LA TRASPARENZA E LA TENSIONE VERSO I NUOVI DIRITTI DI DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA

Nella categoria Eventi da su 4 luglio 2017 0 Commenti

A cura di Roberta Scialla 

Quello di trasparenza è certamente un concetto poliedrico e dai contenuti sfumati, una sorta di “parola magica”, sempre di moda e, in fin dei conti, adatta ad ogni uso. Come sottolineava infatti già il primo Mediatore europeo, Jakob Söderman, nel suo importante rapporto FIDE del 1998, “Everyone is in favour of ‘transparency’, but too much popularity risks depriving the term of a precise meaning”.

Così come avvenuto in ambito internazionale, nel panorama italiano il tema della trasparenza si è progressivamente esteso in maniera trasversale, cosicché, nella dilatazione del proprio perimetro d’incidenza, ha imposto un obbligo assai ampio (ancorché non generalizzato) alle amministrazioni, di rendere pubblici dati ed informazioni, cui corrisponde un vero e proprio diritto in capo a qualunque cittadino di pretenderne la pubblicazione.

Invero, la trasparenza, unitamente alla garanzia di un corretto flusso informativo che dall’interno si sviluppa all’esterno delle amministrazioni, in favore dei cittadini, deve essere considerata lo strumento principe per assicurare la democrazia e per garantire il corretto funzionamento dell’amministrazione.

Nella declinazione che più ci interessa, la trasparenza rappresenta il principale strumento di lotta alla corruzione e all’illegalità, sul presupposto che proprio nell’opacità legislativa, nell’asimmetria informativa e nell’elevato livello di burocratizzazione si annidi il rischio di comportamenti di maladministration.

La strategia volta a contrastare in modo sistematico e non settoriale il fenomeno della corruzione nelle amministrazioni è delineata dalla Legge n. 190/2012 (emanata in attuazione dell’art. 6 della Convenzione ONU contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale il 31 Ottobre 2003 e ratificata dalla L. 116/2009 e degli artt. 20 e 21 della Convenzione penale sulla corruzione, siglata a Strasburgo il 27 Gennaio 1999 e ratificata dalla L. 110/2012): la disciplina in esame reca disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione ed è caratterizzata dalla combinazione di misure molto diverse tra loro, organizzate in un’architettura normativa ed organizzativa particolarmente complessa.

La premessa da cui è partito il legislatore per contrastare il fenomeno della maladministration – intesa nella sua accezione più ampia rispetto a quella penalistica e che abbraccia tutti i casi in cui, abusando di una specifica posizione, si intende ottenere un indebito vantaggio – è che la corruzione dilaga dove non c’è trasparenza ed etica nei comportamenti di dipendenti e dirigenti. Di conseguenza, una politica di contrasto alla corruzione non può prescindere da una serie di misure che incrementino questi due “valori”. In particolare, si immagina una forma di controllo esercitato dal basso dai cittadini, che possano vedere cosa fa e come è strutturata l’amministrazione.

In tal senso, la trasparenza dovrebbe consentire un controllo diffuso da parte della cittadinanza e trasformare la corruzione in un costo, anche sociale, non accettabile.

In quest’ottica, la L. 190/2012 – che, allo scopo di garantire un’applicazione generalizzata della disciplina, afferma, all’art. 1, c. 15, che la trasparenza costituisce livello essenziale delle prestazioni sociali e civili ai sensi dell’art. 117, c. 2, lett. m), Cost. – impone la pubblicazione, nei siti web istituzionali delle pubbliche amministrazioni, delle informazioni relative ai procedimenti amministrativi, secondo criteri di facile accessibilità, completezza e semplicità di consultazione, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, segreto d’ufficio e protezione dati personali.

La trasparenza riguarda anche altre scelte gestionali ed organizzative, ancorché non legate ai procedimenti. Nei siti web istituzionali delle amministrazioni pubbliche, infatti, sono pubblicati i relativi bilanci e conti consuntivi. Come pure, particolare attenzione è riservata alla trasparenza nei settori delle autorizzazioni o concessioni, della scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, della concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché attribuzione di vantaggi economici di qualsiasi genere a persone ed enti pubblici e privati, dei concorsi e delle prove selettive per l’assunzione del personale e progressioni di carriera.

In questo contesto, si inserisce il Decreto Legislativo n. 33/2013, attuativo della delega conferita al Governo dalla L. 190/2012, che sviluppa siffatto impianto normativo, disponendo in primo luogo che la trasparenza è intesa quale “accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”.

Nella versione originaria del decreto le pubbliche amministrazioni sono peraltro tenute ad adempiere agli obblighi sulla trasparenza previsti dal decreto (e riguardanti tutta la loro attività) attraverso l’uso dello strumento principe del “sito istituzionale” di ogni singola amministrazione, sul quale ogni utente dovrebbe poter ricercare tutte le informazioni inerenti all’attività e all’organizzazione degli enti, senza la necessità di autenticarsi o essere in qualche modo identificato.

L’idea di fondo è di garantire così un controllo diffuso dei cittadini sull’attività amministrativa con l’obiettivo, non solo di consentire ai cittadini di verificare quel che fa l’amministrazione — il c.d. “cosa” dell’agire amministrativo — ma di vegliare anche sul “come” di questo agire amministrativo: sul presupposto che si tratta di amministrare denaro pubblico e che è necessario scongiurare fenomeni corruttivi.

Il soggetto chiave, istituito ex novo dal decreto 33/2013 e preposto all’attività di controllo degli adempimenti prescritti per le amministrazioni pubbliche, è il responsabile della trasparenza.

Gli obblighi di pubblicazione previsti sono corredati anche da un consistente apparato sanzionatorio. Il capo VI del D.Lgs. 33/2013, dedicato alla vigilanza sull’attuazione delle disposizioni e alle sanzioni, prevede sanzioni dirette sia al responsabile della trasparenza, sia ai dirigenti e agli organi politici che devono fornire i dati per realizzare la pubblicazione.

Oltre alle sanzioni a carico dei soggetti, sono previste anche sanzioni sull’atto, che bloccano l’efficacia del provvedimento.

Una sanzione del tutto peculiare, consiste poi nel c.d. accesso civico, previsto dall’art. 5 dell’originario D. Lgs. 33/2013. Nella sua versione iniziale, infatti, l’accesso civico era identificato semplicemente così: “L’obbligo previsto dalla normativa vigente in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione”.

In ultimo, nel quadro della più ampia riforma della Pubblica amministrazione avviata con l’adozione della c.d. Legge Madia (L. 7 Agosto 2015, n. 124, Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), è stato emanato il primo decreto legislativo attuativo della riforma medesima. Si tratta del D. Lgs. 97/2016, con cui il Governo ha provveduto a modificare in modo sostanziale il D. Lgs. 33/2013.

Con il nuovo Decreto si ridefiniscono, del tutto opportunamente, le modalità di attuazione di quel principio di trasparenza elevato con il D.Lgs. 33/2013 a “finalità di rilevante interesse pubblico”.

Per fare questo viene modificato, anzitutto, l’oggetto stesso della disciplina: che, mentre secondo la versione precedente del decreto erano gli “obblighi di trasparenza concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni”, ora — in base al nuovo art. 2 c. 1 — è “la libertà di accesso di chiunque ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni e dagli altri soggetti di cui all’articolo 2-bis, garantita, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati giuridicamente rilevanti, tramite l’accesso civico e tramite la pubblicazione di documenti, informazioni e dati concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni e le modalità per la loro realizzazione”.

Si tratta di una modifica assai rilevante, perché mette chiaramente in evidenza come lo scopo della normativa in materia di trasparenza non sia (più), in primis, quello di ottenere la pubblicazione di documenti in possesso della pubblica amministrazione; lo scopo è, invece, quello di garantire la libertà di accesso a dati e documenti in possesso della pubblica amministrazione: “tramite l’accesso civico” in primis, e, solo in subordine, “tramite la pubblicazione di documenti, informazioni e dati”.

Cambia, di conseguenza, la natura stessa dell’accesso civico che, da mera sanzione rispetto alla violazione dell’obbligo (primario) di pubblicare documenti, informazioni o dati, diventa un autonomo diritto (diritto di accesso civico) e lo strumento principe per la realizzazione del principio di trasparenza. Recita infatti il nuovo c. 2 dell’art. 5 che “Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall’articolo 5-bis”.

Siffatto ampliamento dell’accesso civico va accolto con grande favore. La scelta compiuta in precedenza dal legislatore delegato, in favore di una trasparenza intesa essenzialmente come obblighi di pubblicazione imposti in capo alle Pubbliche Amministrazioni, non si palesava come una scelta felice e offriva il destro alla facile obiezione che, in Italia, se la privacy serve a tener nascoste le cose che interessano a tutti, la trasparenza serve invece, di converso, per far conoscere a tutti le cose che non interessano nessuno.

Infine, appare opportuna anche la specificazione contenuta nella rubrica del novellato art. 5: secondo cui l’ampliato accesso civico si riferisce non già alle “informazioni”, bensì ai “dati e documenti” in possesso delle pubbliche amministrazioni.

In estrema sintesi, il sistema a doppio binario che è venuto sviluppandosi in materia di trasparenza, per un verso, impone alle amministrazioni la pubblicazione di una serie di informazioni e atti; per altro verso, in via complementare, una forma di accesso civico che viene riconosciuta a qualunque cittadino, gratuitamente, senza necessità di motivazione e con riferimento ai dati ed ai documenti non oggetto di pubblicazione.

È del tutto evidente, però, che per quanto possa ritenersi esteso, il diritto di accesso deve necessariamente dipanarsi entro determinati limiti e, in particolare, nel rispetto di interessi costituzionalmente protetti quali la sicurezza e l’ordine pubblico, la sicurezza nazionale, la difesa, le relazioni internazionali, la conduzione di indagini su reati, la protezione di dati personali, la libertà e la segretezza della corrispondenza, gli interessi economici e commerciali, il segreto di stato.

Queste ampie limitazioni, che ogni Amministrazione potrà opporre al libero dispiegarsi dell’accesso civico, sono in parte mitigate da quanto prescritto nei successivi cc. 4 e 5 dell’art. 5-bis. Il c. 4, infatti, consente di escludere l’accesso solo rispetto ad alcune parti del documento (c.d. accesso parziale), ove questo appaia sufficiente a garantire la tutela degli interessi che vi si oppongono; il c. 5 si riferisce, invece, all’ipotesi del differimento dell’accesso, in luogo del suo diniego tout court.

La ricca lista di potenziali eccezioni all’accesso civico pone evidentemente un problema: sebbene le limitazioni in questione si palesino in larga misura necessarie ed opportune, queste sono in effetti molto ampie e, soprattutto, troppo poco puntuali.

Allo scopo di orientare le pubbliche amministrazioni nell’attività di bilanciamento in concreto tra diritto alla conoscenza del dato e diritto alla riservatezza di interessi pubblici e privati ritenuti meritevoli di particolare apprezzamento, la legge ha conferito all’Anac, tra l’altro, un apposito potere di soft regulation. Difatti, il c. 6 del citato art. 5-bis prevede che “ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico (…) l’Autorità Nazionale anticorruzione d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali (…) adotta linee guida recanti indicazioni operative”.

Tale potere, in verità, si aggiunge a tutta una serie di compiti ulteriori di regolazione, di indirizzo, di controllo, a scopo sia preventivo che sanzionatorio che sono stati nel tempo attribuiti all’Anac quale organo dotato di specifiche competenze tecniche in materia di contrasto alla corruzione.

Difatti, ruolo di fondamentale rilievo, in materia di trasparenza, è svolto dall’Autorità Nazionale Anticorruzione che vigila sul comportamento delle pubbliche amministrazioni, mediante l’attuazione coordinata delle strategie di prevenzione e di contrasto della corruzione e dell’illegalità elaborate a livello nazionale ed internazionale.

Nell’ottica generale di deferire poteri normativi a soggetti “non politici” muniti di peculiari competenze tecnico-specialistiche, la legge affida all’ANAC il compito di adeguare costantemente il contenuto delle regole all’evoluzione del settore con la conseguenza inevitabile dell’erosione degli spazi riservati alla legge.

In altri termini, lo “stress” cui è sottoposto il principio di legalità in senso sostanziale deriva dalla consapevole “fuga” del legislatore da materie che non riesce a dominare e rispetto alle quali deve fare ricorso ad Authority create proprio allo scopo di presidiare fini e valori fondamentali espressi direttamente dalla Costituzione.

La fonte legislativa, in tal modo, retrocede per attribuire funzioni regolatorie e di vigilanza per il soddisfacimento di scopi stabiliti in norme costituzionali, creando, così, inediti spazi dove poter edificare momenti di un rinnovato ancoraggio al principio di partecipazione democratica.

Ciò che emerge con evidenza è che la teoria classica della rappresentanza, nelle moderne democrazie, mostra i segni del tempo, esigendo la sperimentazione di inedite dimensioni di democrazia diretta, attraverso un confronto paritario e trasparente che conferisca nuova luce ai processi decisionali.

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