Big data analytics nelle aziende: un nuovo strumento di anti-corruption compliance

Nella categoria Analisi e Ricerche da su 3 novembre 2017 0 Commenti

La direzione ormai è chiara a tutti, l’analisi dei big data può prevenire episodi corruttivi. Nel 2014 EY ha rilasciato un report, dove, è titolato: “The bar is raised: Anti-corruption compliance now requires big data analytics”. Il livello si è alzato, la compliance ha bisogno di nuovi strumenti all’avanguardia, mettendo la lotta alla corruzione al primo posto sia in imprese pubbliche che private. Per far ciò, l’istituto Ernst & Young ha notato che, grazie a nuovi metodi di analisi dati, è possibile migliorare le misure anticorruzione. Come? Integrando e unendo la varietà infinita di dati che un ente ha a disposizione; ad esempio: liste nere, text mining, controllo su e-mail e social media. Attraverso questa analisi sarà possibile isolare le aree di rischio ed eliminare quelle che vengono definite nel report “attività canaglia”. Sarà possibile, infatti, attraverso queste nuove tecniche, prevenire:
● Spese extra e non lecite grazie ai meccanismi di geo-localizzazione, nel caso di viaggi con rimborso spese.
● Controllare i venditori attraverso l’uso di database e selezionare quelli con un alto rischio di frode.
● Controllare email e testi attraverso l’uso di software che rilevano parole sensibili.
Come sempre questo controllo però ha un costo che ricade sui lavoratori di una determinata azienda o ente pubblico che sceglierà di trattare i dati. Ovviamente, il trattamento e l’analisi dei dati ha come costo la privacy dei dipendenti che viene messa in gioco. Nel 2017, in un sondaggio dell’istituto Ernst and Young, si è indagato su questo aspetto andando a intervistare dipendenti di diverse nazioni in tutto il mondo. Dall’Europa al Medio-oriente, dall’Africa all’Asia il risultato è stato una netta tensione tra i dati che andrebbero controllati e la disponibilità dei lavoratori, come evidenziato nella figura sottostante.

fraudsruvey cap24

Come si può notare dal grafico, la parte viola evidenzia i dipendenti che considerano il monitoraggio come una violazione della privacy, la parte azzurra mette in risalto l’apertura verso il controllo di una determinata fonte di dati. Il 75% degli intervistati pensa che almeno una delle scelte proposte debba essere controllata però 89% considera questo processo una violazione della privacy. Il gap tra il beneficio percepito e il costo della rinuncia della privacy è molto difficile da colmare. “La percezione dei cittadini oggi è che si monitorizzi troppo rispetto ai risultati ottenuti in termini di accresciuta sicurezza […] è più facile vedere i danni di un attacco terroristico riuscito che i benefici di uno sventato” (Laura Brandimarte, Rivista di politica economica). Esso, infatti, ha un eco mediatico molto più grande di un pericolo scampato che, spesso, non può avere nemmeno seguito pubblico a causa di un’archiviazione segreta di stato; così è per la corruzione. Essa danneggia tutti i lavoratori, nel caso di un’azienda, e tutti i cittadini, nel caso dello Stato, ma i benefici però sono difficilmente calcolabili. Il ponte che si è costruito tra ciò che bisogna e ciò che sia considerato giusto fare va colmato attraverso la crescita in consapevolezza dei dipendenti e un utilizzo “smart” dei data.

 

Fonti:
Europe, Middle East, India and Africa Fraud Survey 2017- Ernest & Young

Board Matters Quarterly Critical insights for today’s audit committee- EY center for board matters- 2014

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Vivo a Roma, studio Economia. Amo tutto ciò che riguarda il circostante. Credo in una rivoluzione culturale più che politica e attraverso questo progetto voglio contribuire ad essa.

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