Corruzione internazionale e diritti umani. Il fenomeno dei rifugiati ambientali

Nella categoria Ambiente e Territorio, Estero da su 1 febbraio 2017 0 Commenti

In occasione dell’Udienza Generale di mercoledì 7 dicembre 2016, Papa Francesco ha lanciato un appello per ricordare due importanti Giornate promosse dalle Nazioni Unite: quella del 9 dicembre contro la corruzione, e la giornata mondiale per i diritti umani del 10 dicembre. Il Papa ha sollecitato l’attenzione verso ciò che egli stesso ha definito “due realtà strettamente collegate: la corruzione è l’aspetto negativo da combattere, incominciando dalla coscienza personale e vigilando sugli ambiti della vita civile, specialmente su quelli più a rischio; i diritti umani sono l’aspetto positivo, da promuovere con decisione sempre rinnovata, perché nessuno sia escluso dall’effettivo riconoscimento dei diritti fondamentali della persona umana.”

Degli episodi di violazioni dei diritti umani diffusi su tutto il globo ne abbiamo purtroppo quotidiana notizia; in uno scenario allarmante, il Pontefice lancia un appello nel quale la preoccupazione per la difesa dei diritti umani si unisce a quella per la lotta contro la corruzione. I due fenomeni, infatti, sono tra loro profondamente connessi. La corruzione cancella i diritti umani, essa lascia attorno a sé soltanto lande di terra bruciata. La metafora non è casuale.

La corruzione è un fenomeno multiforme, che sfrutta la complessità della società e si insinua nell’articolata architettura dei rapporti tra i diversi attori sulla scena globale. Tra questi figurano certamente le imprese multinazionali, protagoniste del fenomeno della globalizzazione e detentrici di una fetta consistente di potere decisionale, che troviamo, ormai sottratto alla esclusiva titolarità degli Stati, frammentato su più livelli tra politica ed economia. Parallelamente, nel corso degli anni le multinazionali sono diventate destinatarie di numerose pressioni prima economiche, e poi anche sociali ed ambientali.

La società civile pretende dalle imprese che esse esercitino la loro attività economica realizzando, nel contempo, l’allineamento di interessi privati e pubblici: le imprese, infatti, possono rappresentare un fattore di sviluppo dei mercati e dei sistemi economici, attirando investimenti, investendo in attività di ricerca e innovazione, trasferendo conoscenze e stimolando le iniziative imprenditoriali locali. Al contrario, un esercizio dell’attività d’impresa orientato esclusivamente al raggiungimento dell’extra-profitto, conduce allo sfruttamento del paese ospite, al suo impoverimento, con esternalità negative che si riverberano sull’intera collettività.

In virtù di tali dinamiche macro- economiche, la Responsabilità Sociale di Impresa (RSI) chiama le imprese alla realizzazione di uno sviluppo sostenibile, verso una “integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate ”1.

Per orientare le proprie multinazionali verso un esercizio socialmente responsabile dell’attività d’impresa, i Paesi dell’area OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) hanno elaborato Linee Guida (LG) (OECD Guidelines for multinational enterprises, 1976) al fine di stimolare il contributo positivo che esse sono in grado di apportare ai paesi ospiti. Tra i profili toccati dalle LG, che trovano il proprio punto cardine nel concetto della RSI, compaiono la difesa dei diritti umani, la tutela dell’ambiente e la lotta alla corruzione. Le prassi corruttive portate avanti dalle multinazionali estere nei paesi ospiti, che trovano la compiacenza dei pubblici ufficiali locali, mirano al raggiungimento di un vantaggio realizzato attraverso la violazione delle normative in materia di diritto ambientale e tutela dei diritti soggettivi.

Quando le condotte corruttive diventano prassi, e non trovano un apparato preventivo e repressivo che le intercetti e punisca, si crea una situazione di “sospensione” della legalità, nella quale, cioè, pur essendo formalmente presenti negli ordinamenti giuridici ospiti normative che prevedono obblighi in capo alle multinazionali estere in materia di tutela dei diritti umani e dell’ambiente, queste vengono di fatto eluse o violate grazie alle c.d. “bustarelle” che le imprese si preoccupano di far pervenire ai pubblici ufficiali locali per beneficiare di corsie preferenziali.

Atti di corruzione internazionale diventano, così, gli strumenti prediletti per la commissione di illeciti ambientali e inerenti alla tutela dei diritti umani. Un caso emblematico del connubio “corruzione internazionale-violazioni dei diritti umani-disastri naturali” è rappresentato dal fenomeno dei c.d. rifugiati ambientali.

L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) ha definito i rifugiati ambientali come “persone o gruppi di persone che, a causa di cambiamenti improvvisi o progressivi dell’ambiente che influiscono negativamente sulle loro vite o sulle loro condizioni di vita, sono obbligati a lasciare le loro abituali abitazioni, o scelgono di farlo, sia in maniera temporanea che permanente, e che devono spostarsi all’interno del loro paese o all’estero”. Tra i disastri ambientali che inducono alle migrazioni vi sono gli stravolgimenti climatici causati dagli impianti delle multinazionali straniere. L’esercizio illegale e irresponsabile delle attività produttive o estrattive delle multinazionali dà vita ad alterazioni negli ecosistemi locali, che rendono invivibili per le popolazioni autoctone le loro terre e li costringono a fuggire. Ignorare le responsabilità dei soggetti coinvolti, significa ignorare il fenomeno stesso dei rifugiati ambientali, i quali non soltanto non vengono tutelati nei loro diritti fondamentali nei loro paesi d’origine, ma, sprovvisti del riconoscimento del proprio status da parte del diritto internazionale, vengono abbandonati in situazioni di gravi violazioni dei diritti umani anche nei paesi nei quali emigrano.

Le raccomandazioni volontarie che i Paesi OCSE hanno elaborato per le proprie multinazionali, le pressioni della società civile nei confronti della responsabilità sociale d’impresa e la crescente attenzione politica e mediatica verso il problema della corruzione, non sono bastate a fermare le prassi corruttive ad opera delle multinazionali nei paesi ospiti, prassi che hanno portato a gravi violazioni dei diritti umani e a disastri ambientali.

Un importante passo in avanti sul piano normativo è stato compiuto in ambito regionale con l’adozione della Direttiva europea 95/2014, che impone, a partire dal 2017, alle imprese europee con più di 500 dipendenti l’obbligo di fornire informazioni su temi ambientali, sociali, inerenti al rispetto dei diritti umani e relativi alle policy in materia di lotta alla corruzione sia attiva che passiva. Un obbligo di tale genere, qualora le legislazioni nazionali riuscissero ad assicurarne l’osservanza, imporrebbe alle imprese di rendicontare l’impatto delle proprie attività non solo sull’ambiente e sui diritti umani, ma anche sulle procedure di due diligence, nelle quali rientrano quelle in tema di anticorruzione.

Ci auspichiamo, allora, che per il 2017 i legislatori nazionali sviluppino discipline interne che prevedano meccanismi di effettiva applicazione e di monitoraggio per assicurare che le imprese rispettino i propri obblighi. Inoltre, è fondamentale promuovere tra le imprese che operano all’estero la cultura della RSI, perché “essere socialmente responsabili significa non solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici applicabili, ma anche andare al di là investendo “di più” nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con le altre parti interessate”2.

A cura di Daniela Mancini

 


1 Commissione delle Comunità Europee, Libro verde, promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese, Bruxelles, 2001.

2 Vedi nota precedente.

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