CULTURA DELLA VERGOGNA E REPUTAZIONE: DA OMERO AL CODICE ETICO, a cura di Avv. Ambra Camilleri e Dr. Valerio Petrella, discenti III edizione Master in Anticorruzione, Università degli Studi di Roma Tor Vergata.

Nella categoria Eventi da su 24 luglio 2018 0 Commenti

LE ORIGINI. La parola etica deriva dal greco ethos, che significa costume, abitudine. L’etica è la parte della filosofia del comportamento umano che si interroga sul giusto e l’ingiusto. Nell’antica Roma era molto più comune l’utilizzo del termine “morale”, che si differenzia dall’etica per una diversa inclinazione del giudizio. Nella nozione di morale, infatti, l’angolo di osservazione è interno all’autore, pur prendendo come punto di riferimento parametri esterni; invece, nell’etica assumono importanza solamente parametri esterni, frapposti tra il responsabile dell’azione e la società cui egli appartiene. La differente angolazione prospettica assume un’importanza cruciale nella giustapposizione tra società della colpa e società della vergogna.

OMERO. Per ben comprendere a cosa facciamo riferimento, con il termine civiltà della vergogna il filologo irlandese E. R. Dodds descrive la società omerica e i modelli su cui la stessa si basa. Nella società rappresentata da Omero, infatti, la mancata adesione alle regole comportamentali ha come conseguenza il sentimento di pudore e vergogna dell’individuo, che provoca in esso un disagio che non gli consente più di rappresentarsi come parte della società. Nei casi più gravi, quest’ultima bandisce la persona dis-onorevole financo con l’emarginazione vera e propria. I grandi eroi (quali Achille, Agamennone, Ettore) per la loro realizzazione “sociale” necessitano di essere considerati gloriosi e pieni di onore dalla comunità di riferimento. Solo in questo modo “esistono”. Il giudizio degli altri è imprescindibile, sicché senza la pubblica stima è meglio uccidersi, come nel caso di Aiace Telamonio. L’onore, da cui poi deriva la gloria, non è un concetto astratto, ma il risultato di atti e comportamenti concreti: è la sintesi di sacrificio, rispettabilità e premio. Così, l’esempio degli eroi produce nella polis processi di emulazione che si sostanziano in comportamenti virtuosi, tali da far guadagnare all’agente la richiamata rispettabilità. Nell’epoca raccontata da Omero, infatti, la comunità rispecchia un sistema di valori condiviso all’interno di un tessuto sociale coeso, al cui vertice troviamo il valore dell’onore e della buona reputazione. Ettore, nel poema omerico, recita: “è molto meglio per me affrontare Achille e tornare dopo averlo ucciso, o essere ucciso da lui, ma con gloria, davanti alla mia città”. Ancora, il più grande bene in Omero è sentir parlare bene di sé per via dei successi che quella società considera come i più importanti; il più grande male, invece, è sentirsi criticare per delle sconfitte. Un proverbio spartano recita: “Torna con lo scudo o sopra di esso”, per sottolineare che l’onore è un valore di preminente rilievo, superiore anche al mantenimento della propria stessa vita.

IL MEDIOEVO. I valori appena evidenziati – con gli opportuni distinguo – li ritroviamo alla base delle regole civili nel Medioevo, ove, in presenza di poche norme regolanti i comportamenti illeciti o disdicevoli, il metodo più utilizzato per la punizione dei reati minori viene rappresentato dal pubblico ludibrio. Nell’età medievale il “reo” – a fronte di un atto contrario alla legge – non riceve una punizione detentiva, piuttosto viene sottoposto al “ludibrio” (dal latino ludere, schernire), ossia all’esposizione alla derisione pubblica. Pertanto, ad essere colpiti sono la dignità e l’onore delle persone, tramite una punizione più profonda ed “etica”. Tale sistema di reazione sociale ha costituito per secoli un deterrente efficace al compimento delle “infrazioni”. Esso, infatti, comporta la totale perdita della reputazione, parola, questa, la cui etimologia si ricava dall’unione di re, ripetutamente e putare, giudicare).

IL GIAPPONE. L’espressione cultura della vergogna (in inglese shame culture), o civiltà della vergogna, viene utilizzata, però, per prima dall’antropologa americana Ruth Benedict, in un saggio sulla cultura giapponese del 1946, commissionato dal governo degli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale. Alla base della teoria dell’antropologa vi è il “collettivismo”, il principio essenziale su cui si basa la società giapponese, secondo il quale il singolo ha il dovere di accettare tutti i suggerimenti e gli input che arrivano dalla collettività, in modo da determinare qual è il posto “giusto” che gli spetta nella rappresentazione della società. Per il singolo lo stimolo di partenza proviene dall’esterno, sicché l’autocontrollo o l’autocensura, contrariamente alla mentalità occidentale, si attivano non per fedeltà a una propria morale interiorizzata, ma per evitare il rimprovero esterno. Ed ecco che la reprimenda, il severo rimprovero, diviene una gogna pubblica di “vergogna”. Il giapponese non ha timore di commettere una colpa (peccare contro un principio morale), bensì di andare incontro alla vergogna (essere additato dalla gente), di talché egli si attiene alla conservazione del ruolo sociale che la collettività ha disposto per lui, mantenendo il meccanismo in equilibrio perfetto, perché basato – come in Omero – su valori condivisi il cui apice è costituito da onore e reputazione. “Il Giappone è stato creato da una manciata di uomini, guerrieri disposti a dare la vita per quella che sembra ormai una parola dimenticata: onore”.

IL CRISTIANESIMO. L’onore, la reputazione e l’approvazione sociale – basi delle culture appena analizzate – hanno rappresentato, in larga parte, i pilastri della convivenza civile e civica sino all’epoca moderna, quando i rapporti tra le persone ed i loro comportamenti hanno cominciato ad essere “regolati” da un sistema di norme sempre più diffuso e stringente, specie in Occidente. È così che, dall’etica della vergogna si è passati all’etica della colpa, che è l’etica della punizione, dell’ammenda, della sanzione inflitta in caso di violazione del comportamento dovuto. La cultura della colpa (guilt culture) è comune alla tradizione cristiana dove, in luogo dell’onore, viene introdotto il concetto di peccato e di espiazione della pena. La degenerazione del modello espresso dalla società da ultimo descritta si traduce nella mancata interiorizzazione dei propri comportamenti, financo con la proposizione di comportamenti devianti, quali la c.d. “vendita delle indulgenze”, espressione di una società che non prova vergogna, ma che valuta monetariamente il prezzo delle proprie azioni.

LA SOCIETÀ CONTEMPORANEA. Alla luce della presente disamina, è opportuno interrogarsi sul modello di etica prevalente nella società odierna. Qualcuno potrebbe obiettare che il dibattito è un non senso, atteso che le società contemporanee appaiono prive di una dimensione etica. Eppure così non è, se solo si considera che l’etica, intesa come spazio del non esigibile per norma, ha assunto un ruolo chiave nell’elaborazione teorica degli economisti successiva agli scandali societari americani che hanno portato all’esordio dell’odierna crisi economica. La teoria dell’agenzia5, una diffusa teoria economica, riteneva che scopo primario dell’azienda fosse quello della produzione del massimo profitto degli azionisti, financo contro i valori di continuità dell’azienda medesima. Per fare ciò, i manager operavano in una zona di confine tra il lecito e l’illecito, zona d’ombra che ha portato a disastrose reazioni dei mercati finanziari a livello mondiale. Ebbene, ci sarebbe da chiedersi quanto le azioni degli “agenti” fossero consapevolmente contra legem e quanto, invece, essi supponevano di operare in modo scorretto, non etico, ma sempre all’interno di un perimetro tracciato dalla legge. Ma la legge non è tutto. Forse non si sono domandati se il comportamento tenuto fosse eticamente corretto. Ancora, la medesima devianza dalla logica del bene comune potremmo ritrovarla all’interno delle Pubbliche Amministrazioni che, sebbene non presentino la stessa natura delle imprese private, condividono con queste ultime gli attributi di aziendalità e sono orientate all’erogazione di servizi utili alla collettività. La cronaca di ogni giorno ci dimostra che anche per le PP. AA. il rischio di allontanamento dal fine dell’Ente vada emarginato con la diffusione di una cultura della legalità e del bene comune.

COMMON LAW E SOFT LAW. Qualche autore sottolinea come il confine tra legge ed etica possa essere percepito negli ordinamenti di common law, specie in relazione alle regole di soft law, le quali ultime non prevedono una sanzione in caso di mancata loro osservanza. In simili contesti, il ruolo delle norme è tale da lasciare un più ampio margine di libertà e interpretazione a chi ne è destinatario. Verrebbe da domandarsi quale, tra i due modelli, presenti statisticamente maggiori numeri di trasgressioni alla norma. Il punto è che, sebbene viviamo in una società con un cospicuo numero di leggi, queste non vengono supportate da un buon numero di esempi e da un buon numero di regole etiche che ci spieghino che è disdicevole assumere una data azione. Non c’è più vergogna, potremmo dire.

IL CODICE ETICO. Gli scandali societari che, a partire dal fallimento di Lehman Brothers, hanno portato alla crisi irreversibile di un sistema finanziario costruito su pilastri fittizi, insegnano ai posteri che l’etica è e deve essere una componente fondamentale nella creazione dei nuovi modelli aziendali che volgono lo sguardo al lungo periodo. Per simili ragioni, le aziende si dotano di un codice etico, al fine di rendere edotti tutti gli stakeholders e gli shareholders che la vita d’impresa non dipende soltanto dalle regole scritte, ma che le componenti del tutto chiamato azienda devono interrogarsi, in primo luogo, sulla collaborazione alla costruzione del bene comune, piuttosto che sull’osservanza delle regole cogenti alle quali si accompagna una sanzione. Ebbene, l’etica – ossia lo spazio del non esigibile per norma – andrebbe recuperata dal padre di famiglia che imprime al figlio determinati valori, dal dirigente dell’azienda pubblica, dall’amministratore della multinazionale che riveste rilevanti quote di mercato. Accanto alla stesura e comprensione del codice etico è indispensabile, infatti, la compresenza dell’esempio dei capi, che rappresenta il miglior metodo di formazione e di diffusione di una cultura aziendale nella società contemporanea, così come l’esempio degli eroi omerici “formava” i cittadini della polis greca. I vertici aziendali – come i padri di famiglia – dovrebbero restaurare gli antichi valori etici ed improntare i loro comportamenti sull’onore, la reputazione, la dignità e l’approvazione sociale. L’etica dovrebbe permeare ogni aspetto della vita lavorativa. Della vita in genere.

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