Conflitto di interessi, una normativa da cambiare di Filippo Cucuccio
Un libro di Emiliano Di Carlo, docente di Economia Aziendale all’Università Tor Vergata di Roma, riporta alla ribalta la regolamentazione del conflitto di interessi, fenomeno sfuggente e difficile da prevenire, ma spesso legato a filo doppio alla corruzione
Che il conflitto di interessi non sia soltanto un suggestivo tema di natura accademica o libresca lo stanno a testimoniare i casi concreti di tanto in tanto portati all’onore della cronaca. Ultimo, in ordine di tempo, quello relativo al Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale di Trieste, dichiarato decaduto e rimosso dalle sue funzioni su intervento dell’Autorità Nazionale Anticorruzione per la presunta incompatibilità con la carica di Presidente della controllata Trieste Terminal Passeggeri. La vicenda – che ha destato notevole clamore, non solo a livello locale, ma anche preoccupazioni non secondarie per l’impatto di natura economico-sociale, dovendosi considerare nulli tutti gli atti deliberati e i contratti stipulati dal Presidente dell’Autorità – si è poi conclusa davanti al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio con una pronuncia che ha annullato il provvedimento dell’Anac e reintegrato nelle sue funzioni il Presidente dell’Autorità Portuale.
È quindi legittimo chiedersi, anche alla luce di questi episodi, se il conflitto di interessi, inteso come condizione giuridica che si verifica quando viene affidata un’alta responsabilità decisionale a un soggetto che ha interessi personali e professionali in contrasto con l’imparzialità richiesta da tale responsabilità, abbia in Italia una regolamentazione normativa adeguata e se sono previsti strumenti idonei a prevenirlo e a contrastarlo.
La risposta al duplice interrogativo è al momento negativa. Infatti, l’unica fonte normativa che disciplina il conflitto di interessi nel nostro ordinamento è la L. 215 del 2004 “Norme in materia di risoluzione dei conflitti di interesse”, la cosiddetta Legge Frattini, che si limita a prevedere ipotesi di incompatibilità specifiche per i titolari di alcune cariche pubbliche.
La realtà economica della nostra società ha mostrato nel corso di questi anni l’insufficienza di questa norma rispetto alla casistica concreta, stimolando, a più riprese, una riconsiderazione dell’argomento in una prospettiva più ampia e coerente con lo sviluppo economico sociale del Paese.
In questo ambito vanno segnalate le opinioni in tema di conflitto di interessi emerse in un recente dibattito, organizzato presso l’Università Tor Vergata di Roma in occasione della presentazione del libro “Il conflitto di interessi nelle aziende” di Emiliano Di Carlo, docente di Economia Aziendale presso quell’Ateneo. Un volume che va sicuramente oltre la semplice manualistica accademica per la completezza e la profondità con cui sono toccati i diversi aspetti, giuridici, economici, psicologici, comportamentali, morali ed etici suscitati da questo tema. Non è, pertanto, casuale che per Di Carlo la domanda centrale da porsi, affrontando questo tema, è: conflitto di interessi con chi?
Un interrogativo che, per essere soddisfatto, getta la luce sulle nuove dinamiche che marcano la differenza dell’attuale conflitto di interessi rispetto alla dicotomia tra management e azionisti di una società, delineata da Berle e Means negli anni Trenta del secolo scorso, proiettando il dibattito in un ambito in cui sempre più rilevano, quali parametri di confronto, la continuità aziendale e la sostenibilità del business.
Per Augusto Aponte, che è stato Revisore generale della Banca d’Italia, il conflitto di interessi va riportato nella dimensione del ruolo e dei compiti del Responsabile della Prevenzione della corruzione in una Istituzione Pubblica. In un’analisi che individua il trade-off tra strumenti giuridici e strumenti etici per la gestione del fenomeno, si evoca il rinvio alla figura del bonus pater familias, quale possibile punto di convergenza dei due aspetti.
Un altro elemento, che emerge dall’analisi di Aponte e che lo rende particolarmente complesso è il carattere sfuggente del fenomeno del conflitto di interessi, sia verso sé stessi, in quanto non lo si percepisce, o non lo si ammette; sia verso gli altri, intesi quale collettività, mancando una sensibilità specifica e registrandosi una preoccupante dispersione dei valori; sia, infine, rispetto all’ordinamento giuridico.
Una linea di pensiero implicitamente seguita anche da Fabio Di Vizio, sostituto Procuratore di Firenze, quando afferma che “il conflitto di interessi non è contrastabile, non almeno tempestivamente ed in maniera efficace quando si realizza; ma solo dopo, quando emergono i segni della compromissione dell’integrità dei comportamenti”. In questo contesto “la tutela penale rivela difetti cronici di inefficacia, limitandosi ad interventi svolti in modo episodico, occasionale e frammentario”.
Stante la pochezza degli strumenti previsti dal diritto societario (art.2631 cc) e dal diritto penale bancario (art.136 del TUB) e pur riconoscendo qualche miglioramento apportato, come in ambito di responsabilità amministrativa degli enti o di riforme in materia di corruzione privata, i presidi previsti nel nostro ordinamento, nell’ottica del contrasto al conflitto di interessi, sono giudicati da Di Vizio “sostanzialmente complementari e funzionalmente sussidiari”. Occorre, quindi, un cambio di passo, anche alla luce del costo sociale della corruzione dei poteri privati, dei costi dei dissesti bancari e del peso sulla fiscalità generale, per giungere ad una sua più efficace regolamentazione. In uno scenario, quindi, caratterizzato da una nuova cultura d’impresa, rivalutata nella sua funzione sociale e supportata da un nuovo statuto dei controlli interni ed amministrativi.
Il riferimento precedentemente fatto alla corruzione schiude la strada al perché il tema del conflitto di interessi sia intercettato e ampiamente trattato nell’ambito di quella esperienza accademica, giunta ormai alla sua quinta edizione, che è il Master Anticorruzione di Tor Vergata. Lo sottolinea Daniela Condò, che ne è la Programme Assistant, accogliendo una visione del conflitto di interessi “sicuramente più ampia e multidisciplinare nel ripensamento del capitalismo moderno”. Concordando con il pensiero dell’economista britannico dello sviluppo, Paul Collier, per Condò “solo l’etica può salvare il capitalismo, beninteso un’etica senza camuffamenti e ipocrisie coniugata con una rinnovata morale pubblica”. L’obiettivo dichiarato deve, dunque, essere quello di “costruire una nuova finanza, stabilendo un nuovo patto sociale per il bene comune e privilegiando conseguentemente gli aspetti di impatto sul sociale e sull’ambiente”.
Anche Gaetano Scazzeri, responsabile del Nucleo Anticorruzione della Guardia di Finanza, ribadisce la vicinanza dei due fenomeni, conflitto di interessi e corruzione: “Sono sicuramente manifestazioni diverse dello stesso fenomeno; con un paragone suggestivo, legato alle vicende del Covid ’19, la corruzione è la malattia, il conflitto di interessi il suo virus”. Una visione che porta Scazzeri a inquadrare il conflitto di interessi con i suoi effetti perniciosi sull’equilibrio del mercato del lavoro, sull’efficacia e sull’efficienza complessive del sistema economico, soprattutto nell’ottica dell’imparzialità dell’azione amministrativa. Ed è proprio in questo specifico contesto che va ricordato quanto messo in atto da questo corpo specializzato di polizia con gli strumenti disponibili per evitare preventivamente che il conflitto di interessi sfoci in comportamenti di maladministration o in azioni penalmente rilevanti. Un’attività complessa e variegata, svolta su propria iniziativa o anche su richiesta dell’Anac, dell’Ispettorato della Funzione Pubblica e della Corte dei conti per i connessi aspetti di danno erariale.
Quanto agli aspetti di dimensione economica, sia pure colti in una particolare prospettiva, Maurizio Bufi, Presidente uscente dell’Anasf, l’Associazione Nazionale dei Promotori Finanziari, ritiene che il tema del conflitto di interessi si inserisca nell’ambito della prestazione del servizio di consulenza finanziaria fornito su base indipendente e non. “Il cliente paga un prezzo a fronte delle prestazioni di un servizio personalizzato, di una valutazione di adeguatezza degli strumenti finanziari collocati, dell’accesso ad un’ampia offerta di prodotti compresi quelli di terzi, dell’attività di assistenza post-vendita, del continuo monitoraggio del proprio portafoglio. Di qui la convinzione sostenuta da Bufi che “la presenza di questi requisiti, riconducibili ai principi di qualità del servizio Mifid Compliance, rende praticabile una corretta gestione del conflitto di interessi nel miglior interesse del cliente”.
In definitiva, dalla rapida rassegna di queste qualificate opinioni emerge il punto fermo della necessità indifferibile per l’Italia di un inquadramento normativo del conflitto di interessi più adeguato e che rinvii in modo diretto, così come ribadito da Di Carlo, a un concetto di interesse primario dell’azienda pubblica o privata. Un interesse, inteso come superiore rispetto a quello di tutti gli altri, azionisti compresi, con una definizione strumentale alla diffusione di una nuova etica dell’azienda. Un interesse, infine, che, collocando e isolando il conflitto di interessi in una posizione chiaramente antagonista, contribuisca in modo fattivo all’affermarsi del bene comune, molla indispensabile per il rilancio economico-sociale del nostro Paese.