WHISTLEBLOWING. SOFFIATE ANTICORRUZIONE TUTELATE.

 

WhistleblowingI dipendenti pubblici, ma anche quelli del settore privato, potranno denunciare senza timore di subire ritorsioni.

Il whistleblowing, ossia la tutela dell’autore di «soffiate», istituto di origine anglosassone finora poco attuato nel nostro ordinamento, diventa legge, raccogliendo in terza lettura alla Camera dei deputati un’ampia maggioranza: 357 voti favorevoli (i no sono stati 46 e gli astenuti 15), frutto della convergenza del Pd sulla proposta di legge del M5s (prima firmataria Francesca Businarolo).

Una paternità rivendicata con orgoglio – racconta Francesco Cerisano su ItaliaOggi del 16 novembre 2017 alla pagina 32 – dal Movimento di Beppe Grillo. «Dopo quattro anni di lavoro, finalmente è stata approvata in via definitiva una legge necessaria che mancava in Italia e di cui si è fatto carico il Movimento 5 stelle», si legge in una nota. «Dopo aver studiato la versione della legge nata negli Stati Uniti ed essersi confrontati con gli esperti, ma anche i lavoratori, soprattutto con chi ha fatto segnalazioni pagando le conseguenze in prima persona, abbiamo deciso di depositare una legge per l’Italia, e convincere tutte le forze politiche della sua importanza per combattere la corruzione nel paese. E un altro tassello che concorre a diffondere la cultura della legalità». Il provvedimento, nato per tutelare in primis i dipendenti pubblici autori di soffiate in funzione anticorruzione, offre le stesse garanzie anche ai lavoratori del settore privato. Tutele simili, ma inserite in cornici normative diverse, visto che per gli statali le nuove norme vanno a integrare il Testo unico sul pubblico impiego, mentre per i dipendenti privati si modifica la legge 231/2001.

II dipendente pubblico che, nell’interesse dell’integrità della p.a., segnali condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro, non potrà essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto a misure organizzative aventi ripercussioni negative, dirette o indirette, sulle sue condizioni di lavoro. Le segnalazioni degli illeciti potranno essere effettuate in tre modi: al responsabile della prevenzione della corruzione, all’ANAC, sotto forma di denuncia all’autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile. Se la PA ha posto in essere misure ritorsive, sarà il diretto interessato a doverlo comunicare all’ANAC per proprio conto o per il tramite delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell’amministrazione.

Rispetto alla prima versione della proposta di legge, approvata alla Camera il 21 gennaio 2016, nel passaggio al Senato è stato eliminato il riferimento alla «buona fede» del dipendente pubblico, che dunque non è più decisiva per far scattare lo scudo a favore del lavoratore.

Oltre alla protezione contro le ritorsioni, l’autore delle segnalazioni sarà coperto anche con l’anonimato, nel senso che, se l’identità del segnalante non è nota, non potrà essere rivelata, sia nelle aule giudiziarie sia nell’eventuale procedimento disciplinare a carico del dipendente.

Qualora l’ANAC accerti che sono state messe in atto misure discriminatorie contro il dipendente, la stessa Autorità anticorruzione applicherà al responsabile una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 30.000 euro. Sanzioni più salate (multa da 10.000 a 50.000 euro) sono previste per i casi in cui si accerti che il responsabile delle attività di verifica e analisi delle segnalazioni non ha svolto il suo compito. Sarà l’ANAC a determinare l’entità della sanzione, tenendo conto delle dimensioni dell’ente.

Altro importante principio fissato dalla legge è rappresentato dall’inversione dell’onere della prova. Sarà la PA a dover dimostrare che le misure discriminatorie o ritorsive, adottate nei confronti del whistleblower, sono motivate da ragioni estranee alla segnalazione.

Si prevede, inoltre, la reintegra nel posto del lavoro del segnalante che sia licenziato per ragioni legate alla segnalazione.

Lo scudo previsto dalla legge non si applicherà nel caso in cui l’autore della soffiata venga condannato, anche solo in primo grado, per reati di calunnia o diffamazione legati alla denuncia o qualora ne venga accertata la responsabilità civile per dolo o colpa grave.

Per le segnalazioni dei dipendenti privati, invece, la legge richiede requisiti più stringenti. Le soffiate dovranno essere «circostanziate» e dovranno fondarsi su elementi di fatto «precisi e concordanti». Anche nel settore privato saranno vietati gli atti di ritorsione, diretti o indiretti, per motivi legati alla segnalazione. Sono previste sanzioni disciplinari per chi viola l’obbligo di tutela del segnalante, ma anche per chi effettua con dolo o colpa grave segnalazioni che si rivelano infondate. La denuncia degli atti discriminatori dovrà essere recapitata all’Ispettorato nazionale del lavoro. Così come nel settore pubblico anche nel privato sarà il datore di lavoro a dover provare l’assenza di legami tra le misure ritorsive e la segnalazione.

Ai lettori del Sito, come nei precedenti articoli, lasciamo, come sempre, o, almeno, tentiamo di farlo, una fotografia completa, con i soli virgolettati.

Su argomenti come questo, di estrema delicatezza, è normale vi siano posizioni differenziate, a volte anche in modo significativo.

Come sempre, sarà l’applicazione pratica delle scelte e delle decisioni, soprattutto di quelle controverse, a dire chi aveva ragione.

Ci auguriamo di essere stati utili.

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Commenti (1)

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  1. avatar Giovanni scrive:

    la tutela del dipendente pubblico che segnala irregolarita’ ed illeciti con dispositivo di legge e’ necessaria essendo il rapporto di impiego pubblico regolato dagli art. 54 e 98 della Costituzione e dal Codice di comportamento.
    Il Codice di comportamento e’ registrato alla Corte dei conti ed assume la connotazione di obbligo di servizio nell’esercizio della funzione pubblica.

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