WHISTLEBLOWING: “SOFFIARE NEL FISCHIETTO” IL MODELLO / NON MODELLO TEDESCO

Nella categoria Whistleblowing da su 25 ottobre 2017 0 Commenti

Whistleblowing

A cura della Dott.sa Carlotta Simonacci, discente del Master in Anticorruzione dell’Università di Roma Tor Vergata

Il tema oggetto dell’analisi è cruciale e assai spinoso, nonché vive una declinazione regolatoria molto diversa da Paese a Paese, con approcci legislativi e soluzioni molto distanti tra loro. Recentemente un caso verificatosi nella capitale tedesca, ha fatto molto scalpore. Proprio per questo motivo la Germania è stata perfino sanzionata dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Vediamo quindi di analizzare il c.d. “modello/non modello” tedesco, confrontandolo con i principali altri sistemi giuridici esteri.

Una disposizione normativa riconducibile al modello del “Whistleblowing” è stata introdotta nell’ordinamento italiano, per la prima volta, solo nel 2012, con la Legge Severino n. 190. La parola “Whistleblowing” è difficilmente traducibile, una possibile, ma poco “felice” traduzione letterale è “Soffiare nel fischietto” che rimanda alla figura dell’arbitro sul campo di gioco, o del poliziotto in strada che dirige il traffico. Dal punto di vista giuridico, il termine indica, in linea generale, gli strumenti normativi che, prevedono una specifica tutela per chi faccia la segnalazione (“Whistleblower”) di eventuali condotte illecite attuate da soggetti, siano essi pubblici o privati, operanti in uffici.

Oggi, 19 ottobre 2017, è stata approvata in Senato la Legge sul Whistleblowing per la protezione di chi denuncia la corruzione sul posto di lavoro. Tra le novità introdotte con gli emendamenti presentati in commissione Affari costituzionali troviamo il reintegro sul posto di lavoro di chi è stato licenziato perché segnalante. A ricevere maggiore protezione in caso di denunce di fenomeni corruttivi saranno, tra gli altri, dipendenti delle scuole, magistrati, professori e ricercatori universitari, personale militare e forze di polizia, lavoratori del servizio sanitario nazionale e dipendenti di società controllate.
Le due associazioni Riparte il Futuro e Transparency International Italia si sono mobilitate per fare pressione sui senatori affinché si accelerassero i tempi della discussione. Il 10 ottobre è stato presentato l’ultimo rapporto dalla sezione italiana di Transparency International Italia [1], che vede nella mancanza di tutele per il Whistleblower e l’assenza di regolamentazione dell’attività di lobbying le lacune principali della normativa del nostro paese in materia di corruzione. Per questo motivo in materia Transparency International propone una sua proposta di Legge sul Whistleblowing che è stata presentata lo scorso anno alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati. I cinque principi [2] da seguire per una buona legge sul Whistleblowing proposti da Transparency International sono:

1. Legge specifica per garantirne chiarezza ed efficacia;
2. Tutela della confidenzialità e anonimato garantito. L’identità non deve essere rivelata senza il suo espresso consenso;
3. Previsione di strumenti adeguati per le segnalazioni e l’assistenza dei segnalanti facilmente accessibili e sicuri;
4. Chiara indicazione dei destinatari prioritari delle segnalazioni e di quelli secondari, prevedendo un coordinamento;
5. Previsione di un fondo a supporto dei segnalanti che hanno perso il lavoro o che hanno subito altre ritorsioni.

Meritano a questo punto alcune delucidazioni riguardo le esperienze di alcuni ordinamenti stranieri.
La diffusione dello strumento del Whistleblowing affonda le sue radici negli ordinamenti giuridici di common law, tra questi emerge la normativa del Regno Unito, per una semplice ragione: secondo gli osservatori europei e internazionali, questo Paese si è dotato, negli ultimi anni, di uno dei sistemi legislativi anticorruzione, dopo lo stato americano, più rigorosi al mondo in seguito all’adozione del Bribery Act 2010 (cosiddetto BA).

Come spesso accade, la macchina legislativa si è mossa a seguito d’importanti scandali che hanno scosso l’opinione pubblica britannica, sulla fine degli anni ‘80 del secolo scorso. Tuttavia si può notare come la tutela del Whistleblower non sia inserita direttamente nella legge anticorruzione del 2010, sebbene vi si faccia riferimento nella relativa Guidance governativa. Il testo normativo di riferimento, è invece il Public Interest Disclosure Act del 1998 (PIDA), che ha parzialmente modificato l’Employment Rights Act del 1996 (ERA). A sua volta quest’ultimo è stato modificato, per alcuni profili di rilievo, dal successivo Enterprise and Regulatory Reform Act del 2013 (ERRA).

Analizzando la materia nel dettaglio si può notare come presenti molti punti di forza legati proprio ai testi normativi. Un primo punto di forza della normativa richiamata sta nell’ampiezza del suo ambito soggettivo di applicazione, che si estende a tutti i settori, privati e pubblici, e a una vastissima categoria di lavoratori. Sul versante oggettivo, il contenuto della denuncia può riguardare non solo fattispecie penalmente rilevanti, ma anche condotte che intralcino o siano idonee a ostacolare la giustizia, o che mettano in pericolo la salute e la sicurezza di qualsiasi soggetto, o possano creare un danno all’ambiente o siano dirette a cancellare arbitrariamente le informazioni che la legge stessa consente di segnalare.

Il PIDA rende nullo qualunque patto, stipulato tra datore di lavoro e lavoratore, che precluda a quest’ultimo le segnalazioni disciplinate dalla legge. È altresì prevista per il segnalante un’ampia tutela, per cui egli può ottenere un risarcimento dinanzi all’Employment Tribunal qualora abbia subito ritorsioni. Il segnalante può ottenere un risarcimento anche nel caso di licenziamento, o di qualsiasi pregiudizio, inteso anche come danno morale, correlati alla “soffiata”. La protezione accordata al lavoratore viene però meno nel caso in cui egli, nell’operare la “disclosure”, commetta un illecito penale. Sono tassativamente indicate altre ipotesi eccezionali non tutelate, limitate all’attuale nozione di “segreti ufficiali” nel Regno Unito, che copre solo quelle informazioni atte a danneggiare l’interesse e la sicurezza nazionale, le relazioni internazionali, o che potrebbero concorrere alla realizzazione di un crimine.
La normativa britannica sul Whistleblowing appare quindi caratterizzata da una casistica “relativamente fissa”, ma ampia nel suo contenuto, delle potenziali “denunce” per la protezione.

Sempre in prospettiva europea, ora si passa all’analisi di un ordinamento appartenente alla famiglia giuridica di civil law, come la Germania, di particolare interesse per le ragioni sopra evidenziate. La Repubblica Federale, sotto il profilo del contrasto preventivo e repressivo dei fenomeni corruttivi, si colloca a un alto livello nel panorama internazionale, nel quale, infatti, pur non avendo un modello, gode di un’ottima reputazione, sia per il settore pubblico, sia per quello privato. Tuttavia, si può affermare che essa rappresenta un esempio diametralmente opposto a quello britannico, poiché evidenzia il differente approccio al fenomeno del Whistleblowing dei sistemi giuridici di civil law e di quelli di common law.

Emblematicamente, il termine non ha una traduzione letterale in lingua tedesca, né il suo significato è positivamente percepito dall’opinione pubblica, e anzi tende ad assumere una connotazione negativa, di chi “sporca il proprio nido”. Nel lessico giuridico, in particolare in quello penale, al termine è stata data una definizione volta a ricomprendere chiunque renda pubblica una condotta illecita cui non ha preso parte, e non potesse altrimenti essere a conoscenza della stessa o di altri pericoli occulti. La difficile accettazione del modello in Germania ha radici profonde, che si innestano nello stesso tessuto culturale e nell’esperienza storica di questo Paese.

Pur avendo sottoscritto le principali convenzioni in materia di lotta alla corruzione, la Germania non ha proceduto alla piena ratifica, lasciando alcuni vuoti normativi su profili molto rilevanti tra cui, appunto, la tutela del Whistleblower. Per esempio la Convenzione ONU di Merida del 2003 è stata ratificata, tardivamente, solo nel 2014. Sebbene, nel corso degli anni, siano stati presentati al Bundestag diversi disegni di legge in materia, non si è ancora arrivati all’approvazione di nessuno di essi. La tutela dei lavoratori denuncianti è quindi, contenuta in una pluralità di leggi, che non offrono una disciplina organica. Più in dettaglio, sono riportati i testi degli articoli di riferimento e poi tradotti di alcuni fondamentali principi costituzionali, quali la libertà di coscienza (art. 4 Grundgesetz [3]) e quella di espressione e d’informazione (art. 5 Grundgesetz [4]) nonché il generale diritto di azione.

Per rientrare nell’ambito applicativo della norma, il Whistleblower è tenuto a un rigoroso onere probatorio: deve provare non solo di aver agito secondo i parametri legittimati dalla giurisprudenza, ma altresì che vi siano state effettive discriminazioni, e che dalle stesse siano derivate le fattispecie di corruzione a causa proprio dalla sua denuncia dinanzi al Pubblico Ministero (di cui agli artt. 331 [5]-337 del codice penale tedesco, StGB). In relazione a quest’ultimo aspetto, è rilevante sottolineare che il modello del Whistleblowing ha trovato finalmente spazio nella recente elaborazione dottrinale tedesca, proprio in ambito penale, dove ha assunto una duplice funzione: per un verso, esso viene indicato quale strumento di autoregolamentazione privata, traducendosi in uno strumento di autocontrollo delle imprese, assumendo quindi in questo caso la forma di una segnalazione interna e di natura preventiva; per l’altro, può assumere la funzione di strumento strategico per l’intervento dello Stato nel rafforzamento della legge penale, come base della collaborazione tra soggetti privati (le imprese) e pubblici (lo Stato). Per quanto fin qui detto, si può concludere che la normativa tedesca sul lavoro e sulla tutela dei dipendenti che segnalano condotte illecite, pur sembrando sofisticata ed “elevata”, si mostra da un lato, lacunosa per ciò che riguarda la tutela dei Whistleblowers addossando gravosi oneri probatori sul lavoratore denunciante in relazione ai danni subiti; dall’altro, assume un importante ruolo nella sua applicazione giurisprudenziale, che tuttavia è tendenzialmente più garantista riguardo agli interessi dei datori di lavoro, e interpretando con rigore il vincolo di fedeltà dei dipendenti.

Pertanto la disciplina in materia “Whistleblower” lascia ampio spazio alla soggettività dei giudizi soggettivamente orientati, che variano nei casi concreti senza adeguate garanzie normative. Per questo motivo le sentenze in materia, non sono molte, e dalle stesse emerge una generale diffidenza per la figura del segnalante, la cui posizione è sottoposta a un articolato accertamento processuale, sulle motivazioni che hanno determinato la denuncia.
In via generale, non si riscontrano esempi giurisprudenziali di licenziamento del lavoratore, se quest’ultimo si è attenuto alle regole della propria organizzazione di appartenenza, riferendo l’illecito dapprima ai suoi superiori, e/o rispettando i canali appositamente predisposti dai codici di comportamento interni.

Recentemente, nel 2011, la Corte dei Diritti Umani si è pronunciata in materia di Whistleblowing, ribaltando una sentenza emessa dalla Corte Regionale del Lavoro di Berlino. A fronte di ciò si è generato un ampio dibattito in Germania. La Corte ha ritenuto, infatti, illegittimo un licenziamento, avvenuto a seguito di una denuncia penale contro il datore di lavoro. I giudici di Strasburgo hanno sottolineato da un lato la buona fede della denuncia, dall’altro la prevalenza dell’interesse pubblico alla scoperta di comportamenti illeciti rispetto agli interessi del singolo datore di lavoro, specie in un settore delicato come quello sanitario. In tale caso, le indagini sono poi state interrotte e la denuncia ex post sarebbe potuta apparire priva di fondamento. Per questo motivo, la Corte ha ricondotto la condotta del segnalante all’art. 10 [6] della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che sancisce la libertà di espressione.

Dopo questa breve introduzione alla normativa di riferimento vediamo il caso [7].
Un’infermiera tedesca, Brigitte Heinisch, di una casa di cura per anziani, si era lamentata nei confronti del datore di lavoro, segnalando la carenza di personale e la scarsa qualità delle cure e della tracciabilità dei documenti relativi ai servizi. A seguito del rifiuto a fronte di tali lamentele, l’infermiera aveva denunciato il datore di lavoro per frode, ricevendo successivamente in risposta un preavviso di licenziamento con effetto immediato, con la motivazione di assenteismo.

L’infermiera, appoggiata da un sindacato, aveva creato grande scalpore, ottenendo quindi l’attenzione dei media. La Corte Regionale nel suo giudizio ha, ritenuto prevalente l’interesse del datore di lavoro rispetto al diritto alla denuncia dell’infermiera. L’infermiera, esauriti i ricorsi interni, ha posto la questione dinanzi alla Corte dei Diritti Umani, la quale ha ribaltato il giudizio, ritenendo prevalente l’interesse dell’infermiera che aveva fatto emergere le inefficienze della casa di cura, rispetto all’interesse del proprio datore di lavoro. Tale principio, è stato avvalorato dalla buona fede della condotta dell’infermiera dipendente anche dall’aver in un primo tempo lamentato le inefficienze e le insufficienze all’interno della clinica.

Va però notato come la Corte dei Diritti Umani non abbia usato un principio generale, universalmente applicabile, ma piuttosto come valuti caso per caso operando un debito bilanciamento, soprattutto in quei settori che non si possono ritenere altrettanto rilevanti ai fini del pubblico interesse, come il settore sanitario in esame. Ne consegue pertanto, che i Whistleblowers tedeschi non possono al momento confidare in una protezione generalizzata, rimanendo in attesa che la loro valutazione venga affidata ai tribunali locali.

In conclusione si può evidenziare come lo stato tedesco, pur non presentando un modello di regolazione del fenomeno del Whistleblower, agisca anche se in maniera tardiva proprio come il nostro ordinamento, a suo modo per regolare il fenomeno ma, “caso per caso”. Pertanto la tutela del Whistleblower è affidata solo ai tribunali locali. Per l’implementazione del modello si potrebbe “consigliare” allo stato tedesco l’adozione di un modello di riferimento per disciplinare il fenomeno, così come recentemente ha fatto un suo vicino, lo stato francese, anch’esso appartenente ai Paesi di civil law.

Dott.sa Carlotta Simonacci


NOTE

[1] https://www.transparency.it/agenda-anticorruzione-2017/
https://www.transparency.it/wp-content/uploads/2017/10/INVITO_Agenda_Italiana_Anticorruzione.pdf
https://www.transparency.it/wp-content/uploads/2015/04/Whistleblowing_FAQ.pdf

[2] https://www.transparency.it/wp-content/uploads/2013/12/Proposta_leggeWB_TI-

[3] Artikel 4 Deutscher Bundestag:
1. La libertà di fede e di coscienza e la libertà di credenze religiose e ideologiche sono inviolabili.
2. La pratica religiosa è garantita e indisturbata.
3. Nessuno può essere costretto contro la sua coscienza al servizio militare sotto le armi. I dettagli sono regolati da una legge federale.

[4] Artikel 5 Deutscher Bundestag:
1. Ogni individuo ha il diritto di esprimere le sue opinioni in parole, scritti e immagini e di diffondere le informazioni e di informarsi attraverso fonti accessibili, senza ostacoli. Sono garantite la libertà di stampa e di segnalazione via radio e film. La censura non ha luogo.
2. Questi diritti trovano i loro limiti nelle disposizioni delle leggi generali, le disposizioni di legge per proteggere i giovani e il diritto di onore personale.
3. Arte e scienza, la ricerca e l’insegnamento sono liberi. La libertà di insegnamento non esime dalla fedeltà alla Costituzione.

[5] Da una breve analisi degli articoli in questione si è deciso di dettagliare solamente l’articolo 331 ritenuto più rilevante riguardo la ricezione delle tangenti.
Artikel 331 Vorteilsannahme:
1. Il pubblico ufficiale, un funzionario europeo o un incaricato speciale del Servizio Civile, che per la funzione pubblica che esercita, può contrarre un vantaggio per sé o per un terzo, accetta o promette utilità da terze parti, è punito con la reclusione fino a tre anni o con una multa pecuniaria.
2. Il giudice, membro di una corte dell’Unione europea o un pubblico ufficiale che richiede, promette o accetta, un vantaggio per sé o per un terzo, in cambio di un atto giudiziario o un futuro atto pubblico da eseguire, è punito con il carcere per cinque anni o con una multa.
3. L’atto è punibile dalla legge nelle ipotesi non previste dal paragrafo 1, se l’autore del reato può ottenere un vantaggio chiesto o accettato e l’autorità competente nell’ambito dei suoi poteri ha autorizzato o approvato l’adozione di tale operato.

[6] Come recita l’Articolo 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo sulla Libertà di espressione:
1. Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, di cinema o di televisione.
2. L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la sicurezza nazionale, per l’integrità territoriale o per la pubblica sicurezza, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, per la protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario.

[7] Cfr. la sentenza CEDU nel caso HEINISCH v. GERMANY, Fifth Section, 21 July 2011, no. 28274/08, reperibile sul sito della Corte http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-105777.

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