Panama Papers
E’ sulla bocca di tutti. E non se ne parla solo con i colleghi di lavoro o tra le alte sfere della politica. Due signore poco fa ne parlavano mentre erano in fila alle Poste. E ieri ha detto la sua persino mia nonna: “Hanno fatto la scoperta dell’acqua calda. Queste cose si fanno da sempre,si sa.. tutto viene a galla prima o poi”
Di cosa stiamo parlando? Dei Panama Papers ovviamente. Se volete informarvi su come tutto sia iniziato potete andare a leggere l’articolo de Il Post.
Le notizie le abbiamo sentite. Ma siamo sicuri di aver capito di cosa si tratta?
Stiamo parlando di milioni di file segreti che hanno rivelato una serie di conti esteri segreti in diversi paradisi fiscali – in primis Panama, da cui il nome dell’inchiesta – collegati a più di 200mila società offshore, includendo le identità degli azionisti e dei manager tra cui capi stato, politici, imprenditori e vip. Per conoscere i nomi degli italiani coinvolti può essere consultata, ad esempio, pubblicata da l’Espresso:
Ma ora procediamo un passo alla volta.
Da dove vengono i papers?
I leaks vengono da Mossack Fonseca, uno studio legale di base a Panama che lavora per migliaia di aziende, tra i cui servizi si annovera l’amministrazione di società offshore dietro pagamento di una tassa annuale. Per maggiori informazioni su Mossack Fonseca si veda qui.
Chi li ha resi pubblici?
I papers sono stati pubblicati da un team di giornalisti di inchiesta che hanno dato vita ad una collaborazione giornalistica internazionale senza precedenti. Per più di un anno circa 300 giornalisti, di testate normalmente rivali, hanno unito le forze scambiandosi informazioni e portando avanti l’analisi dei documenti, volti ad unico obiettivo: ottenere il maggior impatto mediatico possibile.
Ma cosa si voleva ottenere realmente con la pubblicazione di questi papers, dato che di per sé non è reato aprire un conto corrente all’estero e trasferirvi denaro?
Rientrare in questa lista non significa nulla, dal momento che possedere una società offshore è perfettamente legale. Illegale, semmai, può essere l’origine dei soldi e dei beni custoditi nelle società – e quindi il loro uso successivo – ma questo i Panama Papers non ce lo dicono. (Luca Veronese – Il Sole 24 Ore)
La linea di confine tra lecito ed illecito, già troppo spesso troppo sottile, sembra quindi assottigliarsi ancora di più. Ci dà un mano Christine Lagarde (direttore operativo FMI) a non fare confusione distinguendo «elusione fiscale» ed «evasione fiscale»:
La prima è una forma legittima di «ottimizzazione»: le aziende e i privati cercano di pagare meno tasse possibile navigando tra i sistemi di imposizione di mezzo mondo. Gli altri sono «i criminali»: gli evasori, i riciclatori di denaro, i tesorieri dei trafficanti di droga. Il problema, come dimostrano i «Panama Papers» è che sia gli uni che gli altri usano lo stesso circuito, sono clienti degli stessi avvocati, delle stesse banche, e probabilmente degli stessi consulenti fiscali.
Quello che si voleva realmente mettere in luce con quest’inchiesta non erano semplicemente i nomi, più o meno conosciuti, delle persone coinvolte nei papers, quanto piuttosto la mancanza di efficaci controlli sui flussi finanziari internazionali verso Panama e gli altri paradisi fiscali e sull’origine di tali flussi. Infatti, numerosi fondi sono stati collegati a traffici d’armi, di droga e ad altri traffici illegali.
“Le accuse secondo cui forniamo strutture presumibilmente progettate per nascondere l’identità dei proprietari reali sono completamente false e non supportate”, afferma Mossack Fonseca, che spiega: “Se notiamo attività sospette o condotte poco chiare, siamo rapidi nel denunciarle alle autorità. Nello stesso modo, quando le autorità ci mostrano prove di possibili illeciti, noi cooperiamo pienamente”.
Il Fondo Monetario Internazionale ha le idee chiare al riguardo: dopo lo scandalo dei Panama Papers c’è la necessità di nuove regole comuni e prevede il lancio di una nuova piattaforma sulla tassazione che metterà insieme Onu, Banca Mondiale, Ocse e Fmi intorno ad uno stesso tavolo.
C’è chi invece la pensa diversamente e rilancia:
«C’è un sistema di complicità indirette — osserva l’economista Joseph Stiglitz — e la soluzione sarebbe quella di chiudere semplicemente i paradisi fiscali»
E voi, cosa ne pensate?
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