BUROCRAZIA. GRANDI OPERE FERME: PERCHE? ABBIAMO PERSO L’ABITUDINE A PROGETTARE E LA FUGA DEI COMMISSARI

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A volte, poi, lo stop arriva ancora prima del bando.

E’ il caso del piano nazionale contro il dissesto idrogeologico. Un finanziamento di quasi 10 miliardi spalmato su otto anni, un totale di 9.397 opere previste. Quelle già progettate, però, si fermano appena all’8%. «Abbiamo un ritardo clamoroso, che non ci fa dormire la notte», ha ammesso Erasmo D’Angelis, coordinatore della struttura costituita da Palazzo Chigi. Il punto è che i cassetti dei Comuni, ma anche dei provveditorati alle opere pubbliche e delle società di ingegneria, sono vuoti. Dopo anni di crollo degli investimenti – come evidenzia Lorenzo Salvia, su L’Economia-Corriere della Sera, del 25 settembre 2017, alle pagine 1 e 4 – abbiamo quasi perso l’abitudine a progettare.

Infine, ultimo ma non ultimo: è sempre più difficile trovare persone disposte a far parte delle commissioni che assegnano i lavori.

Al ministero della Infrastrutture sono arrivate segnalazioni da tutta Italia. Ma il caso più clamoroso è quello del Comune di Roma, dove il direttore generale Franco Giampaoletti ha sottolineato la «frequente rinuncia alla nomina, adducendo motivazioni che spesso sconfinano nell’arbitrario». Il risultato è ancora una volta il blocco di opere che potrebbero partire, perché i soldi ci sono e i bandi pure. Nella Capitale sono ancora fermi alcuni lavori legati al Giubileo, che nel frattempo è ampiamente finito, o la riqualificazione di Piazza Vittorio. Perché questa fuga? Chi viene nominato non ha diritto a un euro in più perché i vecchi gettoni sono stati aboliti. Ma, soprattutto, ha paura di finire coinvolto in qualche inchiesta, con effetti negativi per la carriera. Meglio rimanere allineati e coperti. Qui il codice degli appalti c’entra. Non come causa della fuga dei commissari, ma come possibile rimedio. La riforma stabilisce che i commissari debbano essere scelti non tra i funzionari della stazione appaltante, ma all’interno di un apposito albo curato dall’Autorità anti corruzione. Il decreto attuativo, però, non è ancora arrivato al traguardo. Sarebbe anche ora.

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