LA LOBBY CHE CAMBIA, a cura di Dr. Valerio Ciani e Dr.ssa Barbara Rizzo, discenti del Master Anticorruzione, Terza Edizione

Nella categoria Eventi da su 24 luglio 2018 0 Commenti

Il pensiero comune in tema di lobby è certamente negativo: lobby come gruppo di potere volto a manovrare, a scapito della cittadinanza, politica ed economia ad esclusivo proprio vantaggio. La Treccani definisce la parola lobby come “Termine usato negli Stati Uniti d’America, e poi diffuso anche altrove, per definire quei gruppi di persone che, senza appartenere a un corpo legislativo e senza incarichi di governo, si propongono di esercitare la loro influenza su chi ha facoltà di decisioni politiche, per ottenere l’emanazione di provvedimenti normativi, in proprio favore o dei loro clienti, riguardo a determinati problemi o interessi” indicandolo poi, in un secondo punto, come nome proprio del “salone principale di una banca dove si svolgono le operazioni di sportello per il pubblico”. Da tale parallelismo linguistico-terminologico traspare la tendenza a identificare l’attività di lobbying con le transazioni monetarie e, quindi, con le logiche dello scambio commerciale, ossia del do ut des, che ,accostato al finalismo delle politiche pubbliche, si trasmuta rapidamente, nell’immaginazione collettiva, in fenomeno corruttivo. La realtà italiana in cui viviamo, di certo non aiuta a mutare questa concezione diffusa. Numerosi sono i casi in cui, ad esempio in campo politico, si assiste alla creazione di norme a vantaggio di pochi e a scapito di molti in nome dei poteri forti e nascosti nel sostrato della nostra società. Vi sono però in questo campo esempi di Paesi “virtuosi” che regolamentano in maniera puntuale il fenomeno lobbistico, e che soprattutto utilizzano tale potere per apportare miglioramenti. Tra questi, oltre gli USA, patria del lobbying, possiamo trovare l’Inghilterra, la Germania, la Francia e la Spagna nonché la stessa Unione Europea che già negli anni ‘90 aveva adottato per il parlamento europeo un registro dei lobbisti. Come segnalato da più parti, sempre più impellente risulta essere nel nostro Paese l’esigenza dell’introduzione di una normativa specifica che regolamenti il rapporto tra i rappresentanti dei gruppi di interesse e i rappresentanti politici. Dal 1976 ad oggi sulla materia del lobbying sono stati presentati 59 progetti di legge e 11 in materia di pubbliche relazioni, nessuno dei quali è divenuto legge della Repubblica. Come segnalato da Transparency International Italia il fenomeno di lobbying nel nostro Paese è fortemente presente ma di difficile lettura o studio proprio a causa dell’opacità dei rapporti tra i gruppi di interesse e i rappresentanti delle varie forze politiche che rendono pressoché impossibile conoscere chi esercita tale attività, verso chi è esercitata, i mezzi tramite i quali la si esercita e con quali scopi. In Italia, inoltre, il fenomeno si è sviluppato in assenza di adeguate procedure e regolamentazioni e a porte chiuse così favorendo un tipo di lobby a senso unico, in cui non si utilizzano più pressioni di potere per poter apportare miglioramenti alla società, ma esclusivamente a beneficio personale (uno degli ultimi punteggi riportati dall’analisi di Transparency International dall’Italia sul lobbying è di 20/100) . Tra le soluzioni principali prospettate per migliorare il sistema di rappresentanza degli interessi del nostro Paese sono state individuate: a) l’istituzione di un registro pubblico obbligatorio di lobbisti garantito da un’autorità terza indipendente che faccia rispettare i più alti standard internazionali di trasparenza e rendicontazione; b) l’obbligo per i parlamentari di rendere pubblici i dettagli degli incontri con lobbisti e gruppi di interesse accompagnato dalla massima trasparenza sugli accessi al Parlamento e Ministeri tramite registrazione e pubblicazione dei medesimi; c) introdurre nell’ordinamento normative che regolamentino il Conflitto di Interesse e nello specifico il fenomeno della “Porta Girevole” (termine mutuato dall’inglese, revolving doors, che nel linguaggio politico individua il movimento continuo di persone divise tra attività politica, attività come funzionari in enti di regolamentazione, attività di lobbying per conto di gruppi industriali, e attività economica nelle stesse industrie coinvolte). Nella seduta del 12 aprile 2016 la Giunta per il regolamento della Camera ha approvato il Codice di Condotta dei Deputati secondo cui i deputati sono tenuti a rendere noti tutti i loro interessi finanziari, insieme alle cariche ricoperte, anche precedenti all’elezione a deputato. Si prevede inoltre il divieto per i deputati di accettare regali o benefici ​analoghi di valore s​uperiore ai 250 euro. I deputati sono inoltre obbligati ad adottare misure utili a rimuovere eventuali conflitti d’interessi. Tale Codice non è stato tuttavia approvato all’unanimità. Alcuni giorni dopo, il 26 aprile 2016, la Giunta per il Regolamento della Camera ha approvato il provvedimento di Regolamentazione dell’attività di rappresentanza degli interessi nelle sedi della camera dei deputati. I due provvedimenti hanno portato all’adozione, presso l’Ufficio della Presidenza della Camera, di un registro dei soggetti che svolgono professionalmente attività di relazione istituzionale nei confronti dei membri della Camera dei deputati presso le sue sedi. All’art.1, com.4, della Deliberazione dell’Ufficio di Presidenza dell’8 febbraio 2017, intitolata “Disciplina dell’attività di rappresentanza di interessi nelle sedi della Camera dei deputati”, sono elencati i soggetti tenuti all’iscrizione all’interno di detto registro, tra i quali vi si ritrovano, oltre ai gruppi di imprese e aziende e soggetti specializzati nella rappresentanza professionale di interessi di terzi, anche altri soggetti come ong, rappresentanze sindacali e datoriali o associazioni di categoria e di consumatori, un ampio elenco che si conclude con il riferimento a “ogni altro soggetto che intenda svolgere la succitata attività” così da non porre alcuna limitazione nell’individuazione di soggetti esercenti la pratica di lobbying. Tale registro, pur rappresentando un passo in avanti sulla strada dell’open government, risulta essere uno strumento inadeguato e insufficiente; rappresenta null’altro che un elenco di schede in formato non aperto indicanti esclusivamente informazioni di base come il nome delle aziende, il titolare, la sede, il titolare degli interessi per cui si opera e i soggetti che si intende contattare i quali, genericamente vengono designati con i termini “se stesso” e “deputati”. Ben lungi dalla realizzazione di un sistema di trasparenza e regolamentazione dei rapporti di lobbying, si esige la necessaria attuazione di una disciplina nazionale che imponga l’adozione di simili registri per ogni organo dello stato e che permetta l’individuazione di standard minimi generalizzati che permettano una piena e vera trasparenza. Il primo passo concreto per apportare un cambiamento effettivo sicuramente è aumentare la trasparenza in ambito politico ed economico, permettendo a chiunque di poter accedere ad informazioni utili ​al cittadino per monitorare attività ed obiettivi di amministrazioni pubbliche e società (secondo uno studio di Transparency International la possibilità di accesso da parte dei cittadini italiani alle informazioni sull’attività di lobby è solo l’11%),e creare un modello di open innovation, ovvero un modello basato su un mutuo scambio di idee e progetti tra società, istituzioni e aziende coadiuvate da partnership pubblico-private . In Italia, in relazione a questo aspetto, vi è ancora un ampio margine di miglioramento. Riassuntivo del quadro generale e di impatto è la citazione di Aneesh Chopra, autore del libro “Innovate state”, che afferma “Occorre creare uno stato innovativo, un governo del XXI secolo, che ingaggi le diverse società, che incoraggi le partecipazioni e crei partnership sui problemi da risolvere. Uno stato innovativo, focalizzato su un interfaccia pubblico-privata con un’enfasi sull’Open Government e sui suoi dati, che incoraggi il pubblico ad usarli, che spinga il privato ad usare standard che permettano competizione, soprattutto nei settori regolamentati, e che permetta un’iniezione di un mindset imprenditoriale nel governo, in modo che questo possa attrarre e mantenere nuovi talenti”.

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