Università ingiusta: la denuncia delle tre diplomate della Normale. Articolo a cura dell’Avv. Daniela Condò*

Nella categoria Analisi e Ricerche da su 17 agosto 2021 0 Commenti

In un Paese in cui si assiste ad una politica mossa solo da interessi faziosi e particolari, senza ideali e visione e responsabilità del bene comune, in un contesto purtroppo aggravato dalla pandemia, dalla sfiducia nel futuro, dalla corruzione culturale, è quanto mai importante ascoltare la voce dei giovani che si impegnano per un reale cambiamento, come il recente (fine luglio scorso) coraggioso intervento di Virginia Magnaghi, Valeria Spacciante e Virginia Grossi, neo diplomate alla Scuola Normale Superiore di Pisa e rappresentanti delle allieve e degli allievi della Classe di Lettere, che hanno denunciato l’inadeguatezza del nostro sistema educativo.

Le studentesse hanno posto l’attenzione su un’università impostata sul profitto, che punta ad una competitività insana, rinuncia a prendere parte al dibattito pubblico ed è squilibrata sulle questioni di genere.

Nonostante l’accademia soffra di una gravissima carenza di risorse, sia per la didattica che per la ricerca, nessuno dei governi che si sono susseguiti negli ultimi anni ha voluto veramente invertire la rotta: gli investimenti sono rimasti bassi e il precariato persiste.

Magnaghi, Spacciante e Grossi, sfidando la solennità del momento, sono andate dritte al cuore del loro messaggio, e cioè la retorica dell’eccellenza e la maschera della meritocrazia. Eppure, la qualità di un sistema universitario non dipende solo dalle sue eccellenze, dalle sue ricerche di punta, ma dal livello medio dei suoi studenti, ricercatori, docenti e personale amministrativo. La valorizzazione delle eccellenze non può avvenire a discapito della diffusione della cultura e della conoscenza, requisito fondamentale di una democrazia. La causa del malessere è il processo di trasformazione dell’università in senso neoliberale, verso il modello di un’università-azienda in cui l’indirizzo della ricerca scientifica segue la logica del profitto, in cui la divisione del lavoro scientifico è orientata a una produzione standardizzata, misurata in termini puramente quantitativi. Un’università in cui lo sfruttamento della forza lavoro si esprime attraverso la precarizzazione sistemica e crescente, in cui le disuguaglianze sono inasprite da un sistema concorrenziale che premia i più forti e punisce i più deboli aumentando i divari sociali e territoriali. Le studentesse definiscono infatti “stridenti” le disuguaglianze e il “divario di genere, divario territoriale nord-sud e tra i poli di eccellenza ultra-finanziati e la gran parte degli atenei”.

Altro punto fondamentale, l’annosa e irrisolta diseguaglianza tra uomini e donne, con conseguente divario di genere che c’è, ancora, negli atenei. In particolare, proprio in quelli che godono di fama e stima anche oltre confine. Su questo Virginia Grossi ha detto di volere che “la Scuola Normale, in quanto istituzione, corpo docente, comunità, prestasse più attenzione alla disparità tra uomini e donne all’accesso all’accademia universitaria. Borse di dottorato e assegni di ricerca sono equamente distribuiti, così non è per le cattedre di seconda fascia, ricoperte da donne nel 39% dei casi e di prima fascia nel 25% dei casi. Si tratta di un divario contro cui non si combatte ancora abbastanza, per questo vi chiediamo di prestare attenzione quando di fronte a voi avete una donna, vi chiediamo di pensarci due volte quando una ricercatrice è incinta, una professoressa è madre o quando un’allieva rimane ferita di fronte a un commento che voi ritenete innocuo”. La denuncia delle tre neodiplomate è un discorso politico, che rappresenta un vissuto e un modo di sentire dei giovani universitari, che non può restare inascoltato. I temi affrontati sono essenziali e meritano centralità nel dibattito pubblico, specie nell’accademia che tende a ripiegarsi in una posizione autoreferenziale, mentre dovrebbe rappresentare il luogo di crescita, di impegno civile, di cambiamento.

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