Sotto la superficie: la corruzione dipende dalla cultura?
Quando si studia un fenomeno non ci si può non imbattere nella ricerca delle sue cause.
Come oramai si sa, la corruzione ha una natura multiforme che permette di concentrarsi su aspetti diversi tra loro.
Le analisi tradizionali si sono occupate di trovare spiegazioni politiche ed economiche del fenomeno. Chi studia la corruzione lo sa: questa è più contenuta quando il paese considerato è più ricco, vi è democrazia, libertà di stampa ed è garantita l’uguaglianza dei sessi[1].
(Per approfondimenti sulle cause tradizionali della corruzione visitate la nostra sezione “Cause ed effetti”, qui).
Guardando le mappe di Transparency International relativamente agli studi del Corruption Perception Index[2], la distinzione tra paesi più e meno ricchi sembra essere confermata.
Tuttavia, esistono alcuni paesi che presentano le citate caratteristiche, fanno parte dei più sviluppati al mondo, eppure allo stesso tempo registrano elevati livelli di corruzione. L’Italia è certamente uno di questi.
Per questo motivo, il Prof. Borra e la Prof.ssa Castelli hanno creato un nuovo indice che misura l’eccesso di corruzione “registrata” rispetto ai livelli che sarebbero considerati “normali” date le caratteristiche del Paese oggetto di analisi (EPCI).
L’Italia si guadagna uno dei colori più scuri, che sta a evidenziare la netta differenza tra i due valori: risultati che portano a chiedersi se le cause tradizionali collegate alla corruzione siano sufficienti per spiegare il fenomeno.
Molti studiosi hanno dimostrato l’esistenza di una relazione positiva tra corruzione e cultura. Per farlo, hanno utilizzato diverse caratteristiche ad essa collegabili, come ad esempio il livello di fiducia e cooperazione esistente tra gli abitanti di una determinata popolazione; il loro grado di onestà; la storia del Paese in cui vivono.
Io stessa ho condotto una ricerca su questo tema, che è stata il cuore della mia tesi di laurea. In particolare, mi sono concentrata sui comportamenti di gruppo in quanto potrebbero, nel lungo periodo, contribuire a creare proprio una sorta di cultura.
Dal questionario online preparato assieme ad una collega, a cui hanno risposto volontariamente 1658 studenti da tutta l’Italia, è venuto fuori che questi sarebbero più propensi a comportarsi in maniera scorretta quando credono che anche gli altri lo farebbero (o che addirittura lo facciano già) ed hanno una percezione peggiore della loro regione/contesto di riferimento.
Un risultato interessante per quanto riguarda le percezioni, che ha confermato precedenti studi (si rimanda al link all’inizio dell’articolo e se ne consigliano di nuovi a piè di pagina[3]), emerge quando ai rispondenti è stato chiesto cosa, secondo loro, contribuisce maggiormente nel creare una “cultura della corruzione”: al primo posto, con il punteggio più alto, c’è il contesto socio-istituzionale, seguito dall’educazione ricevuta sia dalla famiglia che dal sistema scolastico, la qualità della regolamentazione anticorruzione e l’efficienza del sistema burocratico.
Collegando i risultati si intuisce che le istituzioni potrebbero giocare, lavorando anche “semplicemente” sulle percezioni, un ruolo fondamentale ed efficace nel contrasto alla corruzione.
Meritano di essere approfonditi, quando si parla di cultura e Italia, gli studi di Banfield e Putnam, dei quali allego i riferimenti[4].
[1] P. Mauro, Corruption and growth, Quarterly Journal of Economics, 110, 1995.
- Treisman, The causes of corruption: a cross-national study, Journal of Public Economics, 76, 2000.
- Brunetti; B. Weder, A free press is bad news for corruption, Journal of Public Economics, 87, 2003.
- Svensson, Eight Questions About Corruption, Journal of Economic Perspectives, 2005.
[2] L’ultima edizione del CPI è stata pubblicata il 25 gennaio 2017 ed è consultabile sul sito di Transparency International, al link http://www.transparency.org/news/feature/corruption_perceptions_index_2016 e https://www.transparency.it/cpi-2016-l-italia-guadagna-una-posizione-ma-non-basta/. L’Italia si colloca al 60° posto con un punteggio di 47/100: 3 punti in più rispetto al 2015.
[3] Special Eurobarometer 397, Corruption, Report, February 2014 (http://ec.europa.eu/public_opinion/index_en.htm).
Global Corruption Barometer (GCB) Report – Transparency International website.
[4] E. Banfield, Le basi morali di una società arretrata, Il Mulino, 1976.
- Putnam, Making Democracy Work: Civic Tradition in Modern Italy, Princeton University Press. Princeton, 1993.
- Putnam, Capitale sociale e individualismo, il Mulino, Bologna, 2004.
Tags: CPI, cultura, featured, Italia, ricerche, Tesi, Transparency International
e’ un articolo interessantissimo che fa emergere uno degli aspetti che se non adeguatamente valutato, di fatto indebolisce l’efficacia delle misure anti-corruzione per quel che concerne l’apporto del cittadino-dipendente pubblico finalizzato alla tutela del patrimonio pubblico e la vita democratica del Paese.
Gli art. 54 e 98 della Costituzione, sono il Codice di comportamento della Repubblica intesa come
comunita’ aggregata da valori che sono l’essenza della vita democratica;
l’art. 97 della Costituzione, e’ la fonte che regola il funzionamento delle P.A.;
i cittadini e le P.A. devono trasfondere nella vita pratica di tutti i giorni l’essenza dei citati articoli.
Conoscere la Costituzione e’ il fondamento per una societa’ che aspira essere piu’ libera e piu’ giusta essendo in Essa custoditi i principi per la corretta e armoniosa vita civile e democratica della Nazione.