Turbativa d’asta ed abuso d’ufficio a Terni
A cura del Dott. Antonio Ricci e della Dott.ssa Marina Terenzani
È di questi giorni la notizia dell’arresto del Sindaco di Terni e di un suo assessore. L’ordinanza di custodia cautelare emessa dai pubblici ministeri della Procura di Terni fa riferimento a numerosi episodi, tecnicamente definiti turbativa d’asta e abuso d’ufficio, che vede come protagonisti i due esponenti politici.
Ma di cosa sono accusati in concreto? Secondo quello che è dato sapere gli imputati avevano messo in piedi un sistema in base al quale gli appalti comunali venivano di fatto assegnati sempre o quasi sempre agli stessi soggetti (alcune cooperative). Le modalità attraverso le quali ciò avveniva erano sostanzialmente volte a eludere l’obbligo di porre in essere la gara a evidenza pubblica. Un sistema era l’artificioso frazionamento degli appalti in modo da restare sotto la soglia prevista e poter ricorre a procedure semplificate (in pratica a scegliere autonomamente il contraente); un altro consisteva nel concordare i bandi di gara con le cooperative interessate elaborando bandi e capitolati a misura dei concorrenti che avrebbero dovuto vincere la gara.
Senza entrare nel merito dell’impianto probatorio costruito dalla Procura di Terni per avallare l’accusa, ci interessa in questa sede analizzare i motivi che hanno indotto i P.M. a non contestare l’accusa di corruzione. La risposta più immediata è l’assenza di prove in ordine a una eventuale dazione di denaro o di altra utilità e forse questa è la verità. È però evidente che comportamenti come quelli descritti, posti in essere da pubblici ufficiali, (sempre ovviamente che risultino provati al termine del processo) non possono non essere determinati da uno specifico interesse (l’art. 318 del codice penale parla di danaro o altra utilità).
La domanda che ci si pone è la seguente: è sufficiente che questa utilità sia l’obiettivo di promuovere la propria immagine politica presso i soci delle cooperative beneficate dai comportamenti illegittimi o è necessario qualcos’altro?
Specie in quest’ultimo caso, pur non sussistendo dubbi sulle motivazioni che hanno spinto i due esponenti politici ai comportamenti illegittimi e che, quindi, essi avessero un preciso interesse in quelle operazioni, giuridicamente è problematico parlare di corruzione anche se il senso comune ci indurrebbe a sostenere la sussistenza del reato.
La finalità di promuovere la propria immagine politica è qualcosa di troppo generico per poter sostenere l’accusa di corruzione anche quando fosse provata attraverso intercettazioni o altri sistemi. In effetti il codice con il termine utilità sembra riferirsi ad altre casistiche (un regalo prezioso, un viaggio, l’assunzione di un parente o di un amico, ecc.) il semplice desiderio di apparire un buon amministratore locale (che significa al momento giusto avere i voti) non è sufficiente e quei comportamenti integrano altre ipotesi di reato.
Pur potendo configurare l’episodio descritto come una situazione di “conflitto di interessi reale”, inteso come la situazione in cui l’interesse secondario di una persona tende a interferire con l’interesse primario dell’azienda, è mancata la prova di un eventuale dazione di denaro o di altra utilità per poter sostenere, dal punto di vista penale, un’accusa di corruzione a carico dei due politici.
Insomma, ci troviamo di fronte a quello che in letteratura viene definito comportamento opportunistico, dove l’interesse secondario prevale sull’interesse primario dando luogo ad una situazione in cui, a prescindere dalla rilevanza penale, emerge una mala gestio o maladministration causata dall’uso a fini privati delle funzioni attribuite.
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