MERITOCRAZIA E UNIVERSITA’. I CONCORSI VENGONO TRASFORMATI IN UNA LOTTERIA E ALLORA PERCHÉ NON TENTARLI?

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L’assenza di un complesso di valori socialmente condiviso da potersi mobilitare efficacemente a difesa del principio aureo del «vinca il migliore» spiega, poi, un fenomeno che a guardarlo con attenzione non può che apparire assurdo: l’uso ormai pervasivo nelle pratiche concorsuali, a qualsiasi livello e per qualsiasi posizione, di quiz generici che non misurano spesso nient’altro che la buona stella del candidato.

In questo modo – evidenzia Adolfo Scotto di Luzio, su Il Mattino del 24 settembre 2017, alle pagine 1 e 59 – i concorsi vengono trasformati in una lotteria e allora perché non tentarli?

Nessun esame, ovvio, è credibile se a superarlo è la totalità dei candidati, come ormai accade alla maturità nella scuola secondaria superiore.

Ma i grandi numeri che questi procedimenti meccanizzati sono chiamati a fronteggiare sono di fatto incentivati dalle procedure escogitate per gestirli. Provate ad immaginare un altro criterio di sbarramento. Perché, ad esempio, a Lettere si possono iscrivere, senza esame, gli studenti delle scuole tecniche e professionali? E perché gli studenti che provengono dai licei non hanno l’obbligo di conseguire un certo voto all’esame di maturità?

Nel primo caso, il tipo di preparazione scolastica autorizza, infatti, più di un dubbio sulla capacità di beneficiare degli studi universitari ai quali pure si pretende di candidarsi; nell’altro, la frequenza di un percorso a base umanistica non basta a dimostrare l’ adeguatezza dello studente.

Ma, allora, perché il fatto di saper rispondere ad una domanda qualunque di un quiz quale che sia dovrebbe essere più legittimo dell’impegno nello studio mostrato in cinque anni di liceo?

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