La prevenzione della corruzione e delle infiltrazioni mafiose nei contratti pubblici: i commissariamenti per i presidi di legalità nelle imprese
A cura di Giuseppe Romeo
La cronaca giudiziaria degli ultimi anni ha fatto emergere numerosissimi episodi di maladministration. Gli appalti pubblici, in particolare, rappresentano il settore di elezione per piccoli e grandi “agevolatori” del malaffare corruttivo, in chiave sia affaristica, sia criminale. In entrambi i casi la corruzione rappresenta il mezzo attraverso il quale imprese spregiudicate si accaparrano le commesse pubbliche quale frutto patologico di un’imprenditoria malata ovvero esercizio di soft power da parte di organizzazioni mafiose.
Tale vulnerabilità sistemica, tuttavia, non è un male solo italiano, da anni, infatti, il settore degli appalti pubblici è al centro delle iniziative degli organismi internazionali che si occupano della materia. La Convenzione delle N.U. contro la corruzione, nello specifico, ha stabilito l’obbligo per gli Stati di dotarsi di “ogni misura utile a garantire trasparenza, concorrenza e criteri obiettivi nella gestione dei pubblici appalti”. Anche l’Unione Europea, nell’ambito della tutela del mercato interno, ha analizzato le dinamiche corruttive per individuare quali norme siano in grado di prevenire condotte illecite di maladministration. In numerosi rapporti della Commissione, si evidenzia come il settore degli appalti pubblici sia particolarmente esposto alla corruzione, a causa, soprattutto, delle inefficienze nei meccanismi di controllo e di gestione del rischio. Per arginare tali fenomeni gli Stati Membri sono stati invitati a garantire adeguati livelli di trasparenza negli appalti pubblici, sia in fase di aggiudicazione, sia in fase di esecuzione, rendendo pubblicamente accessibili a chiunque, anche on line, tutte le informazioni concernenti opere, forniture e servizi.
La “pressione internazionale”, da un lato, e il ripetersi di episodi corruttivi, dall’altro, hanno indotto il legislatore ad adottare, negli ultimi 15 anni, un’articolata disciplina anticorruzione, affiancando al momento repressivo previsto dal codice penale, un’intensa attività di prevenzione e gestione del rischio. Da ultimo, la L. n. 114/2014 e il D.Lgs. n. 50/2016 (codice dei contratti pubblici), hanno introdotto nel nostro ordinamento innovativi strumenti normativi in grado di conciliare, da un lato, l’ultimazione delle opere appaltate e, dall’altro, la sottrazione alla morsa della corruzione o dell’infiltrazione criminale nell’esecuzione dei lavori.
Le nuove misure sono rivolte alle imprese, la cui affidabilità risulta compromessa dal coinvolgimento in vicende di corruzione, al fine di proseguire nell’esecuzione del contratto stipulato e soddisfare un superiore interesse pubblico, impedendo che il profitto generato finisca nelle tasche dell’operatore coinvolto nell’indagine della magistratura. Si tratta di provvedimenti amministrativi di gestione, sostegno e monitoraggio, di carattere straordinario e temporaneo in grado di realizzare un funzionale sistema di prevenzione del reato e di corretta esecuzione dell’opera.
I soggetti in capo ai quali la legge fa ricadere gli oneri di corretta esecuzione dell’appalto “sospetto” sono il Presidente dell’Anac e il Prefetto competente del luogo in cui ha sede la stazione appaltante, creando in tal modo un raccordo tra l’attività amministrativa antimafia (Prefetto) e la prevenzione della corruzione (Anac).
Il nuovo sistema di prevenzione, disciplinato dall’art. 32, 1° comma, della L. 114/2014, prevede sostanzialmente tre ipotesi di intervento tra loro alternative:
- l’estromissione dalla governance societaria dei soggetti coinvolti nei fatti illeciti oggetto d’indagine. All’impresa vengono concessi 30 giorni di tempo per sostituire i soggetti indagati, trascorso inutilmente tale termine il Prefetto, entro 10 giorni, adotta la misura (vedi successiva alinea) della straordinaria e temporanea gestione di cui alla lettera b), comma 1, dell’art. 32;
- la straordinaria e temporanea gestione dell’impresa, limitatamente alla completa esecuzione del contratto di appalto o concessione. Si tratta di una misura estremamente invasiva nella gestione di un’impresa, attivabile solo davanti all’inottemperanza dell’ordine impartito dal Prefetto di sostituzione di soggetti coinvolti nelle indagini, con precisi limiti applicativi (circoscritto al singolo appalto oggetto d’indagine) e temporali (la durata deve essere fissata in relazione all’esecuzione dell’opera o espletamento del servizio e non può in ogni caso protrarsi oltre il collaudo). Il decreto prefettizio comporterà il “commissariamento” dell’appalto specifico e la nomina dei nuovi amministratori (massimo 3) che andranno a sostituire gli organi di amministrazione dell’impresa nella gestione di tutta l’attività legata all’esecuzione contrattuale. La misura, infatti, non incide sulla governance complessiva dell’impresa, che resta in carica per la gestione dell’attività residuale;
- il sostegno e monitoraggio dell’impresa. Tale misura trova applicazione nelle ipotesi meno gravi, nelle quali l’ingerenza di fenomeni corruttivi o di infiltrazione criminale è di minore intensità e il livello degli illeciti contestati all’impresa non è tale da richiedere misure incisive sugli assetti societari. Essa consiste nell’affiancare, con esperti di nomina prefettizia, gli organi sociali in una sorta di “consulenza forzosa”, in grado di indurre l’impresa ad una revisione organizzativa e gestionale che sia in grado di garantire trasparenza e legalità.
L’applicazione di una delle misure sopra elencate, nei casi di corruzione, è frutto di un procedimento valutativo articolato in più fasi che, sulla base della gravità dei fatti accertati e tenuto conto di elementi di contesto (ruolo e comportamento dell’autore dell’illecito, pervasività del sistema corruttivo, coinvolgimento della compagine societaria nella gestione dell’appalto, presenza nella governance aziendale di soggetti capaci di influenzare le scelte gestionali dell’impresa, ecc) porta il Prefetto all’adozione del provvedimento ritenuto più idoneo al perseguimento dell’interesse pubblico.
L’iter procedimentale fissato per l’applicazione delle misure straordinarie prevede due fasi autonome, anche se integrate, che fanno capo, la prima, al Presidente dell’Anac, al quale è attribuito un potere di impulso e proposta in ordine alla misura ritenuta più idonea e, la seconda, al Prefetto, competente del luogo ove ha sede la stazione appaltante, al quale spetta la decisione finale sulla misura da adottare nei confronti dell’impresa. Sebbene la proposta “Anac” non abbia valore vincolante nei confronti del Prefetto, che ha poteri istruttori autonomi, l’avvio del procedimento nei casi di corruzione è di esclusiva competenza del Presidente dell’Anac. In altri termini, qualora all’esito della procedura valutativa si ritengano insussistenti i presupposti per la formulazione di una proposta, il Prefetto non ha un potere di avvio autonomo.
I presupposti che legittimano l’adozione delle suddette misure straordinarie (ex art. 32, comma 1, L. 114/2014) sono la presenza di un appalto o di una concessione di natura pubblica per i quali l’Autorità Giudiziaria procede per una delle fattispecie di reato di matrice corruttiva ovvero vi siano “situazioni anomale” e “sintomatiche” di condotte illecite, attribuibili all’impresa aggiudicataria della commessa. La fase valutativa della proposta di adozione della “misura straordinaria” è perciò preordinata ad accertare la sussistenza di un contratto di natura pubblica in corso di esecuzione (appalto o concessione) per il quale esista la presenza di elementi concreti in ordine all’illiceità dell’appalto o della concessione. Successivamente il Presidente dell’Anac dovrà verificare il livello di accertamento dei fatti da porre a fondamento della proposta: i fatti contestati all’impresa devono essere “gravi e accertati”, non essendo sufficiente una mera notizia criminis. È richiesto, infatti, uno spessore probatorio tale da far ritenere, con un qualificato livello di probabilità, l’illecito affidamento della commessa pubblica.
La fase valutativa si conclude con una stima sulla gravità dei fatti accertati in modo da proporre l’adozione della misura più adeguata, in termini di proporzionalità, rispetto alle tre previste dalla legge.
L’iter procedurale si conclude con l’emanazione di un decreto prefettizio che dispone la misura straordinaria, stabilendo la durata (in funzione delle esigenze funzionali dell’opera, del servizio o della fornitura), la designazione e la retribuzione degli amministratori incaricati di gestire l’impresa.
L’ipotesi di applicazione delle “misure straordinarie” per fenomeni corruttivi (ex art. 32, comma 1, L. 114/2014) sopra descritta, è arricchita da un’ulteriore possibilità nel caso di infiltrazione della criminalità organizzata nell’appalto. Il legislatore, infatti, ha previsto una disposizione ad hoc nel caso in cui l’impresa aggiudicataria o concessionaria venga raggiunta da un’informazione interdittiva antimafia. In tali circostanze, il Prefetto, cui compete in questo caso l’avvio del procedimento, valuta l’esistenza dei presupposti per l’applicazione di misure straordinarie. La ratio legis è, da un lato, di privare l’impresa interdetta della possibilità di contrarre con la P.A. e, dall’altro, di mettere in condizione la stazione appaltante di recedere dai contratti in itinere, salvo si tratti di opere in corso di ultimazione ovvero di servizi essenziali di interesse pubblico, per le quali non sussitono condizioni oggettive per una rapida sostituzione dl contraente.
Con tale previsione, il legislatore intende contrastare il pericolo di inquinamento mafioso dell’economia attraverso l’estromissione dalla contrattazione pubblica di tutte le imprese colluse, collegate o semplicemente infiltrate dalla criminalità organizzata. Va da se che tale esigenza deve essere controbilanciata con quella di salvaguardare opere in corso di realizzazione e servizi indifferibili. In tali casi, perciò, la prosecuzione del contratto pubblico viene salvaguardata attraverso un provvedimento di carattere straordinario e temporaneo previsto dall’art. 32, comma 10, della Legge 114/2014. Nelle more delle decisioni del Prefetto il contratto si troverà sospeso, in una sorta di limbo, con l’impossibilità da parte della stazione appaltante di recedere o di proseguire nell’esecuzione dello stesso. Alla fine di una fase ricognitiva condotta in collaborazione con l’Anac, la stazione appaltante e le altre istituzioni eventualmente coinvolte, il Prefetto definirà la tipologia di misura gestionale ritenuta più idonea.
Il “commissariamento” per finalità antimafia, sebbene sia uno strumento invasivo e complesso che presenta evidenti difficoltà gestionali, ha il merito di impedire la paralisi aziendale che conseguirebbe alla semplice interdittiva antimafia, soprattutto nel caso la maggioranza dei contratti eseguiti dall’azienda siano di matrice pubblica. Ovviamente, occorre tenere presente che, sotto un profilo meramente temporale, la persistenza della misura è legata, oltre che all’esecuzione del contratto, alla vigenza del provvedimento interdittivo, dal cui esito (annullamento, accoglimento in via definitiva o aggiornamento) derivano conseguenze sullo stesso.
I rimedi ideati dal legislatore, sopra brevemente descritti, hanno incontrato numerose problematiche applicative, frutto anche di una formulazione non sempre coerente con il nostro sistema giuridico nel suo complesso, ma lo sforzo congiunto di degli organi preposti e la collaborazione fattiva con la Magistratura ed il Ministero dell’Interno hanno consentito di dirimere dubbi interpretativi circa la portata della previsione normativa ed adottare soluzioni (soprattutto per l’ipotesi di straordinaria e temporanea gestione) in grado di garantire un’applicazione uniforme su tutto il territorio nazionale. Specialmente l’istituto del “sostegno e monitoraggio dell’impresa”, che verosimilmente nelle intenzioni del legislatore doveva costituire una mera formula residuale, si sta rivelando di grande efficacia nella prassi applicativa, in una sorta di moral suasion aziendale: l’Anac, infatti, si è fatta promotrice di un’interpretazione estensiva della norma, che ne ha consentito l’applicazione a casi nei quali sono stati coinvolti sia meri dirigenti aziendali, sia organi di amministrazione dell’impresa, sfruttando la maggiore flessibilità offerta dallo strumento giuridico rispetto alle altre ipotesi molto più incisive.
Il “commissariamento”, quale presidio di legalità nelle imprese, rappresenta un significativo passo in avanti nella nuova stagione di contrasto alla corruzione inaugurata dalla legge Severino (L. 190/2012), proseguita con il D.Lgs. n. 33/2013 ed affinata, da ultimo, con il D.Lgs, n. 97/2016. Lo strumento, sebbene non si inserisca a pieno titolo tra quelli considerati di prevenzione, si pone a metà strada tra questi ultimi e le norme repressive previste dal codice penale. In tal senso i “commissariamenti” consentono un’anticipazione e un’alternativa alla risposta repressiva, consentendo che le condotte illecite non vengano portate ad ulteriori conseguenze, che sia salvaguardata l’occupazione e che il profitto non finisca nelle tasche dei rei.
Lungi dal rappresentare la cura per tutte le distorsioni della maladministration, il nuovo istituto giuridico necessita di affinamento, sotto il profilo strettamente giuridico, e sperimentazione, sotto il profilo sostanziale. In tal senso occorre riconoscere la meritoria opera dell’Anac che in sinergia con il Ministero dell’interno, attraverso l’emanazione di linee guida, si è fatta garante di un’interpretazione uniforme e coerente col sistema giuridico nel suo complesso, a vantaggio di tutti gli attori coinvolti. La buona riuscita dell’operazione, come spesso accade nel nostro sistema, sarà frutto soprattutto dell’impegno degli operatori sul campo che con le loro azioni potranno consentire il ritorno “in bonis” delle aziende coinvolte e la salvaguardia dei posti di lavoro interessati dai provvedimenti.
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