La semplificazione tra legalità ed efficienza. Articolo a cura della Dr.ssa Elena Corona, discente del Master Anticorruzione, IV Edizione Università degli Studi di Roma Tor Vergata
La normativa sugli appalti è il frutto del compromesso tra l’esigenza di tutelare la concorrenzialità e la necessità di garantire la legalità. Ci sono stati momenti in cui, conseguentemente ad alcuni accadimenti storici che hanno comportato l’inasprimento della lotta alla corruzione, si è data preminenza alla tutela della legalità, imbrigliando la normativa in barocchismi burocratici e orpelli; ma ci sono stati anche momenti in cui, sotto la spinta comunitaria, si è cercato di rafforzare la tutela del mercato.
Pertanto, tutta la disciplina appalti è pervasa da questa dicotomia tra efficienza e legalità e dal continuo tentativo di bilanciare questi due interessi tra loro contrapposti. Ma, forse, si tratta di una contrapposizione solo apparente. Il giusto equilibrio potrebbe trovarsi nella semplificazione, guardando al buon funzionamento del sistema.
La semplificazione dovrebbe essere vista come obiettivo e non come strumento. Certamente, si tratta di un obiettivo di lungo periodo, perché semplificare significa dare più fiducia e la fiducia può essere data laddove si riesca a diffondere la cultura della legalità.
La dicotomia tra efficienza e legalità è particolarmente evidente nell’art. 80 del Codice Appalti, recante le cause di esclusione dalla gara. Tale articolo è stato recentemente interessato da due modifiche, quella del D.L. n. 135/2018 (c.d. “Decreto Semplificazioni”, convertito in L. n. 12/2019) e del D.L. n. 32/2019 (c.d. “Sblocca Cantieri”, convertito in L. n. 55/2019).
Il D.L. n. 135/2018 ha riscritto il comma 5 lett. c) dedicato alle ipotesi di grave illecito professionale. Più specificamente, il decreto introduce la possibilità di escludere dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico, qualora la stazione appaltante dimostri, con mezzi adeguati, che esso si sia reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. La norma, nell’attuale impianto, non precisa più quali possano essere le ipotesi di gravi illeciti professionali idonei a mettere in dubbio l’integrità o l’affidabilità dell’operatore, causandone l’esclusione, e questo comporta una maggiore indeterminatezza della categoria del “grave illecito professionale”. Ciò è perfettamente in linea con quanto affermato dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1299 del 2.3.2018, dove ha affermato che “l’elencazione dei gravi illeciti professionali rilevanti contenuta nella lettera c) del comma 5dell’art. 80 del Codice dei contratti (D.Lgs. n. 50/2016) è meramente esemplificativa e non comporta una preclusione automatica della valutazione discrezionale da parte della stazione appaltante”. Di più, le precedenti ipotesi esemplificative (lettere c bis e c ter), essendo diventate distinte fattispecie e pertanto ulteriori ed autonomi motivi di esclusione, non possono più rientrare nei casi di gravi illeciti professionali di cui alla lettera c) del comma 5; inoltre,tra i casi di illecito professionale di cui al comma 5, si segnala la lettera c quater) – inserita con la L. n. 55/2019 – per cui l’operatore economico è escluso se “abbia commesso un grave inadempimento nei confronti di uno o più subappaltatori, riconosciuto o accertato con sentenza passata in giudicato” e ciò vale anche per i subappaltatori a partire dal 1 gennaio 2021.
La prima modifica importante del D.L. 32/2019 riguardava il comma 1 dell’art. 80, laddove aveva eliminato l’esclusione dell’operatore economico in caso di condanna “anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all’art. 105 comma 6”. Con la Legge di conversione n. 55/2019 tale comma è ricomparso ma è sospeso, assieme all’art. 105 comma 6, fino al 31.12.2020.
Il Decreto n. 32/2019 ha altresì introdotto nel comma 2 un’ipotesi esimente dalle cause di esclusione dalle gare ad evidenza pubblica per infiltrazione mafiosa. Sicché, è stato inserito l’inciso “Resta fermo altresì quanto previsto dall’articolo 34-bis, commi 6 e 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159”.
Tale esimente risultava certamente già rilevabile da un’interpretazione sistematica e congiunta della normativa sulla contrattualistica pubblica e con quella dettata in materia di lotta alla criminalità organizzata.
Tuttavia, l’inserimento dell’inciso appare opportuno perché in tal modo si esclude qualsiasi dubbio sulla possibilità di stipulare contratti pubblici da parte di quelle imprese che abbiano proposto l’impugnazione del provvedimento di interdittiva antimafia disposto dal Prefetto, e che abbiano richiesto al tribunale competete per le misure di prevenzione l’applicazione del controllo giudiziario di cui alla lettera b) del comma 2 dello stesso art. 34-bis del D.Lgs. n. 159 del 6.9.2011.
Nell’ipotesi di violazione delle norme che impongono il pagamento di imposte e di tasse, il D.L. n. 32/2019 inseriva una nuova ipotesi escludente, non automatica, ma facoltativa. Infatti, mentre le violazioni gravi definitivamente accertate comportano l’automatica esclusione, la nuova ipotesi prevedeva che “un operatore economico può essere escluso dalla partecipazione a una procedura di appalto se la stazione appaltante è a conoscenza e può adeguatamente dimostrare che lo stesso non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse e dei contributi previdenziali non definitivamente accettati”. In base a tale norma, un concorrente poteva essere escluso discrezionalmente dalla stazione appaltante laddove, pur non essendoci un definitivo accertamento dell’illecito, la stessa poteva dimostrare con qualunque mezzo l’esistenza di un debito con l’erario. Tuttavia, tale disciplina rischiava di avere degli effetti dirompenti in termini di ammissione alle gare, comportando una compressione eccessiva del principio del favor partecipationis e pertanto non è stato riportato nel testo della legge di conversione.
Inoltre, la Legge n. 3 del 9.1.2019 (c.d. “Spazza Corrotti”) ha aumentato le pene accessorie in caso di condanna per reati contro la PA, prevedendo che:
- l’incapacità di contrattare con la PA e l’interdizione dei pubblici uffici siano perpetue in caso di condanna superiore ai due anni di reclusione;
- la riabilitazione non produce effetti sulle pene accessorie perpetue; tuttavia, decorsi almeno sette anni dalla riabilitazione, è prevista l’estinzione della pena accessoria perpetua quando il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta;
- l’incapacità di contrattare con la PA è introdotta anche come misura interdittiva, che si applica all’imputato prima della condanna.
Pertanto, il D.L. n. 32/2019, modificando il comma 10 dell’art. 80 del D.Lgs. n. 50/2016 ha previsto che “se la sentenza penale di condanna definitiva non fissa la durata della pena accessoria della incapacità di contrattare con la Pubblica Amministrazione, la durata dell’esclusione dalla procedura di appalto o concessione è:
- Perpetua, nei casi in cui alla condanna consegue di diritto la pena accessoria perpetua, ai densi dell’articolo 317 bis, primo comma, primo periodo, del codice penale, salvo che la pena sia dichiarata estinta ai sensi dell’articolo 179, settimo comma, del codice penale;
- Pari a setti anni nei casi previsti dall’articolo 317 bis, primo comma, secondo periodo, del codice penale, salvo che sia intervenuta riabilitazione;
- Pari a cinque anni nei casi diversi da quelli di cui alle lettere a) e b), salvo che sia intervenuta riabilitazione.”
Lo “Sblocca Cantieri”, inoltre, seguendo le indicazioni previste dal paragrafo 7, art. 57 della Direttiva 2014/24/UE, ha inserito nell’art.80 il comma 10 bis, nel quale vengono regolate le ipotesi in cui la pena principale sia inferiore a sette o cinque anni. In questi casi è stato previsto che “… se la pena principale ha una durata inferiore, rispettivamente, a sette e cinque anni di reclusione, la durata dell’esclusione è pari alla dura della pena principale”.
Nel comma 10 bis viene disciplinata anche l’ipotesi di preclusione alla partecipazione alle gare non derivanti dalla commissione di un reato, ma dalla commissione di illeciti amministrativi di cui al comma 5 dell’art. 80. In tal modo è stato colmato un vuoto normativo, dal momento che nella disciplina appalti mancava qualsiasi riferimento alla durata delle esclusioni derivanti da ipotesi diverse dalla violazione di norme penalistiche.
Infine, merita di essere menzionato l’ultimo periodo del comma 10 bis, nel quale si specifica che, laddove sia impugnato il provvedimento di esclusione, la stazione appaltante debba tener conto di tale fatto ai fini della propria valutazione circa la sussistenza del presupposto per escludere dalla partecipazione alla procedura l’operatore economico che l’abbia commesso. Tale frase non può che interpretarsi in senso favorevole al concorrente, considerato che il principio di massima partecipazione e del rispetto della concorrenzialità non consentono un’applicazione aprioristica delle misure escludenti.
Appare di tutta evidenza la tensione tra legalità ed efficienza sottesa alla normativa analizzata; tensione che può essere superata solo se si riesce a diffondere la cultura dell’etica. Di qui l’importanza della formazione, che dovrebbe partire sin dai banchi di scuola, perché solo così si può superare la corruzione e favorire la semplificazione e la concorrenza… o meglio la leale concorrenza.