Il fondamentale ruolo della prevenzione reale nella lotta alle organizzazioni criminali. Articolo a cura dell’Avv.Marzia Massenio, discente del Master Anticorruzione, IV Edizione, Università degli Studi di Roma Tor Vergata
La corruzione, nella sua accezione più ampia, viene spesso in rilievo quale strumento con cui operano le organizzazioni criminali, mafiose e non. In quest’ottica, il legislatore è intervenuto ad apportare delle modifiche al Codice Antimafia con la L. 161/2017 (“Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate”), tra l’altro, ampliando il catalogo dei possibili destinatari delle misure di prevenzione personali e patrimoniali. Tra questi, infatti, sono stati inseriti anche gli indiziati di una serie di reati contro la pubblica amministrazione, quali il peculato, la concussione e la corruzione (di cui agli artt. 314, co 1 c.p. e 316-322 bis c.p.) ove collegati al reato di associazione a delinquere. Il sistema penale italiano, com’è noto, è basato sul principio del doppio binario, prevedendo la punizione dei colpevoli di fatti penalmente rilevanti e l’adozione di misure preventive nei confronti di soggetti considerati socialmente pericolosi. Pertanto, la “punizione” presuppone l’accertamento di un reato, mentre la “prevenzione” esige la verifica di pericolosità sociale del soggetto destinatario della relativa misura e intesa quale rischio di recidiva. Più nel dettaglio, la neutralizzazione di individui potenzialmente pericolosi per la collettività è affidata sia alle misure di sicurezza sia alle misure di prevenzione: le prime presuppongono la commissione di un reato o di un quasi reato (artt. 49 e 115 c.p.); le seconde, invece, ne prescindono in quanto vengono applicate sulla base del mero accertamento indiziario della pericolosità del proposto. Parimenti, la circostanza che un soggetto abbia commesso un reato non consente di ritenere sempre provata la sua pericolosità sociale. Le misure di prevenzione si distinguono in personali (avviso orale, rimpatrio con foglio di via obbligatorio, sorveglianza speciale, divieto e obbligo di soggiorno) e reali o patrimoniali, in quanto dirette a colpire i cespiti che si considerano frutto di attività illecite. A tale ultima categoria appartengono il sequestro anticipato, il sequestro disposto nel corso del procedimento finalizzato all’applicazione della misura di prevenzione, la confisca e la cauzione. Queste misure sono state introdotte dalla L. Rognoni-La Torre n. 646/1982, in ragione della loro particolare idoneità a contrastare le organizzazioni criminali, soprattutto di stampo mafioso. Le misure patrimoniali rendono più effettiva la lotta alla mafia e alle altre organizzazioni criminali, poiché colpire i proventi delle attività illecite, da un lato, determina l’impoverimento delle associazioni criminose e, dall’altro, riduce il rischio di immissione di quelle ricchezze nel circuito economico legale. Ciononostante, il sistema generale delle misure di prevenzione è da molti considerato anticostituzionale in un ordinamento come il nostro fondato sulla colpevolezza. Il fatto che esse si applichino a prescindere dall’accertamento di un reato in sede penale porrebbe delle criticità alla luce della presunzione di innocenza di cui all’art. 27 Cost. Tale sfiducia è stata, inoltre, alimentata da una serie di interventi giurisprudenziali di derivazione europea. Basti pensare alla nota sentenza della Corte Edu 2017 “De Tommaso vs. Italia”, con cui la Corte Europea ha censurato la vaghezza e l’imprecisione della norma che individua i presupposti applicativi delle misure di prevenzione personale; ci si riferisce all’accertamento che il soggetto sia “abitualmente dedito a traffici delittuosi” e che per “il tenore e la condotta di vita” debba ritenersi che egli “viva abitualmente con i proventi di attività delittuosa” (art. 1, lett. a e b d.lgs. 159/2011). Per vero, la suddetta pronuncia, nonostante abbia riguardato più strettamente la disciplina della prevenzione personale, ha prodotto dei riflessi anche rispetto alle misure di prevenzione patrimoniali. Infatti, il legislatore italiano, pur ammettendo l’applicazione disgiunta di una misura di prevenzione patrimoniale come la confisca rispetto a quella personale, non esclude la necessità dell’accertamento circa la sussistenza di quegli stessi requisiti di pericolosità necessari ai fini dell’applicazione della misura personale. Per tale ragione, i medesimi dubbi di legittimità posti dalla sent. De Tommaso intervenuta con riguardo alle misure di prevenzione personale, si sono ripresentati relativamente alle misure di prevenzione patrimoniale, tanto da provocare l’intervento della Corte Cost. Con la sent. 24/2019, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità degli artt. 1, lett. a), 4, comma 1, lett. c) e 16 d.lgs. 159/2011, rispetto all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 Prot. add. CEDU (“proprietà privata”) e all’art. 42 Cost., per quanto attiene alle misure di prevenzione patrimoniali del sequestro e della confisca, nella misura in cui consentono l’applicazione di queste ultime a coloro che “debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi”. Da tale quadro, sia pure riassuntivo, emergono importanti istanze di tutela della legalità e dei suoi corollari applicativi tra cui la tassatività, precisione e determinatezza della norma anche nella materia della prevenzione patrimoniale. Al contempo, molti addetti ai lavori evidenziano la natura ripristinatoria, non già sanzionatoria, delle misure di prevenzione reale, in quanto volte a far venir meno gli effetti di un acquisto della proprietà non conforme all’ordinamento giuridico giacché ragionevolmente correlato a quello in cui il soggetto risulta essere stato impegnato in attività criminose. La loro importanza nel contrasto ai fenomeni di criminalità, dunque, ne giustificherebbe un più ampio riconoscimento. In altri termini, se da una parte è necessario dare atto dell’esigenza irrinunciabile di evitare la violazione di principi fondanti il nostro sistema penalistico, dall’altra giova considerare che la misura di prevenzione patrimoniale sconta una maggiore “elasticità” in sede applicativa, in virtù della particolare utilità che essa assolve nel contrasto ai fenomeni di criminalità organizzata. Si tratta di strumenti essenziali nell’ottica deterrente e di lotta alla criminalità organizzata, in quanto idonei ad incidere sulle potenzialità economiche di quest’ultima. Le organizzazioni criminali di stampo mafioso riescono, infatti, ad infiltrarsi e mimetizzarsi nei più disparati settori dell’economia, proprio grazie alle risorse economico finanziarie di cui sono titolari e all’elevata capacità di condizionamento, spesso dimostrata dal ricorso a condotte corruttive. Pertanto, tali misure rappresentano una fondamentale risposta dello Stato all’accumulazione di capitali illeciti.