L’applicazione della disciplina di inconferibilità ed incompatibilità degli incarichi: il ruolo del RPCT

Nella categoria Analisi e Ricerche da su 26 ottobre 2017 0 Commenti

 

A cura dell’Avv. Alessandra Ianes, discente del Master in Anticorruzione Tor Vergata

  1. Premessa

    1.1 Il decreto legislativo 8 aprile 2013 n. 39 (di seguito, per brevità, “decreto”) rappresenta uno degli elementi di maggior rilievo del complesso processo di attuazione della normativa di prevenzione della corruzione di cui alla legge 6 novembre 2012 n. 190. In particolare, in forza della delega di cui all’art. 1, commi 49 e 50 della citata l. n. 190/2012, il decreto ha disposto un articolato sistema di norme volte a disciplinare la materia della inconferibilità e della incompatibilità degli incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti di diritto privato in controllo pubblico.

    1.2 Le disposizioni contenute nel decreto, secondo quanto espresso dall’art. 22 dello stesso, rappresentano espressa attuazione dei precetti costituzionali di cui agli articoli 54 (dovere di fedeltà alla Repubblica e di adempimento degli incarichi pubblici con disciplina ed onore) e 97 (assicurare il buon andamento della p.a.) della Carta; in ragione dell’assoluto rilievo della ratio posta a fondamento di tale intervento normativo, la disciplina di cui al decreto è supportata da una espressa clausola di prevalenza rispetto alle diverse disposizioni di legge regionale (cfr. art. 22 del decreto)

    La disciplina in parola assolve all’intento di prevenire e contrastare fenomeni corruttivi e conflitti di interesse salvaguardando l’esercizio imparziale delle funzioni pubbliche (in specifica coerenza con la delega di cui alla già citata l. n. 190/2012) mediante la previsione di regimi di inconferibilità ed incompatibilità; in particolare, con dette misure generali di carattere preventivo, la finalità perseguita dal legislatore è stata quella di scongiurare, tramite la formulazione di un giudizio prognostico ex ante, che un soggetto approfitti della propria posizione per ottenerne un’altra mirando a garantire la massima imparzialità e l’assenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi in capo a coloro che ricoprono o saranno chiamati a ricoprire gli incarichi ivi definiti. Interessante notare come la disciplina di cui al decreto legislativo in esame risulti strettamente incentrata al tema della prevenzione del conflitto di interesse e non del semplice conflitto di impegni (inteso quale condizione che determina “unicamente” una potenziale sensibile riduzione dei tempi che l’agente può dedicare all’incarico); in tale prospettiva si noti, infatti, che – al di là delle cause di inconferibilità che riguardano posizioni assunte in precedenza del potenziale incaricato e quindi necessariamente non possono interessarsi ad ipotesi di conflitto di impegni– le cause di incompatibilità previste dal decreto si riferiscono a peculiari posizioni definite da specifici poteri a queste correlati.

  2. Le principali criticità della disciplina

    In forza della complessa strutturazione del decreto le difficoltà interpretative risultano ad oggi molteplici. Da un lato si riscontrano complesse elaborazioni al fine di definire una linea di demarcazione certa rispetto all’ambito di applicabilità della disciplina; dall’altro lato, sono emerse differenti posizioni in ordine alla corretta individuazione degli incarichi disciplinati dal decreto in termini di vincoli e divieti.
    Anche in ragione di tali difficoltà interpretative ed applicative della disciplina, l’Autorità Nazionale Anticorruzione (di seguito, Autorità) ha segnalato al Parlamento e Governo le numerose criticità della disciplina in parola evidenziando i complessi problemi interpretativi della stessa. A tal proposito sono da ricordare, in primo luogo, le osservazioni contenute nell’Atto di segnalazione n. 4 del 10 giugno 2015 con cui l’Autorità ha deliberato una serie di proposte di modifica, correzione ed integrazione della normativa vigente – ed in particolare del decreto – in modo da permettere una individuazione, articolata e dettagliata, delle tipologie di incarichi da conferire con una più specifica articolazione delle cause di inconferibilità ed incompatibilità. In quella sede l’Autorità ha espresso, tra l’altro:

  • una serie di valutazioni in ordine a possibili estensioni della disciplina delle incompatibilità ed inconferibilità (ad titolo esemplificativo, per la provenienza da cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali;  per la provenienza da cariche politiche a livello nazionale);
  • alcune considerazioni in ordine alle definizioni contenute nel decreto anche al fine di una più precisa individuazione delle fattispecie rilevanti;
  • la necessità di chiarimenti in ordine al rapporto tra inconferibilità ed incompatibilità;
  • l’opportunità di precisare le attività professionali incompatibili e di risolvere in maniera chiara il rapporto tra amministrazione ed ente (pubblico e privato) controllato;
  • l’esigenza di una razionalizzazione dei poteri di vigilanza, ordine e sanzioni dell’Autorità (per cui peraltro è ivi segnalata la necessità di integrazione della delega di cui alla l. n. 190/2012).

    La stessa Autorità, di seguito, è tornata ad affrontare il tema con un successivo Atto di segnalazione (n. 5 del 9 settembre 2015) con specifico riferimento alla disciplina della vigilanza, dell’accertamento delle situazioni di inconferibilità e di incompatibilità e dell’applicazione delle sanzioni di cui agli articoli da 15 a 20 del decreto; con tale Atto di segnalazione l’Autorità, anche in ragione del suo compito di riferire al Parlamento circa l’efficacia delle disposizioni in materia in prevenzione della corruzione di cui all’art. 1, co. 2, lett. g) della legge n. 190/2012, richiedeva una intervento urgente da parte del legislatore in ordine all’ambito anzidetto.

    3. Il ruolo del Responsabile della prevenzione della corruzione e trasparenza

Tanto detto in termini generali rispetto alle molteplici problematiche interpretative della disciplina in parola, preme qui analizzare il tema del ruolo affidato in tale ambito al Responsabile per la prevenzione della corruzione e trasparenza (di seguito RPCT) quale dominus dell’intero procedimento sanzionatorio. In tale prospettiva la legge assegna infatti al RPCT un ruolo del tutto centrale dovendo lo stesso curare, “anche attraverso le disposizioni del piano anticorruzione, che nell’amministrazione, ente pubblico e ente di diritto privato in controllo pubblico siano rispettate le disposizioni del decreto (…). A tal fine il responsabile contesta all’interessato l’esistenza o l’insorgere delle situazioni di inconferibilità o incompatibilità” (cfr. art. 15, co. 1, decreto).

Rispetto alle specifiche caratteristiche dell’attività di controllo in capo al RPCT ed al relativo procedimento che il RPCT deve seguire nel caso in cui ricorra una causa di inconferibilità e/o incompatibilità dell’incarico, occorre rileva l’assoluta carenza, in termini di disciplina positiva, delle disposizioni di cui al decreto; si deve ricorrere pertanto al supporto ermeneutico e alle indicazioni offerte, tramite il suo potere di indirizzo, dall’Autorità. Primo riferimento, a tal riguardo, risultano essere le Linee guida adottate da ANAC con delibera n. 833 di data 3 agosto 2016.

Al fine di tentare di ordinare con sistematicità l’ambito e le modalità di esercizio dei poteri in capo al RPCT occorre distinguere le ipotesi di inconferibilità da quelle di incompatibilità.

Nel caso di inconferibilità, l’art. 17 del decreto dispone che “gli atti di conferimento di incarichi adottati in violazione delle disposizioni del presente decreto e i relativi contratti sono nulli”. A tal proposito le citate Linee guida, sulla base della seppur scarna indicazione letterale di cui al richiamato art. 15, co. 1, del decreto (“il responsabile contesta all’interessato l’esistenza o l’insorgere delle situazioni di inconferibilità o incompatibilità”) hanno ritenuto di indicare che il procedimento deve svolgersi nel rispetto del principio del contraddittorio; il RPCT deve pertanto assumere un atto di contestazione da portare a conoscenza sia del titolare dell’incarico sia dei soggetti che lo hanno conferito. Le stesse Linee guida hanno poi evidenziato che tale atto di contestazione dovrebbe contenere una “brevissima indicazione del fatto, della nomina ritenuta inconferibile e della norma che si assume violata”, oltre “all’invito a presentare memorie a discolpa, in un termine congruo, tale da consentire, comunque l’esercizio del diritto di difesa (tendenzialmente non inferiore a cinque giorni)”.

A seguito di tale atto di contestazione, il RPCT – in assenza di accoglimento delle eventuali osservazioni presentate a seguito della predetta contestazione – dovrebbe quindi adottare un atto di natura dichiarativa della nullità prodottasi per il verificarsi della condizione normativamente prevista.

Ponendo l’attenzione al procedimento qui descritto, le incertezze interpretative appaiono molteplici; lo stesso Atto di segnalazione dell’Autorità sopra ricordato (n. 5 del 9 settembre 2015) evidenziava il dubbio ermeneutico circa la necessità o meno di una “dichiarazione di nullità” e si interrogava sul momento di decorrenza degli effetti di detta dichiarazione. Sul punto, quindi, pare necessario rilevare l’assoluta necessità di un intervento chiarificatore del legislatore anche in considerazione del fatto che la semplice previsione di nullità dell’atto di conferimento dell’incarico non tiene in considerazione le differenti casistiche che potrebbero essere interessate da tale ipotesi; a tal riguardo si consideri che tale nullità potrebbe ricadere nel regime di nullità di un atto amministrativo (ipotesi di conferimento di incarico da parte di un ente pubblico) ex art. 21 septies l. n. 241/1990 ovvero seguire le ipotesi di nullità delle deliberazioni assembleari ai sensi dell’art. 2379 c.c. (qualora la nomina interessi un ente con natura societaria). In tal senso occorre quindi una nuova riflessione da parte del legislatore in ordine agli effetti e alle modalità di accertamento delle cause di inconferibilità di cui al decreto.

Si evidenzia, inoltre, che anche in ordine alla previa constatazione da parte del RPCT, al fine di garantire come detto la partecipazione dei soggetti interessati, appare essenziale una più precisa definizione della disciplina nell’ambito del decreto posto che anche sul punto le incertezze sono molteplici; si noti al riguardo che, a differenza di quanto assunto dall’Autorità – come sopra detto – con le citate Linee guida (e già prima con la delibera n. 67 di data 23 settembre 2015), in giurisprudenza si è affermato che l’art. 17 del decreto “individua un’ipotesi di potere vincolato, che obbliga il responsabile della prevenzione della corruzione a dichiarare la nullità degli atti di conferimento (…) il decreto, in tale ambito, non prevede un contraddittorio con il destinatario dell’incarico” (cfr. TAR Lazio, Roma sez. III, 8 giugno 2016, n. 6593).

Infine, si consideri che il ricorrere di una causa di inconferibilità determinata non solo, come sopra esposto, la nullità degli atti di conferimento di incarichi e dei relativi contratti (art. 17 decreto) ma altresì la necessità per il RPCT di procedere ad un differente accertamento per quanto riguarda la sanzione inibitoria di cui all’art. 18, co. 2 del decreto (“i componenti degli organi che abbiano conferito incarichi dichiarati nulli non possono per tre mesi conferire gli incarichi di loro competenza”). Sul punto si ravvisa un ulteriore elemento di grave incertezza interpretativa con dedicate ricadute in termine di modalità applicativa della disciplina.

Secondo le indicazioni fornite sul punto dall’Autorità con le citate Linee guida, il RPCT – al fine di disporre circa la sanzione inibitoria anzidetta – dovrebbe attivare un ulteriore e distinto procedimento di accertamento in ordine all’elemento soggettivo della colpevolezza in capo all’organo conferente l’incarico. Si badi che l’Autorità rileva come la vigente disciplina sulle inconferibilità “sembra non richiedere la sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa” e, ciononostante, la stessa Autorità ritiene che non vi sia alcun automatismo al riguardo (per gli argomenti a fondamento di tale lettura, si rinvia per brevità alle Linee guida) e sia compito del RCPT procede a tale delicatissima valutazione sulla base di quanto emerge dalla dichiarazione che il soggetto cui è stato conferito l’incarico rende ai sensi dell’art. 20 del decreto. In tale prospettiva, il RCPT dovrebbe concludere per la responsabilità dell’organo conferente ogni volta che l’incarico nullo sia stato conferito nonostante dalla elencazione prodotta in sede di dichiarazione fossero emersi elementi che, adeguatamente accertati, avrebbero evidenziato la causa di inconferibilità.

Anche con riguardo a tale profilo risulta evidente la scarsa chiarezza del quadro di riferimento in ordine all’esercizio di detto potere sanzionatorio da parte del RPCT visto che per l’irrogazione della richiamata sanzione inibitoria la disciplina risulta imprecisa e foriera di comportamenti poco uniformi.

Tanto detto in relazione alle ipotesi di inconferibilità, si esamina di seguito quanto previsto nel caso di sussistenza di una causa di incompatibilità.

Secondo quanto disposto dall’art. 19 del decreto “lo svolgimento degli incarichi (…) in una delle situazioni di incompatibilità (…) comporta la decadenza dall’incarico e la risoluzione del relativo contratto, di lavoro subordinato o autonomo, decorso il termine perentorio di quindici giorni dalla contestazione all’interessato, da parte del responsabile”. Non essendo previste altre sanzioni di carattere inibitorio, nel caso di incompatibilità il ruolo del RPCT risulta circoscritto al solo accertamento di tipo oggettivo circa la sussistenza della causa di incompatibilità. Anche in questo caso, tuttavia, permangono le incertezze circa il procedimento da seguire in particolare per quanto riguardo i profili di previa constatazione e relativa partecipazione dell’interessato per cui si rinvia alle considerazioni già sopra esposte rispetto al caso di inconferibilità.

5. Considerazioni conclusive 

Dalla breve disamina delle principali attività in capo al RPCT risulta del tutto evidente come il ruolo di garante del rispetto della disciplina in materia di inconferibilità ed incompatibilità risulti incentrato unicamente in capo a detto soggetto.

Al di là delle molteplici carenze della disciplina già segnalate e delle conseguenti difficoltà applicative che ne derivano, occorre in generale considerare, che il RCPT, di norma, è un dirigente dell’ente e, di conseguenza, le difficoltà di gestione – in via del tutto autonoma –   dei complessi processi, contraddistinti peraltro da ampi margini di incertezze, previsti per l’attività di vigilanza da svolgersi nell’ambito della propria organizzazione, appaiono molteplici. In tale prospettiva, la figura del RCPT in veste di unico soggetto deputato a garantire il rispetto dell’intero complesso delle norme fissato in tema di inconferibilità ed incompatibilità appare una scelta debole e non sufficiente a garantire l’effettivo presidio della disciplina.

La stessa Autorità, nel più volte richiamato Atto di segnalazione n. 5 del 9 settembre 2015, ha evidenziato tale elemento di debolezza dell’impianto normativo ed ha ipotizzato l’affidamento ad ANAC di un potere suppletivo di accertamento delle situazioni di inconferibilità ed incompatibilità al fine di poter procedere con un proprio potere di accertamento delle violazione (e relativo potere sanzionatorio) su segnalazione di cittadini, d’ufficio o su richiesta degli stessi RPCT.

Allo stato, dunque, risulta urgente in intervento normativo che, oltre a risolvere le specifiche e molteplici problematiche interpretative determinate dallo scarno testo del decreto in ordine alla vigilanza ed alle sanzioni in materia, dovrebbe riflettere sull’effettivo presidio che si intende garantire alla disciplina in parola considerato che, ad oggi, il riconoscimento al solo RPCT dei poteri di vigilanza per il rispetto delle norme in materia pare non possa soddisfare le esigenze di efficace applicazione del decreto stesso.

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