Età Vittoriana e immaginario di corruzione.

Nella categoria Storia e Letteratura da su 3 luglio 2015 0 Commenti

Nel mondo britannico alla fine dell’Ottocento, nel declino della c.d. Età Vittoriana, molti autori mostrano una fervida vocazione per la denuncia sociale, in un periodo di difficile trasformazione e caratterizzato dalla grande povertà che l’industrializzazione aveva portato nei ceti più deboli.

Tra questi vi è Anthony Trollope, figlio di un avvocato, che scrive, con successo, sulla società vittoriana e sui suoi vizi nel libro Phineas Finn, nome del protagonista del libro.

Questo mette in scena un giovane ambizioso che diventa parlamentare conquistando facilmente i favori del proprio collegio in cui: «i residenti erano così lontani dal modo reale e così disinformati del ben di Dio che il mondo li offre, da non saper nulla della corruzione».

Ciò che ha scritto Trollope nel suo libro è puramente immaginato e riporta una storia attinente atti di corruzione del 1860. Il caso vuole che quando egli stesso si candidò al Parlamento fu superato dall’avversario conservatore, capace di soddisfare un collegio dove le classi lavoratrici giudicavano la prerogativa del voto solo come un mezzo per ottenere denaro, vivendo in un certo senso ciò che aveva pensato nel suo libro.

Questa esperienza è raccontata nei libri The Prime Minister ed in The Duke’s Children. In questi viene descritto l’immaginario collettivo di una cittadina, Silverbridge, dove i candidati sono obbligati a pagare 500 sterline (£) ai procuratori locali ed i voti dei cittadini sono comprabili dal miglior offerente.

Penso sia importante riportare questo semplice esercizio mentale di immaginazione, dove si dà per giusta consuetudine pagare ai procuratori o alle istituzioni somme di denaro solamente per partecipare alle elezioni, perché – ahimé – alle volte ciò non è molto diverso dalla realtà che si scopre dai fatti riportati dai giornali.

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