‘NDRANGHETA IN AUSTRALIA: L’INCHIESTA DEL SUNDAY MORNING HERALD
Nel corso degli ultimi anni la ‘ndrangheta calabrese è riuscita ad ampliare la sua sfera d’influenza in Australia, anche corrompendo, sia a livello centrale che periferico. Ad agevolare l’infiltrazione vi sarebbero state della “falle” presenti nella normativa che riguarda il finanziamento dei comitati elettorali che fanno capo ai singoli politici. È quanto emerso da un’indagine realizzata congiuntamente dal programma della Abc TV Four Corners e dal quotidiano Sunday Morning Herald.
L’inchiesta, durata oltre un anno, ha messo in luce inquietanti legami tra la criminalità organizzata e importanti personaggi politici delle due maggiori formazioni del paese, Laburisti e Liberali. Il reporter Nick Mckenzie, autore dell’indagine, ha parlato di mafia Calabrese come “uno dei più potenti gruppi criminali del mondo” che opera in Australia ricorrendo agli stessi mezzi usati nel nostro paese.
La ’ndrangheta “ricorre a minacce e violenza, sia in mercati economici leciti, come la distribuzione di frutta e verdura, sia in mercati economici illeciti, come la droga”, si legge nel report, e “utilizza denaro per ingraziarsi funzionari pubblici, inclusi politici e poliziotti”.
Uno dei casi riportati riguarda un uomo, direttamente legato alla mafia calabrese, che nei primi anni Duemila avrebbe incontrato l’allora primo ministro austrialiano, John Howard, e altre figure di spicco del partito Liberale, nel corso di eventi organizzati per la raccolta fondi. Tuttavia, ha sottolineato Mckenzie, non esistono prove che dimostrino che Howard fosse a conoscenza dell’identità dell’uomo.
Nessun riscontro anche sul fatto che Amanda Vandstone, all’epoca ambasciatrice di Australia in Italia, fosse a conoscenza del fatto che il figlio di un boss mafioso lavorasse presso l’ambasciata australiana a Roma.
Tutto questo accadeva nonostante le autorità italiane avessero condiviso con l’ambasciata australiana le informazioni che avevano sul boss, e sul suo coinvolgimento nel traffico di stupefacienti.
L’esperienza lavorativa del giovane non ebbe conseguenze negative sul piano delle violazioni di sicurezza; tuttavia, si legge nell’inchiesta, l’episodio rimane una grave lacuna da parte del governo australiano.
In un altro caso, una campagna di donazioni e lobbying mirava ad assicurarsi un visto per il boss mafioso, Frank Madafferi, che stava per essere espulso dall’Australia a causa del suo passato criminale in Italia.
Infatti nel 2005, il visto del boss mafioso venne rinnovato da Amanda Vandstone, all’epoca dei fatti Ministro dell’Immigrazione, per ragioni umanitarie. Frank Madafferi, che riuscì a farsi annullare il decreto di espulsione dall’Australia grazie al suo cattivo stato di salute mentale, nel 2007 venne arrestato per il più grande sequestro di ecstasy del mondo (4,4 tonnellate di droga provenienti dalla Calabria) e nel 2009 fu implicato in un assassinio.
Secondo quanto emerso dall’indagine, nel 2004 – appena un anno prima l’approvazione del visto – Tony Madafferi, fratello dell’imputato Frank, avrebbe elargito una cospicua somma di denaro al Partito Liberale, nelle cui fila militava proprio la Vandstone.
Clan criminali che finanziano campagne elettorali, potenti uomini legati alla mafia che incontrano capi di stato, figli di boss che lavorano in ambasciata: il legame perverso mafia-politica, un copione certamente già visto in Italia, ha però una lunga storia in Australia: come ricorda il Sunday Morning Herald, l’ingresso di elementi ‘ndraghetistici in terra australiana, già ebbe luogo nel lontano 1922, quando con il piroscafo Re d’Italia tre affiliati approdarono al porto di Melbourne.
Rossana Feliciani
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