DAPHNE CARUANA GALIZIA. «SE LE PAROLE SONO PERLE, IL SILENZIO VALE DI PIÙ». MALTA, UCCISA LA BLOGGER CHE DENUNCIÒ I LEADER MALTESI SUI PARADISI FISCALI.

 
«Se le parole sono perle, il silenzio vale di più».

Una mattina, Daphne Caruana Galizia se l’era trovato scritto sul muro di casa. E s’era spaventata, sapendo che certe parole sono pallottole e certi silenzi eterni. Non s’era abituata alle intimidazioni, per quante ne avesse ricevute: nel 2006, le avevano bruciato l’auto per un articolo sulla corruzione; a febbraio, per una cerimonia di governo, le fecero sapere che la sua presenza non era gradita; quindici giorni fa, esasperata, aveva denunciato minacce di morte. La polizia non l’aveva messa sotto scorta. Da anni riceveva intimidazioni e minacce. Le ultime, due settimane fa, non le erano valse la scorta. Così ieri Daphne Caruana Galizia, giornalista e blogger, 53 anni, è stata uccisa a Malta con una bomba piazzata sulla sua auto.

A renderla molto popolare, e insieme molto scomoda – racconta Francesco Battistini, su Il Corriere della Sera del 17 ottobre 2017, alle pagine 1 e 5 – era il suo incessante lavoro di inchiesta sulla corruzione nella politica dell’isola, che aveva spinto alle dimissioni anche il premier Muscat.

«La situazione è disperata», aveva scritto nel suo ultimo post, pochi minuti prima di morire, «ovunque io guardi, vedo solo corrotti».

E ieri pomeriggio Galizia, 53 anni, già cronista di punta del quotidiano d’opposizione Malta Independent, pochi minuti dopo aver aggiornato il suo blog Running Commentary, ha salutato i figli, è uscita dalla casa di Mosta, è salita sulla Peugeot 108 che aveva noleggiato ed è saltata in aria. Un’esplosione azionata da un telecomando, cosi forte da sbalzare la macchina di qualche metro. E lasciare Galizia carbonizzata, al volante. La cosa più difficile da trovare è il movente.

La blogger era seguitissima, 400 mila lettori in un’isola di 420 mila persone, grande come l’Elba.

Indicata dalla stampa statunitense fra i 28 personaggi che più scuotono l’Europa, assieme a Erdogan e a Soros, Daphne accusava di traffici illeciti tanto un potente come Konrad Mizzi, ministro dell’Energia di un’isola strategica per gasdotti e rotte petrolifere, quanto il capo dell’opposizione, Adrian Della, per oscuri affari di droga. Un giorno se la prendeva con la ministra dell’Educazione, un altro con quello della Comunicazione.

Linguaggio diretto, nessuno sconto, poca paura delle mafie.

Di recente aveva ironizzato anche su una fiction della Rai, «Maltese», che guarda caso aveva scelto di dare un nome simile a un personaggio costretto ad aggirarsi fra i clan.

«La situazione è disperata aveva appena scritto la giornalista nel suo ultimo post, ovunque io guardi, vedo solo corruzione». Dove guardava, ne scovava. E ne scriveva.

Pestando i piedi a politici e affaristi, battendo un’isola del tesoro popolata da 70 mila società offshore, dalle sedi dei più grandi gruppi mondiali del gioco d’azzardo, dove vivono boss della ‘ndrangheta ed ex potenti della Libia di Gheddafi, fra tasse vantaggiose, finte residenze, facili riciclaggi, segreti bancari ben custoditi.

La corruzione più grossa, Galizia l’aveva denunciata in aprile. Spulciando i Panama Papers dei grandi evasori fiscali di tutto il mondo. E imbattendosi in una piccola banca maltese, la Pilatus, di proprietà dei figli del dittatore dell’Azerbaigian, un Paese che da anni sigla privilegiati accordi energetici e commerciali con Malta. Per la Pilatus Bank, erano passati bonifici milionari a una società di Dubai che risultava intestata a Michelle Muscat, la moglie del premier maltese Joseph, in quel momento presidente di turno UE. Uno scandalo, questi Malta-files. Tanto evidente da costringere Muscat a dimettersi — caso unico: un capo di governo che deve lasciare mentre guida l’Unione a Bruxelles per indire nuove elezioni (subito rivinte).

«Oggi è un giorno nero per la democrazia», è ora il commento dell’imbarazzato premier, che aveva appena trascinato la blogger in tribunale per diffamazione; «Tutti sanno quanto Galizia fosse critica verso di me, sia a livello personale che politico. Ma nessuno può giustificare questo atto barba ro. Non avrò pace finché non sarà fatta giustizia».

Il Sito tratta, in modo sporadico, fatti di attualità, soprattutto dove sono ancora in corso attività di indagine o non dove si è ancora giunti, almeno, ad una prima sentenza, cercando di dare conto delle diverse posizioni.

Alcune volte, come in questo caso, la trattazione di un tema che viene avvertito di estrema rilevanza (quello della necessità di regolare il whistleblowing) può attraversare l’attualità .

Ci auguriamo di essere stati utili.

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