Lobbying e conflitto di interessi: il caso Mediaset

Nella categoria Italia, Lobbying da su 26 febbraio 2016 0 Commenti

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Molto spesso i politici durante l’iter di approvazione di una legge subiscono pressioni da parte di gruppi di interesse. E’ questo il cosiddetto fenomeno di lobbying diretta: gruppi di persone che sono in grado di influenzare la classe dirigente, tramite diversi mezzi, per ottenere favoritismi. In alcuni casi queste pressioni, per esempio laddove non sono trasparenti, generano veri e propri casi di conflitto di interessi. Nello studio “Market-based Lobbying: Evidence from Advertising Spending in Italy” pubblicato nel 2014 dal National Bureau of Economic Research degli Stati Uniti viene affrontata una diversa tipologia di lobbying detta indiretta: le imprese cercano di influenzare businessmen politici attraverso proxy commerciali (figura 1). In particolare, è stato riscontrato che nel caso in cui un politico controlli una particolare attività commerciale, allora molti gruppi aziendali spostano la propria spesa verso quell’attività nella speranza di assicurarsi una regolamentazione favorevole.

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Lo studio sopracitato analizza l’influenza della lobbying indiretta al caso Italia, certamente peculiare giacché è permesso ai funzionari governativi che ricoprono cariche politiche di rilievo di mantenere le proprie partecipazioni aziendali.
Durante le varie legislature che si sono susseguite in Italia si è cercato di mettere in atto proposte di legge volte a risolvere il problema del conflitto di interessi: la legge 20 luglio 2004 n. 215 (tutt’ora in vigore) prevede l’incompatibilità nell’assumere incarichi differenti da quelli di governo, o nell’adottare atti od omissioni da cui deriverebbe “un’incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio” ma non l’ineleggibilità del soggetto sottoposto ad un potenziale conflitto di interessi. Quest’ultimo aspetto è, altresì, definito come conflitto d’interessi solo quando da un atto od omissione deriverebbe un “danno per l’interesse pubblico“.

Un secondo punto di particolare problematicità risiederebbe nel fatto “che la legge 215 non ricomprende la “mera proprietà” di un’impresa né tra le ipotesi di incompatibilità né tra le ipotesi di conflitto di interessi“. Nella legge in vigore non si pone, cioè, nessuna risoluzione per il problema alla radice, ma solo un’inutile risoluzione ex post. Nella XVII legislatura (quella odierna), in risposta ad un’interrogazione parlamentare è stato affermato che “la Camera dei deputati sta esaminando una riforma complessiva della disciplina vigente in materia di incompatibilità e di conflitti di interesse, già contenuta nella legge n. 215 del 2004. In particolare, è stato predisposto un testo unificato […] che innova la vigente disciplina, prospettando una regolamentazione anche preventiva del conflitto di interessi e modificando la disciplina delle ineleggibilità dei parlamentari e dei consiglieri regionali“.

Nello studio pubblicato dal National Bureau of Economic Research viene considerato il caso dell’ex primo ministro Silvio Berlusconi, tramite l’analisi dei dati pubblicitari dal 1993 al 2009, un periodo nel quale è stato primo ministro per tre volte, mantenendo il controllo della più grande rete televisiva privata in Italia. La profittabilità dei tre canali Mediaset dipende dagli introiti pubblicitari e dallo studio dei dati è stato rilevato che gli investimenti pubblicitari venivano direzionati verso la rete televisiva esercitando in tal modo un’attività d’influenza nel processo legislativo. L’acquisto di pubblicità sulle reti Mediaset da parte di gruppi nei settori regolamentati (quelli cioè soggetti ad una disciplina sull’organizzazione del mercato) aumenta sempre quando Berlusconi è al governo (figura 2). E’ stato, inoltre, calcolato che i profitti di Mediaset siano cresciuti di un miliardo di euro durante il periodo 1993-2009 e che le imprese regolamentate abbiano ricevuto notevoli rendimenti.

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Questo tipo di lobbying opera solo nel caso in cui non vi sia una legislazione che vieti esplicitamente la concentrazione simultanea di interessi politici ed economici. A differenza degli Stati Uniti, l’Italia non ha regole in materia. Al di fuori dell’Italia si possono trovare alti casi di lobbying indiretta come, per esempio, quello tailandese riguardante Thaksin Shinawatra, primo ministro tra 2001 e il 2006 e quello dell’ex presidente del Cile, Sebastian Piñera, entrambi proprietari delle più influenti emittenti televisive del paese. O ancora il caso di Nitin Gadkari, leader del partito di opposizione indiano BJP tra il 2010 e il 2013 e azionista principale del gruppo Purti, con interessi nel settore energetico, dello zucchero e dell’alcool.

L’investimento pubblicitario aggira gli obblighi di trasparenza del finanziamento ai partiti, ma può rivelarsi molto efficace” dice Ruben Durante da Yale, uno dei quattro economisti che ha lavorato allo studio.

Il caso specifico dell’Italia può essere generalizzato a qualsiasi caso in cui vi sia una elevata concentrazione di poteri economici e politici su un solo individuo: è il caso dei sistemi dittatoriali o oligarchici. In un sistema democratico, un’adeguata regolamentazione in termini di leggi sul conflitto di interessi eliminerebbe o almeno attenuerebbe l’effetto del lobbying indiretto, tentando di smentire almeno per una volta la sentenza di Marco Porcio Catone: “I ladri di beni privati passano la vita in carcere e in catene, quelli di beni pubblici nelle ricchezze e negli onori”.

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