, di estrema delicatezza, è normale vi siano posizioni differenziate, a volte anche in modo significativo.
Ci auguriamo di essere stati utili.
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