Le leggi anticorruzione più severe serviranno?
Per combattere la corruzione, le leggi e la minaccia delle sanzioni rappresentano l’unica alternativa? L’etica e il cosiddetto capitale sociale forniscono una risposta. A tal proposito mi ha colpito una frase del libro del 1993 di Robert Putman, La tradizione civica nelle regioni italiane: «Più un comune, una regione o un’area sono civili o legati a tradizioni democratiche più si produce ricchezza». E dovremmo interpretare il ruolo dello Stato sotto questa luce: una comunità di cittadini, una cosa pubblica, e non un soggetto terzo estraneo e ostile. Le leggi, le buone leggi, sicuramente giocano un ruolo importante, ma non certo esclusivo.
Esse, del resto, dipendono da un’abitudine affermata nel tempo e consolidata nei costumi. Per questo motivo con le leggi si può far poco, perché derivano dal modo di comportarsi di una comunità. Publio Cornelio Tacito scrisse che «In uno stato totalmente corrotto si fanno leggi a non finire». Tutte queste leggi alla fine imbrigliano chi vuole fare le cose a modo e creano spazi per chi sa – e può- infrangerle. E del resto la maggior parte delle relazioni sociali non sono regolate da leggi, contratti o altra fonte legale. Ecco allora che per combattere la corruzione è necessario il coinvolgimento di tutti, e ritenere, da parte della società civile, che il problema stia soltanto nella qualità delle leggi, equivale a lavarsi le mani di una propria responsabilità.
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