Transparency International e il disallineamento tra percezione e realtà. Articolo a cura della Dr.ssa Nira Viticchiè, discente del Master Anticorruzione, IV Edizione, Università degli Studi di Roma Tor Vergata

Nella categoria Analisi e Ricerche, Articoli Master Anticorruzione da su 3 settembre 2019 0 Commenti

E’ una organizzazione internazionale indipendente che coinvolge più di 100 Paesi.
Nata nel 1993, ha la Mission di combattere la corruzione e per questo “the movement works relentlessly to stir the world’s collective conscience and bring about change” (http://www.transparency.org).
Transparency International, nonostante sia un’organizzazione accreditata in tutto il mondo ed affermata ormai da 25 anni, presenta alcuni aspetti, come l’indice CPI, che sono ancora suscettibili di forti critiche da parte degli esperti.
L’indice CPI (Corruption Perception Index ), pur nascendo da nobili motivi, come ricorda il magistrato e consigliere giuridico Giovanni Tartaglia Polcini, “con il tempo si è piegato nell’uso che ne viene fatto a dare patenti di maggiore o minore efficienza a criteri sistemi Paesi, e il paradosso è che il nostro Paese venga oggi considerato come fanalino di coda, e lo storytelling sia sempre lo stesso”.
L’indice oggi, come confermato anche dal professore Luciano Hinna, non è chiaro nella sua metodologia, che è in buona sostanza eseguito per mezzo di interviste, ma sottace sulla metodologia di tipo procedurale e rileva, invece, solo il risultato di quella metodologia.
L’attenzione e la posizione fortemente critica degli esperti è data in ragione delle grandi conseguenze economiche e macroeconomiche sul Paese, che derivano da questo indice.
Giovanni Tartaglia Polcini nell’affermare l’esistenza in Italia della corruzione e trovandosi, dunque , in accordo con Cantone quando Egli afferma che “ Non bisogna mettere la polvere sotto il tappeto”, sostiene che, sebbene questa “sia presente” e <…> diffusa, nonostante l’attenzione che è stata rivolta dalle Istituzioni, come la Magistratura e la Legislatura negli ultimi venti anni <…>”; tuttavia “ Dipingere, però, il Paese guardando solo al segno meno o al lato negativo, significa in un certo qual modo incidere sulla stessa conoscenza del fenomeno di corruzione, perché se la corruzione non viene misurata adeguatamente e correttamente, a perdere non è solo la reputazione del Paese ma addirittura la tecnica di contrasto alla corruzione stessa” .
Luciano Hinna suggerisce per tale ragione la sostituzione dell’indice di percezione con l’indicatore di stima, mentre Giovanni Tartaglia Polcini afferma la necessità di aggiungere all’indice di percezione anche indici di carattere oggettivo, come ad es. gli indici ordinamentali.
Non è infatti un caso, fa notare quest’ ultimo, che nell’Agenda 2020-30 delle Nazioni Unite, gli obiettivi del 16.4 e 16.5 facciano riferimento alla necessità di misure di corruzione affidabili, richiesto da altri diplomatici e funzionari esperti resisi conto della discordanza tra l’approccio di tipo percettivo (CPI) e la effettiva portata del fenomeno corruttivo sul territorio.
Questo disallineamento tra la realtà e il dato percettivo spicca ed appare lampante con l’utilizzo dell’eurobarometro, strumento utilizzato dall’OCSE ( Organization for Economic Co-operation and Development) che si basa su sondaggi per mezzo di interviste su soggetti casuali, e dunque non “rilevanti” come nella CPI , cui vengono poste due domande, una attinente alla percezione che l’intervistato ha di fatti corruttivi nell’ambiente socio-economico che lo circonda, la seconda riguardante, invece, il coinvolgimento dell’interessato, senza il ricorso, dunque, ad una percezione aliunde, ma ad una testimonianza diretta e immediata a livello sensoriale.
Al secondo quesito, sorprendentemente, solo il 4% degli intervistati ha risposto affermativamente, a fronte del 40 % dei soggetti che hanno avuto un feed-back al solo livello percettivo.
Ecco dunque spiegato il 53simo posto dell’Italia nell’indice della CPI di Transaparency International, che ha evidentemente giudicato il nostro Paese su quel 40% di percezione contro il 4% del dato reale di corruzione sul territorio.
In merito, Giovanni Tartaglia Polcini riconduce quel 40% della percezione al paradosso di Trocadero, secondo cui “più combatti la corruzione, più la rendi percepibile” … e visibile per così dire; e alle conseguenze di uno “<..> storytelling negativo, che crea uno iato enorme tra la realtà del Paese e la rappresentazione del Paese, <…> non solo a livello internazionale”, <…> ma “anche a livello nazionale <…> e quello che <...> ne risente è l’immagine del Paese”.
Questo risultato discende, come la dottoressa Berardi evidenzia, dal “forte senso autocritico del Paese, la cui percezione interna, fa sì che <…>abbia ripercussioni negative anche all’esterno”.
In conclusione, a mio giudizio, la lotta alla corruzione all’interno del nostro Paese, dovrebbe significare anche la valorizzazione del Paese stesso, ponendo, l’accento non solo sull’effettivo contrasto che viene svolto, ma dovrebbe anche pubblicizzare le iniziative antitetiche alla corruzione che nascono spontaneamente, come ad es. l’istituzione ed attivazione di Master universitari che si propongono di formare professionisti esperti di anticorruzione; l’adozione sempre maggiore, da parte delle aziende, di codici etici indirizzati all’eco-sostenibilità; la richiesta crescente di soft skills, quale condicio per l’assunzione e così via.
Pubblicizzare, pertanto, il Bene Comune del Paese, anziché mettere sotto la lente di ingrandimento sempre e solo i mali comuni del Paese, contribuirebbe a migliorare l’immagine del Paese, rendendo più coerenti anche i dati reali con quelli percettivi.

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