L’attività di lobbying in Europa
Si definisce lobbying il tentativo di influenzare il processo decisionale di ufficiali e funzionari pubblici, legislatori, o qualunque responsabile delle scelte pubbliche. Tale attività può essere svolta da qualsiasi gruppo organizzato in grado di esercitare pressione (appunto, lobby) facendo forza o sulle proprie disponibilità materiali o sul proprio grado di influenza legato alla fama, alle conoscenze personali o alla posizione sociale.
La parola “lobby”, dal latino “laubia = loggia”, a partire dal XIX secolo è stata usata nell’ambito del parlamento inglese per indicare le sale in cui i deputati e politici incontravano pubblicamente i rappresentanti dei gruppi di interesse, con il tempo chiamati lobbysti.
Per cui l’attività di lobbying non è sbagliata o scorretta in sé, poiché garantisce la possibilità a gruppi organizzati di cittadini di far valere i propri interessi, in forza dei principi democratici della libertà di pensiero ed espressione, e del diritto di presentare petizioni al governo. Quindi, se correttamente regolamentata, è un’azione che può migliorare la qualità delle scelte pubbliche nel momento in cui vi sono una varietà di gruppi di pressione che, in competizione tra loro, partecipano al conseguimento dell’interesse comune.
I problemi si presentano quando questo tipo di attività non è regolamentata né trasparente, così come è stato riscontrato essere in Europa, secondo quanto emerso dal report “Lobbying in Europe: Hidden Influence, Privileged Access”, la prima ricerca comparata europea riguardo la trasparenza nell’ambito del lobbying pubblicata da Trasparency International lo scorso 15 aprile.
L’analisi originaria è stata condotta nel 2014 e ha coinvolto 19 paesi europei e tre istituzioni (Consiglio dell’Unione europea, Commissione europea e Parlamento europeo): ad ognuno è stato assegnato un punteggio da 0 (più debole) a 100 (più forte) in base all’efficacia di:
• sistemi di salvaguardia contro la creazione di influenze illecite di gruppi di pressione;
• regole per promuovere l’etica nell’ambito dell’attività di lobbying.
I risultati sono mostrati nel grafico sottostante.
(https://www.transparency.it/wp-content/uploads/2015/03/Lobbying_map_Results_website.jpg)
Il punteggio è assegnato sulla base della conformità a tre parametri principali: trasparenza delle interazioni tra gruppi di interesse e ufficiali pubblici; integrità nei comportamenti di entrambe le parti; parità di accesso al processo di formazione delle scelte pubbliche da parte di un ampio numero di gruppi di interesse.
Dalla ricerca svolta emerge che solo 7 paesi sul totale di quelli analizzati dispongono di una regolamentazione del fenomeno in questione, ma risulta necessaria in generale una riforma dell’intero sistema del lobbying.
I settori che appaiono essere più interessate da condotte lecite di lobbying sono l’industria dell’energia, del tabacco e dell’alcool, e i settori finanziario e farmaceutico.
Si evdenzia inoltre nel report la carenza di un controllo riguardo al fenomeno delle porte girevoli, cioè del passaggio dei dipendenti dal settore pubblico al privato (e viceversa), che se non regolato potrebbe consentire l’esercizio di pressioni illecite da parte di ex pubblici ufficiali nei confronti dei loro ex datori di lavoro.
L’Italia si posiziona al terzultimo posto tra i paesi analizzati con un punteggio del 20%, data l’assenza di regole che disciplinino il fenomeno del lobbying, che si manifesta tipicamente all’oscuro del controllo pubblico, e di cui si ha una percezione prettamente negativa legata ai vari scandali denunciati dai media sulle presunte influenze illecite esercitate sui decisori politici. Per questo Trasparency International ha formulato delle raccomandazioni specifiche per il nostro paese, di seguito riportate fedelmente:
1. Istituzione di un registro pubblico dei lobbisti garantito da un’autorità super partes che sia obbligatorio, pubblico, e che rispetti i più elevati standard internazionali di trasparenza e rendicontazione;
2. Obbligo per i parlamentari di rendere pubblici i dettagli degli incontri con lobbisti e gruppi di interesse. Gli accessi a Parlamento e Ministeri devono essere registrati e resi pubblici;
3. Introduzione di specifiche norme per regolamentare i conflitti di interesse e in particolare il cosiddetto fenomeno delle “porte girevoli”.
Detto francamente, nessuno pensa bene quando si parla delle lobby, ma in realtà non bisogna precludere il diritto alla libertà di espressione degli interessi solo perché alcuni hanno la tendenza a farli prevalere su quelli degli altri ad ogni costo, anche oltrepassando il limite della legalità. E’ necessario che tale diritto sia tutelato tramite un’adeguata regolamentazione dell’attività di lobbying che definisca precisamente il confine tra ciò che è legittimo e ciò che non lo è, in modo da disincentivare le influenze di tipo illecito e allo stesso tempo da stimolare l’intervento positivo e partecipativo di una più possibilie ampia molteplicità di gruppi di interesse organizzati.
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