Quando la normativa “INCIAMPA” su un elenco

Nella categoria Azione Amministrativa e Prevenzione da su 1 giugno 2018 0 Commenti

Di Ramona Taddeo

La “società in house providing” costituisce un modello organizzativo che ha cercato di coniugare il principio di concorrenza con quello di autorganizzazione, per effetto del quale l’amministrazione piuttosto che esternalizzare attività, può attendervi in proprio. Nato come fenomeno derogatorio al generale principio di concorrenza che impone l’obbligo di espletare gare, l’affidamento in house ha rinvenuto la sua consacrazione nell’ambito della giurisprudenza comunitaria. La prima comparsa giuridica dell’espressione “in house providing” è avvenuta in sede comunitaria e più precisamente nel Libro Bianco sugli appalti del 198. Tuttavia, i tratti distintivi della fattispecie sono stati identificati dalla Corte di Giustizia con la storica “sentenza Teckal” del 18 novembre 1999 e con un’interpretazione ancor più rigorosa nella sentenza Standt Halle dell’11 gennaio 2003. Le richiamate istanze di “traduzione” normativa sono state in Italia esaudite dall’avvento del d.l. 112 del 2008, art. 23-bis, comma 3. Per vedere realizzato il progetto di ascesa legislativa della in house providing a livello nazionale è stato necessario attendere l’entrata in vigore del d.lgs. n. 50 2016 e del d.lgs 175 del 2016. In tal senso, un ruolo decisivo è stato rivestito dalle direttive dell’Unione Europea 24/2014/UE e 25/2014/UE il cui contenuto è stato recepito dall’art. 5 co. 1 del nuovo Codice Appalti che specifica i casi in cui si possa escludere l’applicazione del suddetto codice e sviluppare un affidamento in house. Vieppiù, la disciplina degli affidamenti in house nel nuovo codice degli appalti è contenuta anche nell’art. 192 del dlgs. N. 50 del 2016. Tale previsione impone degli oneri ulteriori al fine di poter procedere ad affidamenti diretti, i quali oneri sarebbero integrati dall’adozione di adeguate forme di pubblicità e trasparenza e dal rispetto di principi di economicità ed efficienza. Con l’istituzione presso l’ANAC di un elenco delle Stazioni appaltanti che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house, il Legislatore ha demandato all’Autority il compito di redigere l’elenco delle Amministrazioni che sono titolate ad affidare in house nonché vigilare sui successivi affidamenti. L’iscrizione in elenco è chiesta con domanda da parte dell’Amministrazione e solo a seguito della verifica positiva della sussistenza dei requisiti che giustificano l’utilizzo allo strumento in house. L’intera disciplina a cui l’art 192 rimanda ha richiesto l’attuazione di specifiche linee guida da parte dell’ANAC, le numero 7, in cui sono state definite l’ambito soggettivo di riferimento, le modalità per la presentazione della domanda di iscrizione e l’avvio del procedimento, le regole dell’istruttoria e la documentazione provante la possibilità di utilizzare l’affidamento in house. La creazione di questo elenco ha fatto sorgere qualche dubbio sulla valenza dell’iscrizione ex art 192. Innanzitutto se l’intenzione del legislatore fosse quella di inserire un terzo ed ulteriore requisito sostanziale rispetto a quelli previsti, l’onere aggiuntivo, inserito dal legislatore, mostrerebbe l’atteggiamento di diffidenza da parte dell’ordinamento nazionale nei confronti degli affidamenti diretti, in quanto possibile minaccia per la concorrenza e per il mercato.

In questo senso l’iscrizione assumerebbe dunque efficacia abilitante con funzione di accertamento costitutivo, ovvero atto amministrativo con cui si riscontrano i requisiti previsti ex art. 5 d.lgs 50/2016. Ciononostante, se di efficacia costitutiva si fosse parlato, ci sarebbe stata la necessità di prevedere l’impossibilità di fare affidamenti diretti sino al momento dell’avvenuta iscrizione, frutto dell’esito positivo susseguente al vaglio dei requisiti. La bozza originaria della norma infatti prevedeva che l’affidamento diretto potesse esser reso solo a seguito dell’iscrizione. Tale norma non è stata trasposta nella versione definitiva, nella quale invece si prevede che l’ente possa affidare anche sulla base della sola domanda e sotto la propria responsabilità. Sarebbe dunque irragionevole paralizzare l’affidamento diretto nelle more della procedura pubblicitaria. Per cui da tale rilievo sono sorte le numerose obiezioni in merito alla tesi costitutiva dell’iscrizione. Innanzitutto, si osserva come la collocazione della norma sia indicativa. Essa infatti sarebbe contenuta in un ambito diverso da quello deputato a delineare i requisiti sostanziali dell’in house, quale quello dell’art. 5, considerato norma di portata generale e “auto-sufficiente”. Tale affermazione troverebbe conferma anche nell’art. 16 del d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 che, nel fissare i requisiti sostanziali di tale modello alternativo all’esternalizzazione, non contempla il profilo pubblicitario. Ulteriore elemento sarebbe rappresentato dall’incompatibilità con i criteri direttivi per il recepimento delle direttive comunitarie, i quali esprimono il divieto di introdurre ulteriori oneri costitutivi rispetto a quelli previsti dalle direttive medesime. Si potrebbe protendere per l’impostazione che riconduce l’iscrizione prevista unicamente per ragioni di trasparenza e pubblicità. In questo senso l’elenco servirebbe come forma di pubblicità notizia gestita in via amministrativa dall’ANAC, con mera funzione di controllo esterno del mercato. Ma come è stato da più studiosi rilevato, anche questa interpretazione tuttavia non pare in linea con il tenore letterale della norma. Infatti, l’art.192 statuisce che l’iscrizione sarebbe disposta “anche al fine di garantire livelli di pubblicità e trasparenza nei contratti pubblici”, evidenziando così come la funzione pubblicitaria non sia l’unica funzione. Per cui si dovrebbe protendere per una duplice funzione dell’iscrizione all’elenco ANAC, ovvero, la possibilità di porre in essere affidamenti diretti senza necessità di una preventiva autorizzazione dell’Autority e una seconda funzione quale quella di attivare un controllo ad opera dell’ANAC circa la sussistenza dei requisiti di legge. È doveroso ricordare che l’elenco ex art 192 ha subito più volte posticipi, tanto da aver rimandato alla data del 15 gennaio 2018 la presentazione per le domande d’iscrizione, segno che la stessa Autority doveva prepararsi ad una procedura tutt’altro che semplificativa. Infine, nonostante le direttive del 2014 abbiano affermato la piena equiordinazione tra autoproduzione e mercato, il Legislatore nazionale ha inteso mantenere un atteggiamento di cautela nel modulo organizzativo in house. Per cui indipendentemente dal fatto che numerose sentenze del Consiglio di Stato abbiano affermato una natura del tutto ordinaria dell’affidamento in house e non più eccezionale, la normativa esaminata pone delle particolari attenzioni al modello in oggetto. Infatti, il ricorso all’affidamento diretto resta consentito solo dopo che l’Amministrazione ne abbia preventivamente valutato l’effettiva opportunità dal punto di vista economico rispetto all’esperimento della gara pubblica. In ogni caso la scelta a favore dell’in house deve essere sorretta da un’adeguata motivazione quanto alle “ragioni del mancato ricorso al mercato” nonché “ai benefici della forma di gestione prescelta”.

Tags: ,

avatar

sull'autore ()

Lascia un commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *