L’efficacia delle misure di prevenzione e contrasto alla criminalità organizzata. Articolo a cura della Dr.ssa Laura Aliberti, discente del Master Anticorruzione, IV Edizione, Università degli Studi di Roma Tor Vergata.

Nella categoria Analisi e Ricerche, Articoli Master Anticorruzione da su 17 febbraio 2020 0 Commenti

Nel corso di una tavola rotonda organizzata dal Master in Anticorruzione dell’Università di Roma “Tor Vergata”, il procuratore aggiunto di Roma, Michele Prestipino, è intervenuto sulle dinamiche e le criticità che interessano le misure di prevenzione antimafia, sottolineando il ruolo centrale acquisito dalle misure di prevenzione patrimoniali negli ultimi anni.A fronte delle considerazioni raccolte, obiettivo di questo articolo è mettere a fuoco l’efficacia di alcune misure di prevenzione alla criminalità organizzata, con particolare riferimento al sequestro e alla confisca dei beni materiali, dunque all’affermazione e allo sviluppo degli strumenti di contrasto ai patrimoni illecitamente accumulati.

Per cogliere l’efficacia delle misure di prevenzione antimafia, afferma il procuratore Prestipino, è indispensabile comprendere il “pensiero mafioso”, vale a dire capire quali sono gli strumenti di prevenzione che destano maggiori preoccupazioni alle organizzazioni criminali e, di conseguenza,sono oggetto di negoziazioni con gli esponenti del potere per ridurre o rallentare la loro effettiva attuazione.
Nel corso degli anni, sulla base delle testimonianze e delle intercettazioni raccolte dall’antimafia, è possibile riconoscerel’effettiva efficacia di tre misure di prevenzione e contrasto alla criminalità organizzata:

  1. Il regime carcerario 41 bis, comunemente denominato “carcere duro”.
    L’art. 41 bis comma 2 della legge n. 354/1975 prevede un regime detentivo, diverso da quello previsto per tutti gli altri detenuti, contraddistinto da una drastica riduzione delle opportunità di contatto della persona detenuta con il mondo libero[1]. Tale misura di isolamento è destinata agli autori di reati in materia di criminalità organizzata al fine di ostacolare le comunicazioni con l’esterno e con gli stessi detenuti all’interno del carcere. La ratio legis della disposizione normativa è quella di neutralizzare la pericolosità dei detenuti, impedendo loro di impartire ordini all’organizzazione criminale di appartenenza e, quindi, continuare a delinquere dal carcere attraverso l’esercizio del proprio potere.

 

  1. La legge 82/1991 che introduce per la prima volta in Italia la figura del “collaboratore di giustizia”. Il collaboratore di giustizia è colui che, dopo aver fatto parte di un’organizzazione criminale, decide di dissociarsene, fornendo alla magistratura informazioni sulla struttura criminale e sui reati commessi dai suoi affiliati. Esso rappresenta un indispensabile strumento alla lotta alla criminalità organizzata poiché agisce sul livello di credibilità e di reputazione dell’organizzazione criminale sia all’interno che verso l’esterno. Nelle strutture criminali, infatti, la segretezza svolge non solo una funzione di protezione nei confronti dell’esterno, ma serve soprattutto a dare un’immagine di potenza sia agli appartenenti, sia ai non appartenenti all’associazione criminale[2]. La figura del collaboratore di giustizia, dunque, si configura come un vulnus irreparabile per il prestigio dell’organizzazione, per tale ragione, anche nei casi in cui il patrimonio conoscitivo è modesto, nei confronti del collaboratore viene avviata una campagna di repressione molto dura.

 

  1. Sequestro e confisca dei beni. Le misure di prevenzione patrimoniali si configurano come uno strumento particolarmente efficace nell’azione di lotta alle mafie, infatti, a partire dal 1956, nell’ambito delle discipline penalistiche, sono state oggetto di molteplici mutamenti normativi di innovazione. La perdita dei beni rappresenta un evento traumatico per il mafioso, non solo per le difficoltà economiche che è chiamato ad affrontare ma soprattutto per l’incidenza di questa perdita sul prestigio dell’organizzazione criminale. Disporre di notevoli risorse economiche permetteall’associazione criminale di ottenere un forte consenso sociale e incrementare il proprio prestigio sul territorio. I beni sequestrati, come evidenzia il procuratore Prestipino, sono il simbolo del potere che l’organizzazione criminaleaveva acquisito, dunque privare il mafioso di tali beni vuol dire ridurre il suo potere di attrazione nel territorio.

In conclusione, in questi anni le misure di prevenzione e lotta alla criminalità organizzata hanno consentito di ottenere grandi risultati grazie ad una concreta ed efficace attuazione. Bisogna tener conto della dimensione organizzativa di tale fenomeno per poter individuare gli strumenti maggiormente adeguati: comprendere le caratteristiche della struttura criminale, le strategiedi potere esercitatedai vertici
e le forze relazionali impiegate all’interno eall’esterno dell’organizzazione.Nella società odierna, la criminalità organizzataè un fenomeno descrivibile e proprio tale descrivibilità diviene un mezzo di controllo che permette di individuare efficaci metodi di contrasto; l’azione di un sapere strategico rende il fenomeno criminale analizzabile ma soprattutto vulnerabile.

[1]Cfr. A. DELLA BELLA, Il “Carcere duro” tra esigenze di prevenzione e tutela dei diritti fondamentali – presente e futuro del regime detentivo speciale ex art.41 bis O.P.

[2] Cfr. R. Sciarrone, Il capitale sociale della mafia. Relazioni esterne e controllo del territorio.

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