Antichi: tra avidità e corruzione

Nella categoria Storia e Letteratura da su 14 gennaio 2015 2 di Commenti

cicero-denounces-catilineLa corruzione è nata con l’uomo e cesserà di esistere insieme ad esso. La si può combattere, arginare, ma sarà sempre parte della natura umana. Motore di tale macchina irrefrenabile che spinge l’uomo ad ogni tipo di compromesso etico è l’avidità. E lo è in ogni sua forma: di vita, di amore, di sapere, di denaro.

Nella Grecia antica, l’avidità (filarguria) era considerata, secondo Socrate, un vizio vergognoso:

“al pari della compagnia dei cadaveri, le cui cause sono: l’illiberalità, l’incapacità di moderare i desideri, il non accontentarsi dell’autosufficienza economica (autarkeia), che sembra essere l’unica forma accettabile di ricchezza dettata da natura; essa domina quando ‘si è governati da qualcuno peggiore’ e trasforma i cittadini al potere in mercenari e ladri”.

Oppure incompatibile con ogni forma di moralità secondo Antistene; ed ancora madrepatria di tutti i mali secondo Diogene; o addirittura secondo Crisippo un vero e proprio morbo, una deficienza conoscitiva (un giudizio distorto), che attribuisce valore morale alla ricchezza e la trasforma indebitamente in un bene.

Anche i latini la pensavano allo stesso modo. Sallustio, in De Catilina coniuratione, scrive così:

“L’avidità non ama che il denaro, cosa non certo tipica dei saggi; questa forma di avidità è simile ad un veleno mortale; illanguidisce il corpo e l’animo dell’uomo; è sempre inesauribile e insaziabile, né l’abbondanza, né la penuria di mezzi riescono a placarla.”

E quando la sete di denaro e di potere prevalgono sull’etica, quando l’avidità divora l’uomo e non esistono più princìpi morali su cui fare riferimento, ogni mezzo è lecito per riuscire a placarla. Anche la corruzione. Specialmente la corruzione.

Nella società latina la corruzione e le malversazioni dei funzionari dello stato affliggevano coloro che erano sottomessi alla loro autorità. I governatori delle provincie e gli alti gradi dell’amministrazione periferica spesso approfittavano con le irregolarità più diverse della propria posizione ai danni delle popolazioni soggette a Roma. Verre, il governatore della Sicilia dei tempi di Cicerone, costituiva un caso tutt’altro che isolato. Ma la corruzione riguardava anche i gradini inferiori dell’amministrazione statale; gli storici classici si occuparono poco di questi episodi, troppo umili per meritare la loro attenzione. Più frequentemente sono citate le frodi dei publicani, titolari di lucrosi appalti statali. Un esempio è quello di Marco Postumio di Pyrgi, titolare di contratti di fornitura per l’esercito, il quale faceva affondare di proposito vecchie navi, dopo averle caricate di merci di poco valore, per richiedere allo stato l’indennizzo di un valore molto superiore.

La corruzione era ad ogni livello. Neanche i grandi della storia hanno le mani pulite. Pericle intascò oltre il 50% del denaro destinato alla costruzione del Partenone (mentre Fidia – scultore sovrintendente ai lavori – sottrasse parte dell’ oro destinato alla statua di Atena). Scrive Bertolt Brecht ne “Gli affari del signor Giulio Cesare” che «gli abiti dei suoi governatori erano fatti di sole tasche». Persino Marco Porcio Catone, il censore, sosteneva che tutto avesse un prezzo; tanto da portare Seneca a scrivere nelle Lettere a Lucilio:

 “..questi sono i vizi degli uomini, non dei tempi: nessun età è esente da colpe. Se ti metti a considerare la corruzione nelle varie epoche troverai che essa non è mai stata sfacciata come ai tempi di Catone.”

E se è vero che l’avidità sarà sempre parte della natura umana non è vero che debba essere sempre presente nella vita dell’uomo. Essa è solo una delle tante leve che muove la macchina umana. Per cambiare le cose basta premere la leva giusta.

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Studio Economia dei mercati e degli intermediari finanziari all’Università di Tor Vergata. Mi piace leggere e viaggiare, ma la mia vera passione è la scoperta del “diverso”. Nonostante 2 lavori part-time e un’avviata carriera agonistica nelle danze latino-americane riempiano le mie giornate, sono sempre alla ricerca di nuove avventure. E chi cerca, trova.

Commenti (2)

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  1. avatar giulio scrive:

    Ciao
    mi incuriosisce molto il tema della storia della corruzione
    ho scritto questo articolo che purtroppo in alcuni link si è perso il riferimento ad un articolo di Mieli che affrontava brillantemente il tema.
    Purtroppo ora l’articolo non è più consultabile liberamente senza abbonarsi al sito del corriere.
    Una delle cose più intriganti era scoprire che il partenone non fu esente da fenomeni di corruzione
    sapresti indicarmi dei testi che approfondiscano il tema della corruzione nella storia?
    http://www.amatelarchitettura.com/2015/12/architettura-bella-e-buona/
    puoi scrivermi in privato se preferisci
    tnx

  2. avatar bruno scrive:

    L’avidità per me ha le stesse radici delle credenze. Si crede per paura e per allearsi ad un protettore o amico forte che ti protegga. Così l’avidità ha come spinta la paura di rimanere senza mezzi e la consapevolezza che senza mezzi sei vulnerabile e non conti nulla. Si tratta di umanità allo stato infantile che forse crescerà. Tuttavia è un grave errore , per me, immaginare che sia l’etica a funzionare come freno, la storia si è già incaricata di dimostrarci che non è così i censori in ogni tempo erano più ladri dei ladri ed è così anche ai giorni nostri. Le civiltà non confessionali o qualunquiste come la nostra ha risolto il problema con le regole. Cioè la società si deve dare delle regole per cui sia difficile o impossibile rubare in ogni ambito, ma se accade che sia possibile smascherare il colpevole no dopo ma durante. So che non funziona sempre bene , che ci sono sempre delle falle ma con le regole certe e le pene immedite e certe il fenomeno si attenua molto. La trasparenza a partire dal vertice fino all’ultimo impiegato statale deve essere totale e tracciabile. Con una società , come la nostra , ancora tribale e ademocratica dove tutto è nero non trasparente si può solo invocare la morale appunto , cioè continuare a farsi del male.

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