L’APPARENZA E’ TUTTO

Nella categoria Eventi da su 20 giugno 2017

E’ etico che un politico accetti doni o favori nel momento in cui si trova a portare avanti una proposta di legge o un emendamento che favorisca l’imprenditore da cui il dono o il favore proviene? Questo è l’interrogativo che dovrebbero porsi i nostri rappresentanti quando ricevono una qualsivoglia utilità prima, durante o dopo essere stati parte in causa nell’adozione di un qualsiasi provvedimento. E la risposta dovrebbe essere, sempre e comunque: no. Se è vero, infatti, che il politico si trova quotidianamente a fare una scelta tra più interessi in competizione che potrebbero essere tutti parimenti meritevoli di essere sostenuti (non è, in effetti, sindacabile la scelta di proporre un emendamento che tenda a rilanciare il settore del trasporto marittimo anziché proporne uno diametralmente opposto, semprechè entrambi siano utili alla comunità), la circostanza di ricevere quella che appare come una “ricompensa” per la decisione presa configura, quantomeno, un conflitto di interessi. La recente vicenda dell’inchiesta che la magistratura siciliana sta svolgendo sull’armatore Morace per fatti di corruzione, fatto che ha scatenato una bufera sul sottosegretario presso il Ministero delle Infrastrutture Vicari e portato alle sue dimissioni, ha riacceso l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica sulla questione etica sopra richiamata. L’ex sottosegretario ha ammesso di aver ricevuto in dono, lo scorso Natale, un Rolex dall’armatore, beneficiario, insieme ad altri imprenditori dello stesso settore, di un emendamento di legge da lei presentato e sostenuto, che ha portato ad un cospicuo abbattimento dell’IVA. La Vicari si è, tuttavia, difesa dal sospetto di corruzione sostenendo, in primo luogo, che si trattasse di un dono senza secondi fini e di valore contenuto, un puro e semplice regalo di Natale; in secondo luogo, che doni di valore ben maggiore erano stati ricevuti da altri esponenti del governo che si erano guardati bene dal dimettersi; in terzo luogo, che la sua buona fede sarebbe testimoniata dal fatto che si era affrettata a telefonare al donante per ringraziarlo del gentile pensiero, circostanza che non farebbe pensare a qualcosa di preordinato. Analogo atteggiamento ha avuto di fronte a chi le ha contestato il fatto che l’armatore abbia assunto suo fratello. Ha, infatti, ammesso che il familiare è stato assunto (con contratto a termine, ha precisato) presso l’azienda marittima dell’armatore, ma ha anche negato che dietro l’assunzione vi fosse l’intenzione di contraccambiare dei favori. Fermo restando che spetta alla Magistratura decidere se i fatti sopra descritti integrino l’ipotesi di corruzione, si può certamente affermare che la vicenda configura senza alcun dubbio una situazione di conflitto di interessi, quantomeno apparente, in quanto essa viene percepita dalla collettività come un “vulnus” all’imparzialità ed all’indipendenza di chi ha ricevuto il dono o il favore. Siamo in un Paese in cui si è sentita, giustamente, la necessità di varare un codice di comportamento per tutti i dipendenti pubblici, nell’ambito del quale viene stabilito, tra l’altro, un preciso divieto ad accettare, per sè o per altri, regali o altre utilità, salvo quelli d’uso di modico valore effettuati occasionalmente nell’ambito delle normali relazioni di cortesia, intendendosi per modico valore quello di 150 euro (vgs. art. 4 del D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62). Stupisce che analoga esigenza non sia stata sentita per i casi in cui destinatario del regalo o dell’utilità sia uno dei nostri rappresentanti politici. E ciò, nonostante il fatto che, nel loro caso, una situazione anche di solo conflitto di interessi apparente sia destinata ad arrecare un danno molto grave all’immagine delle Istituzioni. Poiché si tratta di dare un esempio positivo al cittadino, affinché si crei in ognuno di noi il rifiuto di qualsiasi forma di compromesso, è arrivato il momento che tutti coloro che rivestono una carica pubblica dimostrino anche nei fatti che il solo fine della loro azione sia il perseguimento del pubblico bene. E poiché per un politico proporre una buona legge o un giusto emendamento va visto come un dovere, l’assolvimento di tale dovere non deve avere alcuna ricompensa che non sia quella morale data dalla soddisfazione di aver ben agito. Si impone, quindi, in assenza di una normativa specifica, e volendo creare davvero una cultura dell’integrità a tutti i livelli, il massimo rigore nei comportamenti, anche a costo di rifiutare un semplice mazzo di rose. Insomma, quando si parla di integrità morale, forma e sostanza debbono coincidere, perché quando si è chiamati ad agire nel pubblico interesse, l’apparenza spesso è tutto.

 

Articolo a cura di Daniela discente della II edizione del Master Anticorruzione (A.A. 2017/2018)

 

 

 

 

 

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