Whistleblowing: un modello vincente negli USA

Nella categoria Whistleblowing da su 27 settembre 2016 2 di Commenti

(Introduzione a cura dell’Avv. Daniela Condò, Tutor Master Anticorruzione Università di Roma Tor Vergata, Dipartimento di Economia e Finanza)

“Un atto di coraggio”, è stato definito dal Presidente dell’ANAC, Raffaele Cantone, in occasione di un Convegnopromosso presso la RAI dall’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, nell’ambito delle iniziative del Master Anticorruzione partito ad aprile 2016 e pronto alla seconda edizione. “Fare la cosa giusta” è il principio piu’ volte sottolineato dall’Ambasciatore degli USA in Italia, John Phillips.

Si tratta del “Whistleblowing”, lo strumento di lotta alla corruzione, finalizzato a sconfiggere la cultura dell’omertà e della connivenza, che può funzionare da reale stimolo per proseguire con rinnovato slancio per la costruzione di una società civile migliore e più sana.

Così come è stato finora concepito e applicato in Italia, il “Whistleblowing”, strumento legale già collaudato negli Stati Uniti e in Gran Bretagna che garantisce tutele a chi denuncia, norma utile e necessaria, mostra evidenti limiti operativi, perché applicata solo a chi opera nel settore pubblico, mentre si conosce il peso della corruzione nel settore privato. Rimangono, inoltre, aperte le questioni in tema di tutela della riservatezza e mancanza di incentivi adeguati che richiedono un intervento parlamentare con scelte precise, con una vera tutela di chi segnala, creando un meccanismo che sia veramente efficiente in un’ottica di prevenzione e di controllo interno.

La proposta di legge è stata approvata approvata dalla Camera il 22 gennaio scorso ma è ferma da mesi, in attesa di essere esaminata dalla Commissione affari istituzionali del Senato. Si chiede che il whistleblower abbia una reale protezione e che le aziende private e le società partecipate sia soggette alla stessa normativa.

Differente è la situazione negli Stati Uniti, dove lo strumento del Whistleblowing celebra ad ottobre 2016 già il trentesimo anniversario e il Governo Federale è riuscito a recuperare oltre 70 miliardi di dollari attraverso piu’ di 15 mila cause.

Nell’articolo di seguito riportato, pubblicato sul numero n. 3, appena uscito, della rivista “Legal”, “Whistleblowing: un modello vincente negli USA”, vengono esaminati tali argomenti con attenzione agli aspetti piu’ critici e alle prospettive di applicazione in Italia dell’importante strumento di contrasto alla corruzione.


Articolo di Filippo Cucuccio

Il whistleblowing è uno strumento di lotta ai comportamenti illeciti e alla criminalità organizzata da poco introdotto nel panorama giuridico nazionale e limitato almeno per ora al settore pubblico ( se ne sta discutendo l’estensione al settore privato in Parlamento ) .
Differente è, invece , la situazione negli Stati Uniti dove questo strumento ha trovato un’ applicazione fin dalla seconda metà degli anni ‘80 del secolo scorso.

A illustrare le tappe del percorso del whisteblowing in USA , segnato da difficoltà iniziali , da criticità non lievi , ma anche costellato di successi rimarchevoli , è in questa articolata intervista l’Ambasciatore degli Usa in Italia , John Phillips . Da oltre 3 anni Ambasciatore nel nostro Paese , Phillips vanta un’ esperienza di primo ordine anche proprio nel campo del whistleblowing , corroborata da un solido impianto di preparazione universitaria e post universitaria a livello specialistico conseguito presso la prestigiosa School of Law dell’Università di Berkeley .

Sul piano professionale , tra le numerose e qualificate esperienze , di lui si ricordano quella maturata sul campo nella sua qualità di promotore di uno dei primi studi legali pubblicistici della Fondazione Ford a Los Angeles , di cui è stato , poi , Direttore per 17 anni . Un’esperienza che gli ha permesso di affrontare una casistica considerevole in materia di questioni ambientali , di diritti civili , di tutela del consumatore e di frodi societarie . Ma di lui non si possono non sottolineare anche il ruolo cruciale avuto nell’emendamento del False Claim Act che ha introdotto nel suo Paese il whistleblowing nella configurazione attuale, quello svolto in una organizzazione no profit per l’educazione alla nuova normativa e, infine, l’attività privata di grande successo in qualità di titolare di uno studio legale che porta il suo nome con sede prima a Los Angeles e , poi , trasferito a Washington con uffici anche a San Francisco .

Nell’intervista John Phillips si sofferma anche sulla realtà del nostro Paese , valutando la possibilità e le relative condizioni di diffusione del whistleblowing al suo interno . Un giudizio importante , non solo per la statura professionale dell’interlocutore , ma anche per il legame e la conoscenza approfondita dell’Italia, ove ha compiuto più di 50 viaggi/soggiorni nel decennio precedente la sua nomina ad Ambasciatore e ha fatto parte (2009 /13) del Consiglio di Amministrazione dell’Accademia Americana a Roma. Un legame , dunque , consolidato con il nostro Paese e che rinverdisce quello generazionale della sua famiglia , visto che i suoi nonni italiani (Filippi il cognome originario, successivamente trasformato in Phillips ) si trasferirono negli USA agli inizi del secolo scorso .

Quando e come è iniziata a diffondersi nella società civile statunitense la pratica del whistleblowing?

Il False Claims Act, nella versione emendata, consente a chiunque venga a conoscenza di una frode ai danni del governo, di denunciarla, di procedere per vie legali (spesso congiuntamente al Dipartimento di Giustizia) e di trattenere per sè una parte della somma recuperata. Nel 1986, il Senatore Charles Grassley ed il Deputato Howard Berman sono riusciti a far sì che il Congresso apportasse modifiche al False Claims Act al fine di incoraggiare, tra l’altro, i whistleblowers a farsi avanti con le denunce di frode. Tale processo ha modernizzato una legge che fu approvata nel periodo successivo alla guerra civile americana, aggiornandola e adeguandola ai tempi. Due dei grandi vantaggi della legge sono le disposizioni che consentono al whistleblower di riscuotere parte dei proventi recuperati e quelle che permettono anche l’uso di risorse private (come studi legali e contabili), per raggiungere l’obiettivo di perseguire un reato di frode e recuperare i fondi per conto del Governo.

Con queste premesse , pertanto , il successo della legge emendata è stato assicurato fin dall’inizio?  

In realtà ci sono voluti circa cinque anni perché la legge iniziasse a dare risultati importanti ma, alla fine, il suo uso è cresciuto in modo significativo. Celebreremo il trentesimo anniversario della legge in ottobre. In tutto questo tempo, il Governo Federale è riuscito a recuperare oltre 70 miliardi di dollari attraverso più di 15mila cause. Gran parte dei proventi recuperati dal Governo per casi di frode deriva da questo meccanismo, con i casi di whistleblowing che rappresentano l’80-85 per cento di quelli totali per frode che il Governo federale persegue ogni anno. Tutto questo significa che senza il meccanismo del whistleblowing, il Governo avrebbe recuperato soltanto tra il 15 ed il 20 per cento del totale.

Nel valutare i risultati finora ottenuti da questa esperienza negli USA , quali sono state le maggiori criticità riscontrate nell’uso di questo strumento e quali implementazioni suggerisce nell’ottica di un miglioramento della funzionalità del whistleblowing ?

Cominciando dalla valutazione dei risultati , come già ho detto , la legge ha portato risultati importanti. La normativa ha consentito al Governo americano di recuperare circa 70 miliardi di dollari nell’arco di 30 anni. Inoltre, i whistleblowers (“relators” come vengono indicati nel testo di legge) hanno ricevuto corrispettivi che superano i 5 miliardi di dollari.

Ma, ancora più importante della ricompensa in sé, non va trascurato l’effetto deterrente di tali denunce. Altre aziende, anche in assenza di una denuncia formale, dovranno adeguare le loro prassi quando individuano casi di frode nel proprio ambito operativo. Gli esperti stimano che per ogni dollaro che il Governo recupera, se ne ‘risparmiano’ altri 10 in frodi non commesse da altri, proprio per tale effetto deterrente. Pertanto, possiamo affermare che dal 1986 ad oggi la legge ha impedito che andassero perduti circa 700 miliardi di dollari in frodi ai danni del Governo.

Passando all’aspetto delle criticità incontrate da questo strumento , quali sono state quelle di maggior rilievo?

Nella prima fase la difficoltà più grande nel ricorso alla False Claims Act è stata quella di educare la gente alla legge; serve una prospettiva di lungo periodo e certamente non ci si può aspettare che le cose cambino nottetempo. Cittadini, funzionari e giudici, tutti vanno educati in tal senso alla legge. La normativa dispone tutele per i whistleblower che non esistevano prima del 1986 e consente agli stessi whistleblower di diventare parte del processo, acquisendo tutti i diritti che il nostro sistema riconosce alle parti in causa. E’ stato , inoltre , arduo stabilire le modalità attraverso le quali gli “insider” che hanno denunciato una frode avrebbero lavorato insieme al Dipartimento di Giustizia per intentare una causa, anche se, nel tempo, tutto è diventato più semplice. Il successo di questa legge dopo 30 anni dimostra come possiamo cambiare la cultura del whistleblowing. Come in Italia, anche negli Stati Uniti c’era la preoccupazione che la legge producesse un numero significativo di cause inutili. Esistono cause di questo tipo? Si’, ma il fatto che l’80-85 per cento delle somme recuperate da frodi venga da processi avviati da whistleblower dimostra quanto sia utile come strumento per combattere le truffe. E, infine , la legge garantisce anche tutele in caso di ritorsioni sul posto di lavoro. E, ancora più importante, garantisce la possiblità ai whistleblower di incassare parte dei proventi recuperati da coloro che hanno frodato lo stato, di risarcirli per il rischio che si sono assunti nell’aver denunciato per primi la frode. Tale aspetto è vitale, senza di esso la legge non sarebbe efficace.

Delle tre dimensioni del whistleblowing , etica , politica ed economica quale e per quali motivi a suo giudizio è risultata di maggiore impatto nella società civile statunitense ?

Direi tutte e tre . Partiamo da quella economica. Più di ogni altra cosa, la legge ha avuto effetti economici, sia nei recuperi da parte del Governo che nell’effetto deterrente, cui ho fatto cenno in precedenza. Tali incentivi economici sono una parte vitale del processo. E, come ho già avuto modo di affermare, il recupero dei proventi e il numero di frodi sventate sono benefici economici fondamentali certamente per il governo, ma lo sono ancora di più per i contribuenti americani.

Quanto all’aspetto politico il False Claims Act ha cambiato il panorama politico per i whistleblower. Il processo di aggiornamento della legge negli anni Ottanta è da considerarsi un risultato bipartisan. Tutti al Congresso si sono schierati contro le frodi . Lo svecchiamento della Lincoln Law da parte del Congresso e la firma del Presidente Reagan rappresentano l’affermazione chiara da parte del nostro Governo che non tolleriamo le frodi. La nostra esperienza nel processo di modifica della legge nel 1986 ha inoltre messo in luce la necessità di essere vigili contro determinati gruppi d’interesse che all’epoca volevano essere “d’aiuto” nella fase di scrittura della normative, ma che in realtà rappresentavano coloro che avrebbero voluto indebolirla.

Concludo , facendo riferimento alla dimensione etica. Il False Claims Act ha consentito a chiunque sia a conoscenza di una frode di fare la cosa giusta. Prima per qualcuno, le conseguenze del fare la cosa giusta erano semplicemente catastrofiche – licenziamenti, rappresaglie sul posto di lavoro, demansionamenti. Negli Stati Uniti, come in Italia, la legge dà un’opportunità alle persone di fare la cosa giusta, soprattutto a chi lavora in settori vulnerabili alle frodi, come le infrastrutture e la sanità. Una sfida in questo campo è far conoscere ai lavoratori la legge e spiegare che vale la pena assumersi il rischio di fare la cosa giusta.

Venendo al nostro Paese , quale giudizio si sente di esprimere sul tentativo italiano di introdurre il whistleblowing nell’ambito della Pubblica Amministrazione ?

Ho avuto il piacere di incontrare il Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), Raffaele Cantone in diverse occasioni e sono davvero colpito dagli sforzi che ha messo in campo, lavorando insieme al Ministro della Pubblica Amministrazione Madia, per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza dei whistleblower nel prevenire frodi e corruzione nella pubblica amministrazione e sviluppare buone prassi nel settore pubblico per garantire che chiunque denunci alle autorità competenti non sia vittima di rappresaglie. Come il Presidente Cantone ha riconosciuto, nell’esperienza amministrativa italiana il whistleblower è stato spesso tacciato di essere una spia, un informatore o un traditore, e trattato con diffidenza dai vertici e dai suoi stessi colleghi. Ma tutto questo sta iniziando a cambiare. La legge anticorruzione del 2012 approvata dal Parlamento ha introdotto tutele per i whistleblower nella Pubblica Amministrazione e ho appreso con piacere che il disegno di legge approvato dalla Camera dei Deputati all’inizio di quest’anno – attualmente al vaglio del Senato – estenderebbe tali protezioni anche al settore privato. Sono importanti passi avanti. Dove, a parer mio, l’approccio dell’Italia non risulta forse efficace è nell’assenza di incentivi finanziari per i whistleblower. Anche le tutele più stringenti non impediscono ai whistleblower di cadere vittima di ritorsioni da parte dei vertici e dei colleghi. Una situazione che rende insostenibile la permanenza sul posto di lavoro. I whistleblower si assumono grandi rischi quando decidono di parlare, rischi per i quali meritano di essere risarciti. Se non lo fanno, semplicemente l’informazione non viene alla luce. Ai sensi del False Claims Act, un whistleblower può ricevere il 15-30 per cento del risarcimento disposto per sentenza contro un’azienda che froda il governo. Il punto-chiave qui è che il whistleblower è garantito per legge a trattenere per sé almeno il 15 per cento di quanto viene restituito al Governo. Perché possa funzionare in Italia, la cosa più importante è consentire ai whistleblower di incassare parte della somma restituita, di ricevere un incentivo e una ricompensa. Senza questo diritto riconosciuto al whistleblower, il meccanismo non potrà mai funzionare.

Ritiene che ormai siano maturi i tempi in Italia per un’estensione dello strumento del whistleblowing al settore privato nell’ottica di un contrasto sempre più efficace alla criminalità organizzata ?

L’espressione whistleblowing può avere molti significati. Il False Claims Act, di cui abbiamo parlato, riguarda i dipendenti dei settori pubblico e privato che sporgono denuncia di frode ai danni del Governo. Ma riguarda anche coloro i quali denunciano altre forme di illegalità o di comportamento non etico, come un dipendente statale che denuncia negligenza o abuso d’ufficio. Per rispondere alla sua domanda, sì, è il momento giusto per estendere le garanzie del whistleblowing al settore privato. Come ho già detto, la bozza di legge recentemente approvata dalla Camera dei Deputati lo fa ed è un importante passo avanti. Per quanto riguarda la questione della lotta alla criminalità organizzata, vorrei citare un alto funzionario italiano delle forze dell’ordine, che una volta mi ha detto: “etica e criminalità organizzata sono due facce della stessa medaglia.” Sradicare e prevenire la corruzione e le frodi ai danni dello Stato e nella pubblica amministrazione è un elemento fondamentale nella lotta alla criminalità organizzata. E’ solo una questione di buon senso !

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Commenti (2)

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  1. avatar Giovanni scrive:

    la cattiva gestione del patrimonio pubblico e in generale il diffuso malcostume, si riverberano sulla qualita’ della vita civile e democratica della Nazione e gli effetti devastanti ricadono sulle persone piu’ deboli.
    Sono perplesso per quanto riguarda la legge che tutela il dipendente pubblico che segnala condotte illecite perche’ le P.A. e i cittadini-dipendenti pubblici sono regolati rispettivamente dall’art. 97 della Costituzione e dagli art. 54 e 98 della Costituzione.
    la sinergia magistrato-custode contabile o penale e cittadino-dipendente pubblico e’ la modalita’ a mio avviso piu’ idonea e piu’ efficace per il contrasto alle condotte illecite e ricondurre la P.A. entro l’alveo dell’art. 97 della Costituzione essendo il magistrato-custode l’autorita’ della Repubblica che possiede i poteri per rimuovere tempestivamente le condotte illecite che hanno prodotto, producono e produrranno danno alla collettivita’.
    Il problema non e’ solo quello di avere il coraggio di denunciare ma sopratutto, che alla denuncia, deve essere conferita la dignita’ di servizio alla Nazione dalla l’Autorita’ della Repubblica cogliendone l’essenza e facendola propria,e, conseguentemente, intervenire e intimare la cessazione immediata della condotta illecita.
    E’ chiaro che la stessa Autorita’ vigila, diffidando la P.A. dove e’ avvenuto il fatto illecito segnalato, a non adottare misure volte a colpire il cittadino-dipendente pubblico che opera al servizio della colletivita’, per il bene comune.

  2. avatar Giovanni scrive:

    Oggi 7 ottobre, entra in vigore il D.L. 26/08/2016 n. 174.

    Ho inoltrato agli Organi di vigilanza sulla gestione del personale T.A. e di revisione e controllo dell’Universita’ di Palermo e al Direttore Generale del MIUR dott. Livon, la segnalazione di gestione fraudolenta del rapporto di pubblico impiego del sottoscritto, impiegato contrattualizzato.
    In virtu’ dell’art. 52 c.1 del citato D.L., i responsabili delle strutture burocratiche, devono segnalare alla Procura della Corte dei conti territorialmente competente, la segnalazione, se fonte di danno.
    Hanno l’obbligo, in virtu’ del c. 6 del medesimo art. 52, di porre in essere tutte le iniziative necessarie ad evitare l’aggravamento del danno, adottando gli atti amministrativi necessari ad evitare la continuazione dell’illecito e a determinarne la cessazione.

    Attendo le determinazioni dell’Universita’ di Palermo, ente di appartenenza e del Direttore generale del MIUR, alla luce del citato D.L.

    Dr. G. Scalia

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