Perché ribellarsi allo scandalo della Sanità in Sicilia è un dovere di ciascun cittadino. Articolo a cura della Dr.ssa Ambra Camilleri

Nella categoria Analisi e Ricerche da su 24 maggio 2020 0 Commenti

 Nella desolazione di una realtà vergognosa, è doveroso tentare di svolgere un’analisi più approfondita.

La corruzione e il malaffare costano tanti miliardi alle casse dello Stato, perché il soggetto pubblico devia dalle finalità di interesse generale cui è preordinato il suo operato.

È questo il punto.

Con la corruzione non si fa soltanto qualcosa di illecitamente scorretto, ma si sottraggono soldi e risorse alla collettività.

Potremmo dire – usando una frase molto forte – che la corruzione non è solo un delitto contro la pubblica amministrazione, ma anche un delitto contro il patrimonio dello Stato (che, lo so, è un po’ dire la stessa cosa).

Spesso, apprendendo di fatti di corruzione, il comune sentire banalizza con un “così fan tutti“, e la questione si chiude lì.

Invece, in un periodo di pandemia, capire come vengono investiti i soldi nella Sanità siciliana è un dovere – forse prima che un diritto – di ogni cittadino.

Perché quei soldi deviati dalle loro finalità comportano che non si segua la logica della migliore offerta (che, negli appalti, prende il nome di offerta economicamente più vantaggiosa), piuttosto la logica della “migliore mazzetta“.

 Ma stiamo attenti.

Perché quei soldi spesi male, sono i soldi delle apparecchiature con cui vengono diagnosticate patologie, i bisturi con i quali si interviene a cuore aperto e, in questi giochi di potere, è facile immaginare come tutto possa spostarsi verso altri settori, quali le infrastrutture, dove un viadotto può essere fatto bene o male a seconda della qualità del materiale impiegato, per fare un esempio elementare.

Per questo, quanto accaduto in Sicilia ci riguarda da vicino, perché non si tratta solo di decidere se essere eticamente corretti o no, ma si tratta di capire che qui si gioca sulla nostra pelle.

Però, stiamo attenti ad una facile indignazione da tastiera.

Ci si indigna con fatti concreti, rifiutando favori e coltivando il merito.

Ma quale ruolo riveste l’etica in una vicenda del genere?

 L’etica conta, perché è l’inizio e la fine del comportamento umano.

Da quanto emerge dalle intercettazioni rese pubbliche in questi giorni, se il manager anti-tangente avesse compreso pienamente quello che la mia professoressa di filosofia spiegò come “intellettualismo etico socratico” (chi conosce il bene non può che operare bene), le cose sarebbero andate diversamente.

Perché, se hai a cuore la salute pubblica, se conosci quanto bene può fare gestire correttamente la cosa pubblica, nessuna tangente ti fa deviare dall’obiettivo primario, che è l’interesse della collettività.

Allora, per una ripartenza migliore, dovremmo provare meno indignazione da tastiera e iniziare a praticare il bene, nel nostro piccolo, dando il buon esempio.

Capiremmo che, forse, aveva ragione la mia professoressa di filosofia: se conosci il bene, non puoi che operare bene.

Chi opera male, invece, lo fa perché non ha mai davvero sperimentato il bene.

 E non me ne voglia, se dovessi avere citato Socrate in maniera errata.

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